Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 50157 del 25/11/2015


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 50157 Anno 2015
Presidente: ESPOSITO ANTONIO
Relatore: PELLEGRINO ANDREA

Data Udienza: 25/11/2015

SENTENZA
Sui ricorsi proposti rispettivamente nell’interesse di
Daddi Carlo, n. a Palermo il 14.05.1974, rappresentato e assistito
dall’avv. Carmelo Cordaro, di fiducia
Meschis Salvatore, n. a Palermo il 19.03.1971, rappresentato e
assistito dall’avv. Paola Rubino, di fiducia
Musso Pietro, n. a Palermo il 16.05.1980, rappresentato e assistito
dall’avv. Mauro Torti, di fiducia
Passavia Antonio, n. a Palermo il 21.07.1967, rappresentato e
assistito dall’avv. Maria Teresa Nascè, di fiducia
Priolo Paolo, n. a Palermo il 18.09.1962, rappresentato e assistito
dall’avv. Calogero Vella, di fiducia
avverso la sentenza della Corte d’appello di Palermo, quarta sezione
penale, n. 3974/2012, in data 21.01.2015;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed i ricorsi;

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preso atto della ritualità delle notifiche e degli avvisi;
sentita la relazione della causa fatta dal consigliere dott. Andrea
Pellegrino;
udita la requisitoria del Sostituto procuratore generale dott. Fulvio
Baldi che ha concluso chiedendo:
-nei confronti di Daddi, l’annullamento con rinvio;
– nei confronti di Musso, l’annullamento senza rinvio con riferimento al

capo Q e l’annullamento con rinvio per il resto;
– nei confronti di Meschis, Passavia e Priolo, l’inammissibilità dei
ricorsi;
sentita la discussione del difensore di Meschis Salvatore, avv. Paola
Rubino, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
sentita la discussione del difensore di Passavia Antonio, avv. Maria
Teresa Nascè, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
sentita la discussione del difensore di Musso Pietro, avv. Paolo
Gemelli, comparso in sostituzione dell’avv. Mauro Torti, che ha
chiesto l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza in data 16.04.2012, il Tribunale di Palermo, in
composizione collegiale, dichiarava Daddi Carlo, Meschis Salvatore,
Musso Pietro, Passavia Antonio e Priolo Paolo colpevoli del reato (capo
A) di associazione per delinquere finalizzato alla commissione di più
reati di riciclaggio e di appropriazione indebita, provento di furti
perpetrati anche all’estero, rivestendo, in particolare, il Meschis il
ruolo di figura apicale all’interno del gruppo criminale, il Musso il ruolo
di soggetto deputato alla falsificazione della documentazione
necessaria all’immatricolazione dei veicoli di illecita provenienza, il
Daddi e il Priolo i ruoli di prestanome per l’intestazione dei veicoli da
immatricolare abusivamente, il Passavia il ruolo di titolare
dell’agenzia di disbrigo pratiche automobilistiche ove i veicoli
venivano immatricolati mediante l’uso di documentazione contraffatta
(fatto commesso in Palermo e accertato dal marzo 2003 al 26 ottobre
2004).
1.1. I medesimi imputati venivano inoltre dichiarati colpevoli dei
delitti di riciclaggio, consumato e tentato, aventi ad oggetto

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autovetture di provenienza furtiva e di ricettazione di documenti
contraffatti in concorso, loro rispettivamente ascritti commessi tra
1’11.04.2003 ed il 26.10.2004: in particolare, Daddi veniva dichiarato
colpevole del reato di cui al capo D), Meschis del reato di cui al capo
F), Musso dei reati di cui ai capi D) e Q), Passavia dei reati di cui ai
capi D), H) ed L), Priolo dei reati di cui ai capi E) ed R). Unificati i
reati sotto il vincolo della continuazione, i predetti imputati venivano

-il Daddi, ad anni cinque di reclusione ed euro 3.000,00 di multa;
– il Meschis, ad anni sette di reclusione ed euro 6.000,00 di multa;
-il Musso, ad anni cinque di reclusione ed euro 3.000,00 di multa;
-il Passavia, ad anni sette di reclusione ed euro 6.000,00 di multa;
– il Priolo, ad anni sette di reclusione ed euro 6.000,00 di multa.
1.2. A seguito di impugnazione, la Corte d’appello di Palermo, in
parziale riforma della sentenza di primo grado, dichiarava non doversi
procedere nei confronti di Daddi Carlo, Meschis Salvatore, Musso
Pietro, Passavia Antonio e Priolo Paolo in relazione al reato di cui al
capo A) perché estinto per prescrizione e per l’effetto riduceva la
pena al Daddi ad anni quattro di reclusione ed euro 2.000,00 di
multa, al Meschis, concesse le circostanze attenuanti generiche, ad
anni quattro, mesi sei di reclusione ed euro 3.000,00 di multa, al
Musso, ad anni quattro, mesi sei di reclusione ed euro 2.500,00 di
multa, al Passavia, concesse le circostanze attenuanti generiche, ad
anni cinque, mesi sei di reclusione ed euro 5.000,00 di multa, al
Priolo ad anni cinque, mesi sei di reclusione ed euro 4.000,00 di
multa; pena condonata al Meschis e al Musso; eliminazione della
libertà vigilata per tutti e conferma nel resto della pronuncia di primo
grado.
2. Avverso detta sentenza, nell’interesse di Daddi Carlo, Meschis
Salvatore, Musso Pietro, Passavia Antonio e Priolo Paolo vengono
proposti distinti ricorsi per cassazione.

