Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 50156 del 25/11/2015


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 50156 Anno 2015
Presidente: ESPOSITO ANTONIO
Relatore: PELLEGRINO ANDREA

Data Udienza: 25/11/2015

SENTENZA
Sul ricorso proposto nell’interesse di Fratini Paolo, n. a Campi
Bisenzio il 18.08.1938, rappresentato e assistito dall’avv. Francesco
Maresca, di fiducia, avverso la sentenza della Corte d’appello di
Firenze, seconda sezione penale, n. 3409/2013, in data 28.11.2014;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
preso atto della ritualità delle notifiche e degli avvisi;
sentita la relazione della causa fatta dal consigliere dott. Andrea
Pellegrino;
udita la requisitoria del Sostituto procuratore generale dott. Fulvio
Baldi che ha concluso chiedendo di dichiararsi l’inammissibilità del
ricorso;
sentita la discussione del difensore della parte civile, eredi
testamentari di Turchi Silvana, avv. Daniele Santucci che ha concluso
chiedendo di confermarsi la sentenza di secondo grado;

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sentita la discussione del difensore del ricorrente, avv. Francesco
Maresca, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza in data 28.11.2014, la Corte d’appello di Firenze
confermava la pronuncia di primo grado resa nei confronti di Fratini

Paolo dal Tribunale di Firenze, in composizione monocratica, che lo
aveva condannato alla pena di anni uno e mesi otto di reclusione
(omessa la pena pecuniaria) per il reato di appropriazione indebita
pluriaggravata continuata. Con la medesima pronuncia, il Fratini
veniva altresì condannato a restituire agli eredi di Turchi Silvana la
somma di euro 165.933,85 oltre interessi nonché al risarcimento dei
danni morali provocati, quantificati in euro 1.000,00 (beneficio della
sospensione condizionale della pena subordinata al pagamento della
somma disposta a titolo di risarcimento del danno alla parte civile).
2. Avverso detta sentenza, nell’interesse di Fratini Paolo, viene
proposto ricorso per cassazione per i seguenti motivi:
– mancanza e contraddittorietà della motivazione in relazione alla
prova della sussistenza del reato in relazione alla qualifica del
possesso delle somme di denaro (primo motivo);
– mancanza e contraddittorietà della motivazione in relazione alla
prova della sussistenza del reato in relazione al rapporto obbligatorio
instauratosi tra le parti (secondo motivo);
– contraddittorietà della motivazione in ordine alla mancata
concessione delle circostanze attenuanti generiche (terzo motivo).
2.1. In relazione al primo motivo, si censura la sentenza impugnata
che ha omesso di considerare come la genesi del rapporto sussistente
tra l’imputato e la zia Turchi Silvana fosse costituito dalla volontaria
spontanea

delega

di

quest’ultima

al

nipote

al

fine

dell’amministrazione dei propri beni. L’affermazione poi dell’avvenuta
utilizzazione da parte del ricorrente per fini personali delle somme a
lui assegnate manca totalmente di prova.
2.2. In relazione al secondo motivo, pari totale carenza di
motivazione si registra in relazione all’ulteriore aspetto costituito dalla
sussistenza del rapporto fiduciario dell’amministrazione dei beni
instauratosi tra la Turchi ed il Fratini.

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2.3. In relazione al terzo motivo, si censura il diniego delle
circostanze attenuanti generiche ad un soggetto, non più di giovane
età e privo di qualsivoglia precedente penale.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è manifestamente infondato e, come tale, risulta

inammissibile.
2. Va osservato in premessa come, secondo il costante insegnamento
di questa Corte Suprema (per tutte, Sez. U, sent. n. 6402 del
30/04/1997, dep. 02/07/1997, Dessimone e altri, Rv. 207944),
l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un
orizzonte circoscritto, perché il sindacato demandato alla Corte di
cassazione è limitato a riscontrare l’esistenza di un logico apparato
argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza
possibilità di verificare l’intrinseca adeguatezza e congruità delle
argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare
il suo convincimento.
2.1. Dai poteri della Suprema Corte esula, quindi, ogni “rilettura”
degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata,
la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito. In
particolare, non può integrare il vizio di legittimità la mera
prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata,
valutazione delle risultanze processuali perché, appunto, la Suprema
Corte non può sovrapporre una propria valutazione delle risultanze
processuali a quella compiuta nei precedenti gradi, ma invece può, e
deve, saggiare la tenuta logica della pronuncia portata alla sua
cognizione.
Ciò, in quanto, nel momento del controllo della motivazione, la
Suprema Corte non deve stabilire se la decisione di merito proponga
la migliore ricostruzione dei fatti, ne’ deve condividerne la
giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se la giustificazione
contenuta nella sentenza impugnata sia compatibile con il senso
comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento
(Sez. 4, sent. n. 4842 del 02/12/2003, dep. 06/02/2004, Elia e altri).
2.2. Né la novella codicistica introdotta con la I. n. 46 del 2006,
ammettendo l’indagine extratestuale per la rilevazione dell’illogicità

