Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 50150 del 12/11/2015


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 50150 Anno 2015
Presidente: GENTILE MARIO
Relatore: AIELLI LUCIA

ARAPI TIMOLEO nato il 24/4/1983 ;
avverso la sentenza n. 1644 /2013 della Corte d’Appello di Brescia del 27.11.2013 ;
visti gli atti , la sentenza ed il ricorso;
udita in pubblica udienza la relazione del Consigliere dott. Lucia AIELLI ;
udite le conclusioni del Sostituto procuratore generale dott. Alfredo VIOLA che ha
concluso per il rigetto del ricorso .

Ritenuto in fatto

Con sentenza del 27.11 .2013 la Corte d’Appello di Brescia in parziale riforma
della sentenza emessa dal Tribunale di Brescia in data 27.11.2012 , su appello del
Pubblico Ministero, condannava Arapi Timoleo per il delitto di estorsione aggravata come

Data Udienza: 12/11/2015

originariamente contestato , rispetto al delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni
ritenuto in primo grado.
Avverso tale sentenza propone ricorso per Cassazione l’imputato Arapi Timoleo il
quale deduce : 1) l’inosservanza o erronea applicazione della legge penale ( art. 606 lett.
b) c.p.p.) in relazione alla ritenuta sussistenza della fattispecie di cui all’art. 629 c.p., in
luogo di quella minore di cui all’art. 393 c.p., atteso che la Corte d’Appello, pur non
escludendo la fondatezza del diritto del ricorrente, ha ritenuto sussistente il reato di
estorsione in ragione delle modalità della condotta dell’Arapi da cui, invero non era
derivata alcuna lesione, inoltre la condotta si era esaurita in poche ore e le vittime non

2) con il secondo motivo I ‘Arapi deduce la mancanza o manifesta illogicità della
motivazione ( art. 606 lett. e) c.p.p. in relazione all’art. 393 c.p., in quanto la Corte
d’Appello ha dapprima qualificato come discutibile il diritto di credito vantato
dall’imputato, poi, nel riconoscergli le circostanze attenuanti generiche, in regime di
prevalenza, ha valorizzato il dato della sua convinzione di aver subito un torto ; inoltre la
Corte, a dire della difesa, ha reso una motivazione viziata da illogicità e contraddittorietà
laddove ha dapprima valutato la condotta del ricorrente fortemente pervicace,
spregiudicata e intimidatoria e poi, nel riconoscere le circostanze attenuanti generiche in
regime di prevalenza, ha evidenziato che la stessa si discostava dalle ordinarie vicende
estorsive.
IN DIRITTO
Il ricorso è infondato.
Occorre premettere che in tema di differenziazione tra il reato di estorsione ed
esercizio arbitrario delle proprie ragioni si registra un oscillamento
giurisprudenziale . Si sono infatti sviluppati , in parte qua , due distinti filoni
interpretativi , da un lato la giurisprudenza che afferma che la distinzione tra le
due fattispecie, non è correlata alla materialità del fatto, che può essere identica
in entrambe le ipotesi, ma piuttosto, nell’elemento intenzionale: quale che sia
stata l’intensità e la gravità della violenza o della minaccia, solo l’azione che miri
all’attuazione di una pretesa non suscettibile di tutela giudiziaria merita di essere
tipizzata in termini di estorsione (da ultimo cfr. Sez. 2, n. 23765/2015 rv.
264106; Sez. 2 n. 9759/2015, rv. 263298; Sez. 2 , n. 51433/2013 rv. 257375).
Dall’altro, la giurisprudenza che afferma che se è vero che l’elemento intenzionale
costituisce in linea di principio la linea di demarcazione delle due ipotesi
delittuose, la gravità della violenza e la intensità dell’intimidazione veicolata con la
minaccia, non costituiscono momenti del tutto indifferenti nel qualificare il fatto in
termini di estorsione piuttosto che di esercizio arbitrario ex art. 393 c.p..Poiché,
infatti, nel delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni la condotta violenta o
minacciosa non è fine a se stessa, ma è strettamente connessa alla finalità
dell’agente di far valere il preteso diritto, rispetto al cui conseguimento si pone
come elemento accidentale, non può mai consistere in manifestazioni
sproporzionate e gratuite di violenza. Quando la minaccia, dunque, si estrinseca in
forme di tale forza intimidatoria e di sistematica pervicacia che vanno al di là di