3. Ricorso di Daddi Carlo.
Il ricorrente lamenta:
– inosservanza della legge penale in relazione all’art. 157 cod. pen. in
relazione al capo D, tentato riciclaggio (motivo unico).

/I

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condannati alle seguenti pene principali:

4. Ricorso di Meschis Salvatore.
Il ricorrente lamenta:
-violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al reato di cui
all’art. 648 bis cod. pen. di cui al capo F, in relazione al quale è
risultata insufficiente la prova che il ricorrente lo abbia commesso
ovvero che il fatto costituisca reato (primo motivo);
-violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla misura

della pena inflitta che avrebbe dovuto attestarsi sui minimi edittali
(secondo motivo).

5. Ricorso di Musso Pietro.
Il ricorrente lamenta:
-violazione di legge, in specie degli artt. 157 cod. pen., 129, 529 e
531 cod. proc. pen. in relazione all’omessa declaratoria di
sopravvenuta estinzione dei reati di cui ai capi D) e Q) per
prescrizione, maturata prima della pronuncia della sentenza di
secondo grado (primo motivo);
-violazione dell’art. 129, comma 2 cod. proc pen., per avere i giudici
di secondo grado dichiarato la prescrizione del capo A) nonostante
l’evidenza probatoria della insussistenza del fatto in capo al ricorrente
(secondo motivo);
-violazione di legge e vizio di motivazione in relazione ai reati di
ricettazione e riciclaggio di cui ai capi D) e Q) dell’imputazione (terzo
motivo);
-violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla
determinazione della pena ed al diniego di concessione delle
circostanze attenuanti generiche (quarto motivo).

6. Ricorso di Passavia Antonio.
Il ricorrente lamenta:
– violazione di legge con riferimento al reato di cui al capo D) in
relazione all’art. 192, comma 1 cod. proc. pen. nonché travisamento
dei fatti di causa, carenza ed illogicità di motivazione (primo motivo);
-violazione di legge con riferimento al reato di cui al capo D) in
relazione all’operato trattamento sanzionatorio (secondo motivo).

7. Ricorso di Priolo Paolo.

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Il ricorrente lamenta:
-inosservanza ed erronea applicazione di legge in relazione ai reati di
cui ai capi A), E) ed R) d’imputazione nonché omessa ed illogica
motivazione (motivo unico).

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I ricorsi sono manifestamente infondati e – almeno in parte evocativi di non consentite censure in fatto, e, come tali, risultano
inammissibili.
2. Secondo la giurisprudenza della Suprema Corte (cfr., Sez. 6, sent.
n. 10951 del 15/03/2006, dep. 29/03/2006, Casula, Rv. 233708),
anche alla luce della nuova formulazione dell’art. 606, comma primo
lett. e) cod. proc. pen., dettata dalla L. 20 febbraio 2006 n. 46, il
sindacato del giudice di legittimità sul discorso giustificativo del
provvedimento impugnato deve mirare a verificare che la relativa
motivazione sia: a) “effettiva”, ovvero realmente idonea a
rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della
decisione adottata; b) non “manifestamente illogica”, ovvero sorretta,
nei suoi punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti
errori nell’applicazione delle regole della logica; c) non internamente
“contraddittoria”, ovvero esente da insormontabili incongruenze tra le
sue diverse parti o da inconciliabilità logiche tra le affermazioni in
essa contenute; d) non logicamente “incompatibile” con altri atti del
processo, dotati di una autonoma forza esplicativa o dimostrativa tale
che la loro rappresentazione disarticoli l’intero ragionamento svolto
dal giudicante e determini al suo interno radicali incompatibilità così
da vanificare o radicalmente inficiare sotto il profilo logico la
motivazione (nell’affermare tale principio, la Corte ha precisato che il
ricorrente, che intende dedurre la sussistenza di tale incompatibilità,
non può limitarsi ad addurre l’esistenza di “atti del processo” non
esplicitamente presi in considerazione nella motivazione o non
correttamente interpretati dal giudicante, ma deve invece identificare,
con l’atto processuale cui intende far riferimento, l’elemento fattuale
o il dato probatorio che da tale atto emerge e che risulta
incompatibile con la ricostruzione adottata dal provvedimento
impugnato, dare la prova della verità di tali elementi o dati invocati,