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manifesta e della contraddittorietà della motivazione, ha modificato la
natura del sindacato della Suprema Corte, il cui controllo rimane
limitato alla struttura del discorso giustificativo del provvedimento
impugnato e non può comportare una diversa lettura del materiale
probatorio, anche se astrattamente plausibile, sicché anche dopo la
legge 46/2006 occorre invece che gli elementi probatori indicati in
ricorso (ignorati, inesistenti o travisati, non solo diversamente

valutati) siano per sé decisivi in quanto dotati di una intrinseca forza
esplicativa tale da vanificare l’intero ragionamento del giudice del
merito (Sez. 3, sent. n. 37006 del 27/09/2006, dep. 09/11/2006,
Piras, Rv. 235508).
Decisività che deve essere oggetto di specifica e non assertiva
deduzione della parte, in esito al confronto con tutta la motivazione
della decisione impugnata, pena l’immediata ‘contaminazione’ del
rilievo in termini di preclusa censura di merito.
2.3. Il controllo di logicità della motivazione che sorregge la decisione
di merito può, in secondo luogo, essere eseguito solo, come prima
accennato, in riferimento ai tassativi vizi che esclusivamente rilevano
in questo giudizio: la assenza di motivazione (anche nella forma della
mera apparenza grafica), la ‘manifesta’ illogicità e la
contraddittorietà, così come previsto dalla lettera e) del primo comma
dell’art. 606 cod. proc. pen.: questo significa, ad esempio, che la
mera ‘illogicità’ della motivazione è irrilevante, perché
strutturalmente diversa dalla ‘manifesta illogicità’, vizio distinto dal
precedente e unico rilevante.
Infatti, l’illogicità della motivazione censurabile a norma dell’art. 606,
comma 1, lett. e) cod. proc. pen., è solo quella evidente, cioè di
spessore tale da risultare percepibile “ictu ocu/i” (Sez. U, sent. 47289
del 24/09/2003, dep. 10/12/2003, Petrella).
2.4. Altrettanto irrilevanti, perché diverse da quelle tassativamente e
solo previste dalla lettera e) sono, a titolo esemplificativo, le censure
che attribuiscono alla motivazione di essere incongrua, non plausibile,
non persuasiva, non esaustiva, insufficiente o insoddisfacente.
Si tratta, infatti, di ‘difetti’ e vizi che, ancorché in ipotesi
effettivamente presenti nella motivazione del provvedimento
impugnato, sono irrilevanti nel giudizio di legittimità, che non
possono

pertanto

efficacemente

introdurre,

perché

propri

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dell’apprezzamento di stretto merito.
Sulla base di queste premesse va esaminato l’odierno ricorso.
3. Manifestamente infondato sono sia il primo che il secondo motivo
di ricorso – trattabili congiuntamente per sostanziale omogeneità di
tema – con i quali si censura la configurabilità del reato in
contestazione reiterando le doglianze presentate in grado di appello e
disattese dalla Corte territoriale con motivazione del tutto congrua e

