Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 5014 del 15/01/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 5014 Anno 2014
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: IANNELLO EMILIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
ACHALAOUNE SADIK N. IL 28/03/1980
avverso la sentenza n. 3243/2008 CORTE APPELLO di ANCONA, del
03/05/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 15/01/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. EMILIO IANNELLO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. CACI tWE sTABit. E
e, T.r.
che ha concluso per ,e’

Udito, per la parte civile l’ vv
, Udit • i ensor Avv.

4

Data Udienza: 15/01/2014

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza del 26 gennaio 2011 il Giudice per l’udienza preliminare
presso il Tribunale di Ancona, all’esito di giudizio abbreviato, condannava
Achalaoune Sadik alla pena di anni dieci di reclusione ed euro 20.000,00 di
multa per il reato di cui agli artt. 81 cod. pen. e 73 d.P.R. 309/90 contestati ai
capi f) g ) h) i) j) ed i) della rubrica per aver ceduto sostanza stupefacente del
tipo cocaina ed hashish a Pieroni Roberto, Anderlini Andrea, Compagnoni

stupefacente da tale Aziz di Porto Recanati, in periodi compresi tra aprile 2007 e
maggio 2008.
Il giudice fondava la decisione sulle risultanze di intercettazioni telefoniche
eseguite sull’utenza tra l’altro dell’Achalaoune Sadik dall’aprile al giugno 2008,
dalle dichiarazioni degli acquirenti Anderlini, Compagnoni e Cannillo e da quelle
di Cherkaoui Amina (che nell’episodio contestato sub lett. / aveva accompagnato
in auto l’Achalaoune per il rifornimento presso l’Aziz) nonché da quelle di Pieroni
Roberto, rese nell’ambito di separato procedimento.
La stabilità del commercio e la quantità delle cessioni inducevano il G.u.p. a
determinare la pena in misura sensibilmente superiore al minimo edittale.

2. Interposto gravame dall’imputato in relazione alla ritenuta responsabilità
per i capi ,fl, g), l), nonché in punto di diniego delle attenuanti generiche e della
attenuante di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. 309/90 e di commisurazione della
pena, la Corte d’appello di Ancona, con la sentenza in epigrafe indicata, in
parziale riforma della sentenza impugnata, riduceva la pena inflitta all’Achaloune
ad anni 5 di reclusione ed euro 19.000,00 di multa.
Osservava in motivazione che l’affermazione della penale responsabilità di
Achalaoune Sadik, per i fatti subfi, g), l), risulta fondata su prove di inequivoca
solidità.
La Corte riteneva tale anzitutto la chiamata in correità da parte del Pieroni,
trovato in possesso di un considerevole quantitativo di hashish, in quanto dotata
dei connotati della chiarezza e precisione e supportata da elementi di riscontro
estrinseci convergenti, in assenza per contro di elementi che avvalorino l’ipotesi
di una volontà calunniosa ai danni dell’odierno imputato.
Osservava il giudice d’appello che Pieroni riconobbe in fotografia
nell’Achaloune il Sadik da cui aveva acquistato la sostanza, altresì specificando la
risalente durata dei suoi acquisti di hashish dal medesimo soggetto e indicando
e riconoscendo in fotografia il soggetto che si era presentato con lui all’incontro,
nella persona di Chaid Hicham.
2

Giorgio, Cannillo Cristina e per aver acquistato a fini di cessione sostanza

Attribuiva rilievo inoltre alle intercettazioni telefoniche, poiché queste
evidenziavano nel medesimo periodo rapporti tra i due attinenti allo smercio di
stupefacenti (rimarcava in particolare che, nelle telefonate dell’Il e 26 aprile
2008 – riportate alle pagine 8 e segg., 15 e segg. della informativa riassuntiva
dei Carabinieri di Osimo del 12 settembre 2008 – i due si scambiano
appuntamenti in riferimento ad affari per “stracci” o “giochetti”, termini utilizzati
dall’Achalaoune anche nei colloqui con il fornitore Mourad con cui aveva
maturato debiti da saldare).