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nonché dell’esistenza effettiva dell’atto processuale in questione,
indicare le ragioni per cui quest’ultimo inficia o compromette in modo
decisivo la tenuta logica e l’interna coerenza della motivazione).
2.1. Non è dunque sufficiente che gli atti del processo invocati dal
ricorrente siano semplicemente “contrastanti” con particolari
accertamenti e valutazioni del giudicante e con la sua ricostruzione
complessiva e finale dei fatti e delle responsabilità né che siano

astrattamente idonei a fornire una ricostruzione più persuasiva di
quella fatta propria dal giudicante.
2.2. Ogni giudizio, infatti, implica l’analisi di un complesso di elementi
di segno non univoco e l’individuazione, nel loro ambito, di quei dati
che – per essere obiettivamente più significativi, coerenti tra loro e
convergenti verso un’unica spiegazione – sono in grado di superare
obiezioni e dati di segno contrario, di fondare il convincimento del
giudice e di consentirne la rappresentazione, in termini chiari e
comprensibili, ad un pubblico composto da lettori razionali del
provvedimento. E’, invece, necessario che gli atti del processo
richiamati dal ricorrente per sostenere l’esistenza di un vizio della
motivazione siano autonomamente dotati di una forza esplicativa o
dimostrativa tale che la loro rappresentazione sia in grado di
disarticolare l’intero ragionamento svolto dal giudicante e determini al
suo interno radicali incompatibilità, così da vanificare o da rendere
manifestamente incongrua o contraddittoria la motivazione.
2.3. Il giudice di legittimità è, pertanto, chiamato a svolgere un
controllo sulla persistenza o meno di una motivazione effettiva, non
manifestamente illogica e internamente coerente, a seguito delle
deduzioni del ricorrente concernenti “atti del processo”.
Tale controllo, per sua natura, è destinato a tradursi in una
valutazione, di carattere necessariamente unitario e globale, sulla
reale “esistenza” della motivazione e sulla permanenza della
“resistenza” logica del ragionamento del giudice.
2.4. Al giudice di legittimità resta, infatti, preclusa, in sede di
controllo sulla motivazione, la pura e semplice rilettura degli elementi
di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di
nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti,
preferiti a quelli adottati dal giudice di merito, perché ritenuti
maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa.

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Queste operazioni trasformerebbero, infatti, la Corte nell’ennesimo
giudice del fatto e le impedirebbero di svolgere la peculiare funzione
assegnatale dal legislatore di organo deputato a controllare che la
motivazione dei provvedimenti adottati dai giudici di merito (a cui le
parti non prestino autonomamente acquiescenza) rispettino sempre
uno standard di intrinseca razionalità e di capacità di rappresentare e
spiegare l’iter logico seguito dal giudice per giungere alla decisione.

dell’art. 606 cod. proc. pen., comma 1, lett. e) ad opera della L. n. 46
del 2006, art. 8, “mentre non è consentito dedurre il travisamento del
fatto, stante la preclusione per il giudice di legittimità si sovrapporre
la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta
nei precedenti gradi di merito, è invece, consentito dedurre il vizio di
travisamento della prova, che ricorre nel caso in cui il giudice di
merito abbia fondato il proprio convincimento su una prova che non
esiste o su un risultato di prova incontestabilmente diverso da quello
reale, considerato che in tal caso, non si tratta di reinterpretare gli
elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini della decisione,
ma di verificare se detti elementi sussistano” (Sez. 5, sent. n. 39048
del 25/09/2007, dep. 23/10/2007, Casavola e altri, Rv. 238215).
Pertanto, il sindacato di legittimità non ha per oggetto la revisione del
giudizio di merito, bensì la verifica della struttura logica del
provvedimento e non può quindi estendersi all’esame ed alla
valutazione degli elementi di fatto acquisiti al processo, riservati alla
competenza del giudice di merito, rispetto alla quale la Corte di
cassazione non ha alcun potere di sostituzione al fine della ricerca di
una diversa ricostruzione dei fatti in vista di una decisione alternativa.
Sulla base di queste premesse vanno esaminati gli odierni ricorsi.

3. Ricorso di Daddi Carlo.
3.1. Manifestamente infondato è l’unico motivo di ricorso proposto.
Il reato di cui al capo D), alla data della pronuncia della sentenza di
appello, non risultava essere già prescritto.
Invero, tenendo conto della data di consumazione del reato
(01.3.2004) e degli eventi interruttivi, il complessivo termine
decennale ordinario determinato sulla base del titolo di reato in
contestazione – in naturale scadenza in data 1.3.2014 – si è prorogato

i

A
i

2.5. Può quindi affermarsi che, anche a seguito delle modifiche

di complessivi mesi undici e giorni uno, in forza di più cause
sospensive (calcolate, quanto alla durata, sulla base degli
insegnamenti fissati dalle Sezioni Unite con sent. n. 4909/2015,
Torchio) verificatesi sia nel corso del giudizio di primo grado
(complessivi mesi uno e giorni diciannove per rinvio delle udienze
dell’1.4.2010 al 15.4.2010 e del 15.4.2011 al 20.5.2011) sia nel
corso del giudizio di secondo grado (complessivi mesi nove e giorni