priva di vizi logico-giuridici.
3.1. Al riguardo, va ricordato che, per consolidata giurisprudenza di
questa Suprema Corte, deve ritenersi inammissibile il ricorso per
cassazione fondato su motivi che si risolvono nella pedissequa
reiterazione di quelli già dedotti in appello e motivatamente disattesi
dal giudice di merito, dovendosi gli stessi considerare non specifici ma
soltanto apparenti, in quanto non assolvono la funzione tipica di
critica puntuale avverso la sentenza oggetto di ricorso (v., tra le
tante, Sez. 5, sent. n. 25559 del 15/06/2012, Pierantoni; Sez. 6,
sent. n. 22445 del 08/05/2009, p.m. in proc. Candita, Rv. 244181;
Sez. 5, sent. n. 11933 del 27/01/2005, Giagnorio, Rv. 231708).
In altri termini, è del tutto evidente che, a fronte di una sentenza di
appello che ha fornito una risposta ai motivi di gravame, la
pedissequa riproduzione di essi come motivi di ricorso per cassazione
non può essere considerata come critica argomentata rispetto a
quanto affermato dalla Corte d’appello: in questa ipotesi, pertanto, i
motivi sono necessariamente privi dei requisiti di cui all’art. 581 cod.
proc. pen., comma 1, lett. c), che impone la esposizione delle ragioni
di fatto e di diritto a sostegno di ogni richiesta (Sez. 6, sent. n. 20377
del 11/03/2009, Arnone, Rv. 243838).
3.2. I giudici di secondo grado dopo aver ampiamente lumeggiato la
mala fede del ricorrente, percepita dalla stessa Turchi Silvana che
aveva esplicitato la propria avversione alle condotte del Fratini (v.
pag. 10 della sentenza impugnata), evidenziano che” … posto che gli
assegni emessi dalla Turchi erano in bianco, essi avrebbero dovuto
essere compilati mediante l’indicazione di importi che avrebbero
dovuto essere esclusivamente destinati a coprire í bisogni della
gestione familiare della zia; le somme in eccedenza, non destinate a
quei bisogni e rinvenute su conto corrente del Fratini per l’importo
accertato dagli inquirenti, pari ad oltre 165.000 euro, costituiscono

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quindi somme delle quali il Fratini si era appropriato, gestendo quei
denari uti dominus, al di là ed oltre quella delega che gli aveva
concesso la zia, unicamente in virtù del rapporto di parentela e della
fiducia che ella sentiva per il Fratini, marito di una nipote”.
3.3. Del tutta giustificato è il richiamo alla giurisprudenza di questa
Suprema Corte (Sez. 2, sent. n. 46256 del 17/10/2013, dep.
19/11/2013, Deodato, Rv. 257446) che, statuendo con riferimento

alla fattispecie del mandatario che si appropria della “res” affidatagli,
riconosce come commette il delitto di appropriazione indebita il
mandatario che, violando le disposizioni impartitegli dal mandante, si
appropri del denaro ricevuto utilizzandolo per propri fini e, quindi, per
scopi diversi ed estranei agli interessi del mandante, con sostanziale
irrilevanza della destinazione finale di tali somme comunque finite
nella disponibilità esclusiva dell’accipiens. Parimenti consequenziale si
rivela la chiosa finale dei giudici di merito secondo cui “l’ammontare,
di consistenza non indifferente, rimasto per differenza sul conto
dell’imputato, in assenza di adeguata giustificazione di spesa, mai
fornita dall’imputato, attesta che evidentemente gli assegni venivano
compilati per importi superiori a quelli destinati ai bisogni della
Turchi, quindi evidentemente senza nessuna autorizzazione della
donna, dal che discende che quelle sono state le somme oggetto della
indebita appropriazione perpetrata da parte dell’imputato”.
4. Manifestamente infondato è anche il terzo motivo di ricorso.
Ampiamente giustificato è il diniego di riconoscimento delle
circostanze attenuanti generiche, avendo a tal fine la Corte
territoriale evidenziato l’assenza di ragioni tese a giustificare una
riduzione del trattamento sanzionatorio in considerazione della
“gravità della condotta delittuosa posta in essere per un periodo di
diversi anni e senza nessuna resipiscenza da parte del Fratini, che
non risulta abbia mai proposto di risarcire il danno provocato,
offrendo una restituzione, anche in parte qua, delle somme di cui si
era indebitamente appropriato”.
4.1. Invero, quanto alla concessione delle circostanze attenuanti
generiche, va qui riaffermato il principio (v., ex multis, Sez. 3, sent.
n. 44071 del 25/09/2014, dep. 23/10/2014, Papini e altri, Rv.
260610) che, in caso di diniego, soprattutto dopo la specifica modifica
dell’art. 62 bis cod. pen. operata con il D.L. 23 maggio 2008, n. 2002