ancora il contenuto di alcune intercettazioni, la Corte d’appello faceva riferimento
alle dichiarazioni rese da Cherkaoui Amina, la quale ha affermato di aver
accompagnato in macchina Achalaoune Sadik ad incontrare l’Aziz rendendo una
ricostruzione dettagliata delle modalità dell’incontro in cui il Sadik riceveva la
partita di droga; osservava che tale dichiarazione è lineare e precisa e concorda
con gli sviluppi di quel viaggio monitorati dalle intercettazioni telefoniche.
Evidenziava ancora che, secondo dichiarazioni della Cherkaoui, l’imputato
era conosciuto tra i consumatori della zona come spacciatore.
Soggiungeva inoltre come il Pieroni riferisca di aver acquistato con regolarità
sostanza da fumo dall’Achalaoune per circa un anno prima dell’ultima e più
consistente fornitura e come tale dato vada a convergere con quello acquisito in
merito alla attività di cessione verso Anderlini, Compagnoni e Cannini per fatti
che, seppur opportunamente minimizzati, vengono ammessi dallo stesso
Achalaoune.
Quanto al trattamento sanzionatorio rilevava che la continuità ed anche la
portata della cessione in riferimento al reato sub g) delineano un’attività di
spaccio di notevole capacità offensiva, in grado di alimentare stabilmente una
fetta del mercato locale e sostenuta da contatti e legami significativi nella catena
di rifornimento.
Detti elementi forniscono, secondo la corte territoriale, abbondanti
indicazioni di segno negativo in merito alla personalità del prevenuto, «la cui
dedizione pressoché professionale allo spaccio ne rappresenta in modo
eloquente l’inclinazione a delinquere per fini di profitto, in assenza di lecite fonti
di reddito», non potendosi nemmeno valorizzare in senso favorevole all’imputato
il suo comportamento processuale, in quanto mirato a rendere dichiarazioni ed
ammissioni nei soli limiti dei fatti meno compromettenti, dandone una
descrizione di basso profilo e rivolgendosi inoltre alle forze dell’ordine con
denunce legate ai problemi che la esposizione debitoria gli aveva creato ma che
non lo frenavano dal mantenere attivo al contempo il proprio traffico illecito,
come emerge dalle intercettazioni, e quindi senza dimostrare, quantomeno sino
3

In merito poi all’episodio di cui al capo I) d’imputazione, oltre a richiamare

alla presa d’atto delle emergenze a suo carico, alcuna significativa interruzione
dei legami con quel mondo.
Reputava nondimeno la Corte che il trattamento sanzionatorio inflitto in
primo grado fosse eccessivamente gravoso in rapporto alle caratteristiche dei
fatti ed alla fascia edittale fissata dal legislatore, e si giustificasse pertanto il
detto ridimensionamento.

3. Avverso tale decisione propone ricorso Achaloune Sadik, personalmente,

3.1. Con il primo motivo, in relazione ai capi

A

e g), deduce carenza di

motivazione ed erronea applicazione della legge penale.

3.1.1. Sotto il primo profilo, sostiene che sul punto la motivazione è basata
su elementi di natura del tutto apodittica.
Posto che unico elemento a tal fine valorizzato è rappresentato dalle
dichiarazioni accusatorie rese dal Pieroni, deduce che erroneamente i giudici di
merito hanno ritenuto che la chiamata in correità fosse del tutto attendibile
atteso che, se è innegabile che non emergono motivi di astio del Pieroni nei
confronti dell’odierno ricorrente, «è altrettanto innegabile che le motivazioni che
possono indurre un soggetto a determinate propalazioni accusatorie possono
avere anche natura differente, come ad esempio, il timore di ritorsioni».
Argomenta in tal senso che, considerato che i soggetti nei confronti dei quali
l’Achalaoune era debitore avevano incendiato ben tre macchine e le cucine di un
hotel come gesto intimidatorio nei confronti del cliente moroso, è evidente che il
Pieroni, temendo per la propria incolumità, abbia preferito incolpare piuttosto un
soggetto che sapeva essere del tutto innocuo, così anche ottenendo la
protezione dei reali spacciatori, riconoscenti per non averli accusati.
Rileva inoltre che la chiamata in correità non risulta supportata da sufficienti
elementi di riscontro.

3.1.2. Sotto il secondo profilo, deduce che la condanna per i due reati
contestati nei predetti capi della rubrica, della stessa indole e posti in
continuazione ma distinti, deve essere imputata ad un’erronea applicazione della
legge penale da parte del collegio giudicante, il quale non avrebbe tenuto conto
dell’evidente bis in idem rilevabile nella due condotte.
Sostiene che, considerando un costo medio di circa 5/7 euro al grammo per
l’acquisto di hashish, appare del tutto evidente come il corrispettivo di 50 euro
al mese asseritamente versato all’imputato dal Pieroni dal mese di aprile 2007
4

articolando sette motivi.

ad aprile 2008 sarebbe stato sufficiente per l’acquisto di circa 800/1000 gr. di
sostanza stupefacente, dose assai prossima al quantitativo sequestrato al
Pieroni dalla P.G..
Argomenta in tal senso che appare logicamente improbabile che un soggetto
abituato all’acquisto di meno di 10 grammi di sostanza al mese per una spesa di
circa 50 euro, improvvisamente acquisti oltre 800 grammi di droga per un
importo certamente superiore ai 600/700 euro.
Risulta, pertanto, secondo il ricorrente, del tutto evidente come i due distinti

essendo il quantitativo di stupefacente di cui al capo G) la mera somma di tutte
le condotte contestate nel capo precedente.
Afferma infine che avrebbe dovuto essere ritenuta l’ipotesi di cui all’art. 73
comma 5 d.P.R. 309/90, stante che i singoli acquisti avevano tutti ad oggetto un
quantitativo minimo di droga.