dodici), fissandosi definitivamente alla data del 2.2.2015, successiva
alla data di pronuncia della sentenza di appello (intervenuta, come si
è visto, in data 21.01.2015).
3.2. Rileva il Collegio che, per giurisprudenza costante di questa
Suprema Corte (cfr., Sez. 2, sent. n. 28848 del 08/05/2013, Ciaffoni,
Rv. 256463), l’inammissibilità del ricorso per cassazione per
manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un
valido rapporto di impugnazione e, pertanto, preclude la possibilità di
dichiarare le cause di non punibilità di cui all’art. 129 cod. proc. pen.,
ivi compresa la prescrizione intervenuta nelle more del procedimento
di legittimità.
4. Ricorso di Meschis Salvatore.
4.1. Manifestamente infondato è il primo motivo di ricorso.
Trattasi di censura che reitera pedissequamente uno dei motivi di
appello sul quale la Corte territoriale ha reso ampia e giustificata
motivazione.
Invero, per consolidata giurisprudenza di questa Corte, deve ritenersi
inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che si
risolvono nella pedissequa reiterazione di quelli già dedotti in appello
e motivatamente disattesi dal giudice di merito, dovendosi gli stessi
considerare non specifici ma soltanto apparenti, in quanto non
assolvono la funzione tipica di critica puntuale avverso la sentenza
oggetto di ricorso (v., tra le tante, Sez. 5, sent. n. 25559 del
15/06/2012, Pierantoni; Sez. 6, sent. n. 22445 del 08/05/2009, p.m.
in proc. Candita, Rv. 244181; Sez. 5, sent. n. 11933 del 27/01/2005,
Giagnorio, Rv. 231708).
In altri termini, è del tutto evidente che a fronte di una sentenza di
appello che ha fornito una risposta ai motivi di gravame, la
pedissequa riproduzione di essi come motivi di ricorso per cassazione

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non può essere considerata come critica argomentata rispetto a
quanto affermato dalla Corte d’appello: in questa ipotesi, pertanto, i
motivi sono necessariamente privi dei requisiti di cui all’art. 581 cod.
proc. pen., comma 1, lett. c), che impone la esposizione delle ragioni
di fatto e di diritto a sostegno di ogni richiesta (Sez. 6, sent. n. 20377
del 11/03/2009, Arnone, Rv. 243838).
Nel merito della censura, la Corte territoriale ha così motivato: “…

quanto al reato di cui al capo F), deve essere evidenziato che a
seguito del sequestro dell’autovettura Golf tg. CF595ZV, provento di
furto in danno di Tamburini Patrizia, il Meschis (insieme a Daddi
Michele e Quartararo Girolamo) veniva querelato da Di Salvo Gaetano
– che aveva acquistato l’autovettura – con l’accusa di truffa, per
avere venduto un mezzo provento di furto, circostanza quest’ultima
accertata in uno alla contraffazione del numero di telaio del veicolo …
L’analisi della documentazione relativa al veicolo in parola
evidenziava la falsa identità del primo intestatario della vettura …, la
falsità della fattura di acquisto all’estero dell’auto, la falsità dei dati
identificativi del mezzo. Come riferito da Di Salvo Gaetano, il Meschis
(insieme agli altri soggetti indicati nell’atto di querela) aveva dato
piena assicurazione della provenienza lecita della vettura. La
deduzione difensiva secondo la quale il Meschis avrebbe avuto un
ruolo nella vendita di alcune autovetture su richiesta del cognato
Daddi Michele, nell’ignoranza che detti veicoli fossero di provenienza
illecita, non ha pregio, se si considera che, a tenore delle
conversazioni telefoniche intercettate, le cui trascrizioni sono agli atti
del processo, il Meschis risulta avere ricoperto un ruolo centrale in
seno al sodalizio criminoso organizzato al fine di porre in essere
l’attività di riciclaggio di autovetture oggetto del presente processo, in
particolare organizzando i viaggi all’estero del cognato Daddi Michele
insieme a Naname Samir per la commercializzazione di autovetture di
provenienza illecita …, nonché fungendo da punto di riferimento nel
caso di difficoltà incontrate nella re immatricolazione di veicoli in
Italia … I continui rapporti fra il Meschis e gli altri sodali … dimostrati
dal tenore delle conversazioni telefoniche menzionate alle pagine 8 e
seguenti della sentenza di primo grado, consentono di escludere che,
con riguardo alla condotta di cui al capo F), il Meschis fosse
inconsapevole della provenienza delittuosa dell’autovettura offerta in

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vendita al Di Salvo …”.
4.2. Manifestamente infondato è il secondo motivo di ricorso.
La Corte territoriale determina la pena avendo riguardo al “disvalore
penale del fatto”: trattasi di motivazione, sintetica, ma certamente
sufficiente a dare contezza dei criteri seguiti e, come tale, appare
incensurabile in sede di legittimità.
Invero, secondo il costante insegnamento della giurisprudenza di