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convertito con modif. dalla L. 24 luglio 2008, n. 125 che ha sancito
essere l’incensuratezza dell’imputato non più idonea da sola a
giustificarne la concessione va ribadito che è assolutamente
sufficiente che il giudice si limiti a dar conto, come nel caso in esame,
di avere ritenuto l’assenza di elementi o circostanze positive a tale
fine.
4.2. In tema di attenuanti generiche, posto che la ragion d’essere

della relativa previsione normativa è quella di consentire al giudice un
adeguamento, in senso più favorevole all’imputato, della sanzione
prevista dalla legge, in considerazione di peculiari e non codificabili
connotazioni tanto del fatto quanto del soggetto che di esso si è reso
responsabile, la meritevolezza di detto adeguamento non può mai
essere data per scontata o per presunta, sì da dar luogo all’obbligo,
per il giudice, ove questi ritenga invece di escluderla, di giustificarne
sotto ogni possibile profilo, l’affermata insussistenza.
Al contrario, secondo una giurisprudenza univoca di questa Corte
Suprema, è la suindicata meritevolezza che necessita essa stessa,
quando se ne affermi l’esistenza, di apposita motivazione dalla quale
emergano, in positivo, gli elementi che sono stati ritenuti atti a
giustificare la mitigazione del trattamento sanzionatorio;
trattamento la cui esclusione risulta, per converso, adeguatamente
motivata alla sola condizione che il giudice, a fronte di specifica
richiesta dell’imputato volta all’ottenimento delle attenuanti in
questione, indichi – come nella fattispecie – delle plausibili ragioni a
sostegno del rigetto di detta richiesta, senza che ciò comporti tuttavia
la stretta necessità della contestazione o della invalidazione degli
elementi sui quali la richiesta stessa si fonda (così, ex multis, Sez. 1,
sent. n. 11361 del 19/10/1992, Gennuso, Rv. 192381; Sez. 1, sent.
n. 12496 del 21/09/1999, Guglielmi ed altri, Rv. 214570; Sez. 6,
sent. n. 13048 del 20/06/2000, Occhipinti ed altri, Rv. 217882; Sez.
1, sent. n. 29679 del 13/06/2011, Chiofalo ed altri, Rv. 219891).
In altra pronuncia, è stato poi ribadito che in tema di circostanze
attenuanti generiche, che consentono un adeguamento della sanzione
alle peculiari e non codificabili connotazioni tanto del fatto quanto del
soggetto, la meritevolezza di detto adeguamento non può mai essere
data per scontata o per presunta, avendo il giudice l’obbligo, ove
ritenga di escluderla, di giustificarne sotto ogni possibile profilo

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l’insussistenza e, quando ne affermi l’esistenza, di dare apposita
motivazione per fare emergere gli elementi atti a giustificare la
mitigazione del trattamento sanzionatorio (Sez. 2, sent. n. 2769 del
02/12/2008, dep. 21/01/2009, Poliseo, Rv. 242709). Ancora, sempre
di recente, questa Corte di legittimità aveva riaffermato che, ai fini
del diniego , non è necessario che il giudice prenda in considerazione
tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili

decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli
altri da tale valutazione (così, Sez. 3, sent. n. 23055 del 23/04/2013,
Banic e altro, Rv. 256172 che ha ritenuto giustificato il diniego delle
attenuanti generiche motivato con esclusivo riferimento agli specifici
e reiterati precedenti dell’imputato, nonché al suo negativo
comportamento processuale).
4.3. In altri termini, va ribadito, dunque, che l’obbligo di analitica
motivazione in materia di circostanze attenuanti generiche qualifica la
decisione circa la sussistenza delle condizioni per concederle e non
anche la decisione opposta (così, Sez. 2, sent. n. 38383 del
10/07/2009, Squillace ed altro, Rv. 245241).
5. Alla pronuncia consegue, per il disposto dell’art. 616 cod. proc.
pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali
nonché al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una
somma che, considerati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si
determina equitativamente in euro 1.000,00. Il ricorrente va altresì
condannato al pagamento delle spese sostenute nel presente grado di
giudizio dalla parte civile Eredi di Turchi Silvana che si liquidano in
euro 3.000,00 oltre rimborso spese forfettarie nella misura del 15%,
CPA e IVA

PQM

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento
delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa
delle ammende nonché alla rifusione a favore della parte civile Eredi
di Turchi Silvana delle spese dalla stessa sostenute in questo grado di
giudizio liquidate in complessivi euro 3.000,00 oltre accessori di
legge.

A

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dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti

Così deliberato in Roma, udienza pubblica del 25.11.2015

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