3.2. Con il secondo motivo, in relazione al capo

h), deduce erronea

applicazione della legge penale per la mancata applicazione della previsione di
cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. 309/90.
Sostiene che risulta del tutto evidente come il quantitativo complessivo di 3
gr. di stupefacente debba essere considerato assolutamente minimo ed irrisorio
per qualsivoglia mercato, essendo invece irrilevante l’eventuale prezzo di
vendita, atteso che – afferma – la richiamata previsione fa esplicito riferimento al
quantitativo e non alla qualità o al prezzo della sostanza.

3.3. Con il terzo motivo, in relazione ai capi i) e j) di imputazione, deduce
erronea applicazione della legge penale.
Sostiene che il capo i) racchiude in sé anche il capo j), stante la contiguità
temporale e considerato che il quantitativo di stupefacente sequestrato al
Compagnoni ben poteva risalire anche a dicembre.
Posto che non vi è alcun elemento di riscontro alle propalazioni accusatorie
rese nelle s.i.t. nei confronti dell’imputato, anche in considerazione del fatto che
il capo j) è generico, non circostanziato e privo del benché minimo elemento di
riscontro, ne argomenta che può al più ritenersi provata la cessione complessiva
di circa 8 gr. di hashish, ossia un quantitativo del tutto minimo, in relazione al
quale andava riconosciuta l’ipotesi di cui all’art. 73 comma 5 d.P.R. 309/90.

3.4. Con un quarto motivo, si deduce erronea applicazione della legge
penale per il mancato riconoscimento dell’ipotesi di cui all’art. 73, comma 5,

capi di imputazione debbano, in realtà, essere unificati entrambi nel capo F),

d.P.R. 309/90, in relazione al reato di cui al capo k), riferendosi esso a un
complessivo quantitativo di meno di 5 gr. di stupefacente, ceduto all’acquirente
per l’importo complessivo di € 25,00, da considerarsi assolutamente minimo ed
irrisorio per qualsivoglia mercato, anche tenuto conto che il principio attivo della
cannabis, contenuto nell’hashish, si aggira in media attorno all’1%.

3.5. Con il quinto motivo, il ricorrente, in relazione ai capi /) ed m), deduce
carenza di motivazione.

dalla Procura e che né il G.u.p. né la Corte di Appello si sono soffermati ad
analizzare gli stessi, limitandosi ad un giudizio del tutto apodittico in relazione
alla sussistenza della penale responsabilità dell’imputato per dette condotte.

3.6. Con un sesto motivo deduce ancora vizio di motivazione in relazione a
tutti i capi d’imputazione.
Lamenta che la Corte di Appello si è limitata ad un’analisi sommaria dei
motivi di doglianza proposti dalla difesa dell’imputato, affermandone la penale
responsabilità spesso su mere apodissi, senza indicare fonti di prova certe e forti
motivi in grado di dimostrare la penale responsabilità dell’imputato.
Afferma che la Corte di Appello, parafrasando in poche righe il capo di
imputazione, senza nulla aggiungere nel merito, ha impiegato complessivamente
poco più di 4 facciate per irrogare una pena di ben 5 anni di reclusione in
abbreviato.

3.7. Con il settimo e ultimo motivo denuncia infine vizio di illogicità e
carenza della motivazione in relazione alla mancata concessione delle attenuanti
generiche.
Lamenta che la Corte d’Appello non ha spiegato per quale motivo non è
stata ritenuta concedibile l’attenuante di cui all’art. 62 bis cod. pen. e che l’unica
motivazione sul punto rinvenibile risulta contraddittoria, stante che la Corte
sostiene che le valutazioni sulla condotta successiva sono positive ma, subito
dopo, dichiara che sono comunque inidonee alla concessione delle attenuanti
generiche.