questa Suprema Corte (cfr., ex multis, Sez. 6, sent. n. 9120 del
02/07/1998, dep. 04/08/1998, Urrata S. e altri, Rv. 211582), deve
ritenersi adempiuto l’obbligo di motivazione del giudice di merito sulla
determinazione in concreto della misura della pena allorché siano
indicati nella sentenza gli elementi ritenuti rilevanti o determinanti
nell’ambito della complessiva dichiarata applicazione di tutti i criteri di
cui all’art. 133 cod. pen..
La graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle
diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti,
rientra infatti nella discrezionalità del giudice di merito, che la
esercita, così come per fissare la pena base, in aderenza ai principi
enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen.; ne discende che è
inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una
nuova valutazione della congruità della pena la cui determinazione
non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico (Sez. 5,
sent. n. 5582 del 30/09/2013, dep. 04/02/2014, Ferrario, Rv.
259142), ciò che – nel caso di specie – non ricorre. Invero, una
specifica e dettagliata motivazione in ordine alla quantità di pena
irrogata, specie in relazione alle diminuzioni o aumenti per
circostanze, è necessaria soltanto se la pena sia di gran lunga
superiore alla misura media di quella edittale, potendo altrimenti
essere sufficienti a dare conto dell’impiego dei criteri di cui all’art. 133
cod. pen. le espressioni del tipo: “pena congrua”, “pena equa” o
“congruo aumento”, come pure il richiamo alla gravità del reato o alla
capacità a delinquere (Sez. 2, sent. n. 36245 del 26/06/2009, dep.
18/09/2009, Denaro, Rv. 245596).
5. Ricorso di Musso Pietro.
5.1. Manifestamente infondato è il primo motivo di ricorso.
Ferme le valutazioni compiute in relazione alla pretesa prescrizione

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del reato di cui al capo D) nel precedente paragrafo 3.1. del
considerato in diritto, evidenzia il Collegio come, anche in relazione al
capo Q) d’imputazione (ricettazione compiuta in epoca antecedente al
26.10.2004), la prescrizione non risultava essere maturata alla data
della pronuncia della sentenza di secondo grado.
Invero, per le ragioni dinanzi esposte – anche in questo caso all’ordinario termine di sospensione di anni dieci atteso il titolo di

reato in contestazione, termine in naturale scadenza in data
26.3.2014, occorre aggiungere il periodo di proroga per complessivi
mesi undici e giorni uno, in forza di più cause sospensive
(ovviamente, anche in questo caso, calcolate, quanto alla durata,
sulla base degli insegnamenti fissati dalle Sezioni Unite con sent. n.
4909/2015, Torchio) verificatesi sia nel corso del giudizio di primo
grado (complessivi mesi uno e giorni diciannove per rinvio delle
udienze dell’1.4.2010 al 15.4.2010 e del 15.4.2011 al 20.5.2011) sia
nel corso del giudizio di secondo grado (complessivi mesi nove e
giorni dodici): il termine finale si fissa così alla data del 27.9.2015,
successiva – come detto – alla data di pronuncia della sentenza di
appello.
5.2. Manifestamente infondato è il secondo motivo di ricorso.
Assume il ricorrente la palese contraddittorietà ed illogicità della
sentenza nella parte in cui, ad onta della manifesta insussistenza
degli elementi costitutivi della fattispecie associativa di cui al capo A),
ha dichiarato la prescrizione del reato in luogo dell’assoluzione nel
merito.
Invero, secondo il costante insegnamento della giurisprudenza di
legittimità (cfr., Sez. 4, sent. n. 40799 del 18/09/2008, dep.
31/10/2008, P.G. in proc. Merli, Rv. 241474), in presenza di una
causa di estinzione del reato (nella specie, prescrizione), non sono
rilevabili in sede di legittimità vizi di motivazione della sentenza
impugnata perché l’inevitabile rinvio della causa all’esame del giudice
di merito dopo la pronuncia di annullamento è incompatibile con
l’obbligo dell’immediata declaratoria di proscioglimento stabilito
dall’art. 129 cod. proc. pen., salvo che nella sentenza impugnata si
dia atto della sussistenza dei presupposti per la pronunzia di
assoluzione, sia pure ai sensi del secondo comma dell’art. 530 cod.
proc. pen., atteso che, nel vigente sistema processuale, l’assoluzione

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per insufficienza o contraddittorietà della prova è del tutto equiparata
alla mancanza di prove e costituisce pertanto pronunzia più
favorevole rispetto a quella di estinzione del reato.
Nella fattispecie, la Corte ha ampiamente motivato le ragioni per le
quali si è ritenuto che non vi sia spazio per una pronuncia assolutoria
nei confronti di tutti gli imputati, avuto riguardo alle prove di natura
documentale e testimoniale raccolte attraverso le operazioni di