furono mai coartate nel loro agire ;

ogni ragionevole intento di far valere un diritto, allora la coartazione dell’altrui
volontà, è finalizzata a conseguire un profitto che assume ex se i caratteri
dell’ingiustizia. Con la conseguenza che in determinate circostanze e situazioni
anche la minaccia dell’esercizio di un diritto, in sè non ingiusta, può diventare
tale, se le modalità denotano soltanto una prava volontà ricattatoria, che fanno
sfociare l’azione in mera condotta estorsiva (cfr. in termini Sez. 1, Sentenza n.
32795 del 02/07/2014 Rv. 261291; Sez. 6, n. 17785/2015, rv. 263255; Sez. 5
19230/2013 rv. 256249).
Secondo questo indirizzo, dunque, a fronte di un preteso diritto che sia possibile

arbitrario delle proprie ragioni ed estorsione, occorre verificare il grado di gravità
della condotta violenta o minacciosa per cui “si rimane indubbiamente nell’ambito
dell’estorsione ove venga esercitata una violenza gratuita e sproporzionata
rispetto al fine ovvero se si eserciti una minaccia che non lasci possibilità di scelta
alla vittima” (così Sez. 6, 7 settembre 2010, n. 32721, Hamidovic, Rv. 248169).
Nel caso in esame la Corte d’Appello attribuisce alla condotta dell’ Arapi la valenza
estorsiva, in adesione a tale orientamento giurisprudenziale , valorizzando il dato
delle modalità dell’azione, puntualmente descritte a pag. 10 ( consistite nel
trattenere il Baresi presso l’ufficio del Conforti per oltre due ore, avvalendosi della
forza intimidatoria dei complici , minacciandolo ripetutamente di morte anche con
il gesto fortemente intimidatorio dello sgozzamento , se non avesse pagato la
somma richiesta , minacce ripetute per telefono alla socia Sanna, nell’averlo fatto
afferrare per il collo , nel minacciarlo nuovamente che lo avrebbe fatto sciogliere
nell’acido), evidenziando altresì che il diritto dell’Arapi , ad ottenere la restituzione
della somma di denaro, versata per la prestazione di intermediazione resa dalla
agenzia del Baresi, non era affatto certo, ma anzi, assai discutibile, sicchè
nemmeno potrebbe prospettarsi l’ipotesi della ragion fattasi, in assenza di una
pretesa legittima. In ragione di tale ulteriore argomentazione la Corte di merito
esclude decisamente il reato di cui all’art. 393 c.p. dando atto della ricorrenza
della estorsione, sia sotto il profilo oggettivo ( modalità dell’azione) , sia sotto il
profilo soggettivo, (per l’inesistenza del diritto azionabile ), sicchè la motivazione
proprio perché rafforzata sul punto, appare congrua ed esaustiva .
Quanto al secondo motivo di impugnazione, consistente nella illogicità o
contraddittorietà della motivazione avuto riguardo alla negazione della minore
ipotesi di cui all’art. 393 c.p., nonostante la Corte avesse ritenuto che l’Arapi
avesse agito con la convinzione di aver subìto un torto , argomento speso anche
per riconoscere all’imputato le circostanze attenuanti generiche in regime di
prevalenza sulle aggravanti , deve evidenziarsi che la Corte d’Appello ha utilizzato
tale argomento per modulare la pena ed adeguarla al caso concreto parametrando
l’esercizio del proprio potere discrezionale, agli elementi valutativi di cui agli artt.
133 e 69 c.p. ( pag. 12 ), senza che ciò potesse tuttavia incidere sulla effettiva
valenza estorsiva del fatto . Tale valutazione di merito è insindacabile nel giudizio

far valere davanti all’autorità giudiziaria, ai fini della distinzione tra esercizio

di legittimità, essendo il metodo di valutazione delle prove conforme ai principi
giurisprudenziali e l’argomentare scevro da vizi logici.
Al rigetto del ricorso segue la condanna al pagamento delle spese processuali .
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso, il 12 novembre 2015

Il Presidente

Il Consigliere estensore

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