intercettazione telefonica (delle quali si dà conto nelle pagine da 5 a
16 della sentenza di primo grado, a cui si rimanda).
5.3. Manifestamente infondato è il terzo motivo di ricorso.
Congrua e giustificata è la pronuncia di appello in relazione
all’affermazione della penale responsabilità del ricorrente in relazione
ai capi D) e Q).
Con riferimento al capo D), la Corte territoriale rileva come la prova
della consapevolezza da parte del Musso “di aver agito in seno ad
un’organizzazione dedita al riciclaggio di auto provenienti dall’estero
emerge dal fatto che l’imputato ha scientemente formato una falsa
fattura a nome di Daddi Carlo in relazione all’autovettura di
provenienza furtiva indicata al capo D), in modo tale da farla risultare
acquistata all’estero; dunque, il Musso era ben consapevole che la
formazione di tale documento falso fosse funzionale a impedire
l’identificazione della provenienza furtiva del mezzo. Inoltre lo stesso
Musso, su indicazione del Quartararo, provvedeva, subito dopo il
sequestro dell’autovettura, a cancellare i dati contenuti nel personal
computer in uso al Quartararo medesimo ciò all’evidente fine di
distruggere dati costituenti traccia dell’attività di riciclaggio posta in
essere non soltanto con riferimento al veicolo sequestrato …”.
Con riferimento al capo Q), la Corte territoriale, dopo aver
evidenziato come le tre carte d’identità in bianco contraffatte ed il
certificato di omologazione tedesco contraffatto vennero sequestrati
allo stesso Musso, ha riconosciuto come “la disponibilità di tali
documenti … da parte dell’imputato e la mancata giustificazione da
parte di costui di tale disponibilità costituiscono elementi che
consentono di ritenere raggiunta la prova (del reato) …”.
5.4. Manifestamente infondato è il quarto motivo di ricorso.
Come già visto in precedenza (v. paragrafo 4.2. del considerato in
diritto), secondo il costante insegnamento della giurisprudenza di

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AI

questa Suprema Corte (cfr., Sez. 6, sent. n. 9120 del 02/07/1998,
dep. 04/08/1998, Urrata S. e altri, Rv. 211582), deve ritenersi
adempiuto l’obbligo di motivazione del giudice di merito sulla
determinazione in concreto della misura della pena allorché siano
indicati nella sentenza gli elementi ritenuti rilevanti o determinanti
nell’ambito della complessiva dichiarata applicazione di tutti i criteri di
cui all’art. 133 cod. pen..

La graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle
diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti,
rientra infatti nella discrezionalità del giudice di merito, che la
esercita, così come per fissare la pena base, in aderenza ai principi
enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen.; ne discende che è
inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una
nuova valutazione della congruità della pena la cui determinazione
non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico (Sez. 5,
sent. n. 5582 del 30/09/2013, dep. 04/02/2014, Ferrario, Rv.
259142), ciò che – nel caso di specie – non ricorre. Invero, una
specifica e dettagliata motivazione in ordine alla quantità di pena
irrogata, specie in relazione alle diminuzioni o aumenti per
circostanze, è necessaria soltanto se la pena sia di gran lunga
superiore alla misura media di quella edittale, potendo altrimenti
essere sufficienti a dare conto dell’impiego dei criteri di cui all’art. 133
cod. pen. le espressioni del tipo: “pena congrua”, “pena equa” o
“congruo aumento”, come pure il richiamo alla gravità del reato o alla
capacità a delinquere (Sez. 2, sent. n. 36245 del 26/06/2009, dep.
18/09/2009, Denaro, Rv. 245596): nella fattispecie, la Corte
territoriale ha opera, valido ed esaustivo, riferimento al “disvalore
complessivo dei fatti contestati”.
Medesime conclusioni di manifesta infondatezza vanno tratte con
riferimento alle proposte censure in punto diniego di concessione
delle circostanze attenuanti generiche.
Sebbene la Corte territoriale non abbia espressamente esplicitato le
ragioni del mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti
generiche la cui richiesta veniva giustificata con l’esigenza di operare
un adeguamento del trattamento sanzionatorio, nondimeno, ritiene il
Collegio come si sia comunque in presenza di valida motivazione
implicita.

13

La giurisprudenza di questa Suprema Corte ha costantemente
affermato (v., ex multis, Sez. 4, sent. n. 2840 del 21/02/1997, dep.
25/03/1997, La Legname e altro, Rv. 207668) che deve ritenersi
rigettata con motivazione implicita la richiesta di concessione delle
attenuanti generiche, in presenza di adeguata motivazione circa la
richiesta della attenuazione del regime sanzionatorio, basata su
analogo ordine di motivi. Nella fattispecie, avendo i giudici di secondo

grado ritenuto i fatti, per i quali è stata confermata la condanna, di
gravità tale da giustificare la pena, riconosciuta come proporzionata,
originariamente irrogata e, non ritenendo l’esistenza di alcuna altra
ragione per concedere il beneficio richiesto, hanno inevitabilmente
concluso per il rigetto della richiesta.

6. Ricorso di Passavia Antonino.
6.1. Evocativo di mere censure in fatto e manifestamente infondato è
il primo motivo di ricorso.
Va innanzitutto premesso che, secondo la consolidata giurisprudenza
di legittimità, in tema di motivi di ricorso per cassazione, il vizio di
travisamento della prova, desumibile dal testo del provvedimento
impugnato o da altri atti del processo purché specificamente indicati
dal ricorrente, è ravvisabile ed efficace solo se l’errore accertato sia
idoneo a disarticolare l’intero ragionamento probatorio, rendendo
illogica la motivazione per la essenziale forza dimostrativa del dato
processuale/probatorio, fermi restando il limite del “devolutum” in
caso di cosiddetta “doppia conforme” e l’intangibilità della valutazione
nel merito del risultato probatorio (cfr., ex multis, Sez. 6, sent. n.
5146 del 16/01/2014, dep. 03/02/2014, Del Gaudio e altri, Rv.
258774).
In ogni caso, va evidenziato come non spetti alla Suprema Corte
rivalutare il modo con cui quello specifico mezzo di prova è stato
apprezzato dal giudice di merito, giacché, attraverso la verifica del
travisamento della prova, il giudice di legittimità può e deve limitarsi
a controllare se gli elementi di prova posti a fondamento della
decisione esistano o, per converso, se ne esistano altri
inopinatamente e ingiustamente trascurati o fraintesi.
Per questo motivo, non può esservi spazio alcuno ad una rinnovata
considerazione della valenza attribuita ad una determinata

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deposizione testimoniale, mentre potrebbe – in ipotesi – farsi valere la
mancata considerazione di altra deposizione testimoniale di segno
opposto esistente in atti, ma non considerata dal giudice ovvero la
valenza ingiustamente attribuita ad una deposizione testimoniale
inesistente o che presenti un contenuto diametralmente opposto a
quello percepito dal giudicante e da lui riversato nella motivazione
(cfr., Sez. 2, sent. n. 6078 del 09/01/2009, dep. 11/02/2009,

Tripodi, Rv. 243448).
Nella fattispecie, peraltro, il ricorrente non deduce l’inesistenza della
prova posta a fondamento della decisione ma propone una diversa
valutazione degli elementi di prova, deducendo quindi un vizio
riconducibile al c.d. travisamento del fatto.
La Corte di cassazione non può però optare per la soluzione che
ritiene più adeguata sulla ricostruzione dei fatti valutando
l’attendibilità dei testi (e, ove esistenti, le conclusioni di periti e
consulenti tecnici) esclusa dai giudici di merito: può soltanto
verificare se un mezzo di prova esista e se il risultato della prova sia
quello indicato dal giudice di merito e sempre che questa verifica non
si risolva in una valutazione della prova.
Come accennato in premessa, infatti, il giudice di legittimità non ha il
potere di rivalutare gli elementi di prova al fine di pervenire ad una
diversa ricostruzione del fatto essendo questo compito esclusivo del
giudice di merito. Il travisamento del fatto – inteso nel senso indicato
– non può pertanto costituire motivo di ricorso in cassazione se inteso
nel senso di una complessiva rivalutazione degli elementi di fatto
posti a fondamento della decisione e senza che venga indicata alcuna
(manifesta) illogicità in cui sia incorso il giudice di merito in questa
ricostruzione. E sempre che – come è avvenuto nel caso di specie – il
giudice di appello abbia fornito non illogica risposta alle
argomentazioni in fatto contenute nei motivi di appello (cfr., Sez. 4,
sent. n. 36769 del 09/06/2004, dep. 17/09/2004, Cricchi ed altri, Rv.
229690).
Fermo quanto precede, dopo aver evidenziato come il ricorrente “ha
limitato” la propria censura alla sola imputazione di tentato riciclaggio
di cui al capo D), a suffragare le summenzionate conclusioni, merita
di essere riportata l’esaustiva motivazione della sentenza impugnata,
secondo cui “… il Passa via risulta essere il titolare dell’agenzia presso

15

la quale si sarebbe dovuta immatricolare la vettura menzionata in
seno al medesimo capo D). Il tenore della conversazione telefonica
fra il Passa via e La Corte Filippo, che gli chiedeva di effettuare tale
immatricolazione, rende evidente che l’imputato aveva già
predisposto ogni cosa (perfino le targhe) per l’immatricolazione, ma
che infine si era rifiutato di portare a buon fine la pratica affermando
che si trattava di “una bomba”, con ciò rendendo evidente che il

rifiuto era legato al timore che l’attività di “ripulitura” dei dati del
veicolo, già effettuata, venisse alla luce”: trattasi, all’evidenza, di un
articolato costrutto di responsabilità, adesivo alle statuizioni del primo
giudice, avverso il quale il ricorso finisce con il proporre una sua
alternativa, per lui preferibile, ma non consentita, rivalutazione sia
delle singole emergenze processuali, sia del complesso dei dati
probatori, quali invece ragionevolmente correlati ed interpretati dai
giudici di merito, che hanno espresso il loro convincimento con una
motivazione persuasiva, priva di illogicità od incoerenze, apprezzabili
ex art. 606 cod. proc. pen., nonchè indenne da travisamenti dei fatti
oppure delle prove acquisite.
6.2. Manifestamente infondato è il secondo motivo di ricorso.
Come già visto in precedenza (v. paragrafi 4.2. e 5.4 del considerato
in diritto), secondo il costante insegnamento della giurisprudenza di
questa Suprema Corte (cfr., Sez. 6, sent. n. 9120 del 02/07/1998,
dep. 04/08/1998, Urrata S. e altri, Rv. 211582), deve ritenersi
adempiuto l’obbligo di motivazione del giudice di merito sulla
determinazione in concreto della misura della pena allorché siano
indicati nella sentenza gli elementi ritenuti rilevanti o determinanti
nell’ambito della complessiva dichiarata applicazione di tutti i criteri di
cui all’art. 133 cod. pen..
La graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle
diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti,
rientra infatti nella discrezionalità del giudice di merito, che la
esercita, così come per fissare la pena base, in aderenza ai principi
enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen.; ne discende che è
inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una
nuova valutazione della congruità della pena la cui determinazione
non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico (Sez. 5,
sent. n. 5582 del 30/09/2013, dep. 04/02/2014, Ferrarlo, Rv.

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259142), ciò che – nel caso di specie – non ricorre. Invero, una
specifica e dettagliata motivazione in ordine alla quantità di pena
irrogata, specie in relazione alle diminuzioni o aumenti per
circostanze, è necessaria soltanto se la pena sia di gran lunga
superiore alla misura media di quella edittale, potendo altrimenti
essere sufficienti a dare conto dell’impiego dei criteri di cui all’art. 133
cod. pen. le espressioni del tipo: “pena congrua”, “pena equa” o

“congruo aumento”, come pure il richiamo alla gravità del reato o alla
capacità a delinquere (Sez. 2, sent. n. 36245 del 26/06/2009, dep.
18/09/2009, Denaro, Rv. 245596): nella fattispecie, la Corte
territoriale ha opera, valido ed esaustivo, riferimento al “disvalore
complessivo dei fatti contestati”.

7. Ricorso di Priolo Paolo.
7.1. Generico e manifestamente infondato è l’unico motivo di ricorso
proposto.
Con riferimento alla denunciata omessa pronuncia assolutoria in
relazione al capo A), si rimanda alle considerazioni esposte nel
precedente paragrafo 5.2. del considerato in diritto.
Per quanto attiene, invece, ai reati di cui ai capi E) ed R), rileva il
Collegio come la motivazione della sentenza impugnata sia del tutto
congrua e priva dei vizi logico-giuridici lamentati.
Evidenzia la Corte territoriale come

“la condotta contestata

all’imputato (ai capi E ed R della rubrica), e consistita nell’essersi
costui intestato le autovetture menzionate nei suddetti capi
d’imputazione, integra il delitto di riciclaggio in quanto idonea ad
ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa delle vetture
se si considera che, per effettuare tali intestazioni, il Priolo ha
utilizzato delle false fatture di acquisto delle autovetture all’estero e
dei falsi certificati di immatricolazione apparentemente rilasciato in
uno Stato estero. Invero, l’immatricolazione della vettura in Italia
costituisce l’ultimo atto delle operazioni tese a ostacolare
l’identificazione della provenienza furtiva della vettura, considerato
che con l’immatricolazione il soggetto intestatario … dichiara e
documenta falsamente di avere acquistato all’estero il mezzo”.
Come è noto, il testo dell’art. 648 bis cod. pen., accanto alla condotta
di “trasferimento” e di “sostituzione”, prevede anche quella che si

4

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sostanzia nel compimento di “altre operazioni, in modo da ostacolare
l’identificazione” della provenienza delittuosa del bene.
Il legislatore, in tal modo, ha voluto colpire tutte le condotte
utilizzabili (“altre operazioni”) per il riciclaggio, purché abbiano la
caratteristica di “ostacolare l’identificazione della provenienza
delittuosa” del bene, tanto che si può affermare che sia proprio
quest’ultima idoneità lesiva il nucleo centrale della fattispecie

criminosa, quello che consente la riconducibilità della fattispecie
concreta all’ipotesi astratta formulata dalla norma.
Nel caso di specie, pur non essendovi stata un’alterazione materiale
degli autoveicoli provento di furto, l’imputato si è prestato da fungere
da prestanome nelle operazioni di abusiva reinnmatricolazione degli
stessi attraverso l’utilizzo di falsa documentazione, in modo da
condurre gli appartenenti alle Forze dell’ordine a supporre che il
conducente fosse anche il proprietario dell’autoveicolo, in tal modo
ostacolando l’accertamento della provenienza delittuosa in caso di
controlli su strada che non avessero avuto a disposizione la possibilità
di interrogare gli archivi informatici per la verifica dei dati falsamente
forniti: condotta che, certamente, integra il reato di riciclaggio attesa
l’idoneità della condotta ai suindicati fini elusivi (cfr., Sez. 2, sent. n.
11895 del 17/02/2009, dep. 18/03/2009, Veroggio, Rv. 244379;
nello stesso senso, Sez. 2, sent. n. 2074 del 13/12/2012, dep.
16/01/2013, Rossi e altri, Rv. 254234, con riferimento al reato di
riciclaggio commesso per mezzo della falsificazione di un documento).

8. Alla pronuncia consegue, per il disposto dell’art. 616 cod. proc.
pen., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali
nonché al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una
somma che, considerati i profili di colpa emergenti dai ricorsi, si
determina equitativamente in euro 1.000,00 per ciascuno

PQM

dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento
delle spese processuali e ciascuno della somma di Euro 1.000,00 alla
Cassa delle ammende.
Così deliberato in Roma, udienza pubblica del 25.11.2015

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Il Consigliere estensore
Dott. Ardrqm Pellegrino

Il P esidente
Dott. Anto

Esposito

LJ

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