Considerato in diritto

4.1. È infondato il primo motivo di ricorso, nella parte in cui è mirato a
contestare nei termini sopra descritti (par. 3.1.1.) l’idoneità della chiamata in

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Rileva che i reati ivi contestati sono descritti in maniera del tutto generica

correità del Peroni a fondare il giudizio di responsabilità dell’imputato in ordine ai
capii) e g).
Secondo consolidato principio, richiamato dallo stesso ricorrente, in tema di
chiamata in correità, adempie l’obbligo di motivazione il giudice di merito
allorché effettui la verifica estrinseca delle accuse formulate dal chiamante in
correità e spieghi le ragioni per le quali ha raggiunto certe conclusioni e non
altre attraverso detta verifica. Condizione essenziale per l’utile compimento di
tale operazione di verifica è che il riscontro obiettivo venga effettuato con

ed intrinsecamente idonei a fornire la conferma dell’oggetto da verificare. Il
controllo estrinseco può effettuarsi anche attraverso dichiarazioni di testimoni o
di altri imputati. Non valgono, invece, come riscontri esterni tutti quei dati,
come la spontaneità della dichiarazione, la sua coerenza logica, la fermezza, il
carattere disinteressato, l’assenza di un movente calunniatorio che, essendo
solo degli attributi della chiamata di correo, sono significativi unicamente ai fini
del giudizio sulla sua affidabilità intrinseca, ma non potrebbero mai considerarsi,
rispetto ad essa, alla stregua di «altri elementi di prova», quali richiesti dall’art.
192 cod. proc. pen.. Neppure valgono come riscontri obiettivi la ricchezza dei
dettagli riferiti dal dichiarante, il fatto che egli abbia saputo ricostruire
esattamente le modalità esecutive del delitto, la circostanza che il chiamato in
correità appartenesse all’ambito di conoscenze del dichiarante e al suo stesso
ambiente delinquenziale (Sez. 2, n. 4000 del 19/02/1993, Fedele, Rv. 193924).
Nel caso di specie la Corte d’appello adempie a tale onere motivazionale
offrendo congrua e specifica illustrazione degli elementi, intrinseci ed estrinseci,
idonei a corroborare la chiamata in correità del Pieroni.
Le censure svolte dal ricorrente, non valgono a evidenziare evidenti lacune o
contraddizioni nel ragionamento del giudice d’appello, risolvendosi esse stesse
nella prospettazione di ragioni del tutto ipotetiche di inattendibilità intrinseca,
fondate su mere congetturazioni prive di alcun fondamento nell’istruttoria
acquisita.

4.2. Sotto il secondo profilo (presunto bis in idem) il ricorso è inammissibile
risolvendosi nella prospettazione di considerazioni in punto di fatto (la presunta
identità delle condotte contestate ai capi

fe

g) che non risultano dedotte ad

oggetto dei motivi di gravame e che devono pertanto considerarsi precluse dal
giudicato interno ormai formatosi sul punto.

5. È infondato anche il secondo motivo di ricorso (v. supra par. 3.2).

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l’utilizzazione di dati assolutamente certi, vale a dire di elementi esterni sicuri,

La Corte d’appello dà congrua motivazione del proprio convincimento in
punto di diniego della sussistenza dell’ipotesi di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R.
309/90, rilevando – come già sopra riferito – che la continuità e anche la portata
della cessione in riferimento al reato sub g) valgono a delineare «una attività di
spaccio di notevole capacità offensiva, in grado di alimentare stabilmente una
fetta del mercato locale e quindi sostenuta da contatti e legami significativi nella
catena di rifornimento».
Il motivo in esame non si confronta con tale motivazione, ma valorizza

afferente ad una corretta più generale considerazione dei reati accertati e posti
ad oggetto della condanna.

6. Il terzo motivo di ricorso è in parte inammissibile e in parte infondato per
le stesse considerazioni già sopra svolte ai paragrafi 4.2. e 5.
Come già detto, infatti, in relazione al secondo profilo del primo motivo di
ricorso, l’affermazione secondo cui il giudice d’appello sarebbe incorso in errore
di diritto per non aver unificato, ovvero considerato sovrapponibili, le condotte
contestate ai capi i) e j) della rubrica, postula in realtà una diversa ricostruzione
della fattispecie che andava dedotta quale motivo di gravame e che, in
mancanza, deve ormai considerarsi preclusa in questa sede di legittimità.
Peraltro – può incidentalmente notarsi – alla sovrapponibilità delle due
ipotesi osta con ogni evidenza anche la non trascurabile distanza temporale tra
gli episodi che ne costituiscono oggetto (dicembre 2007 quelli di cui al capo j,
febbraio-marzo 2008 quelli di cui al capo i).
Quanto poi alla mancata qualificazione del fatto in termini di lieve entità agli
effetti di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. 309/90, valgano le considerazioni testé
svolte in relazione al secondo motivo di ricorso.

7. Per le stesse ragioni si appalesa infondato il quarto motivo di ricorso, con
cui -come detto- si lamenta la mancata applicazione della ripetuta previsione di
cui all’art. 73, comma 5, t.u. stupefacenti, anche in relazione anche al capo k).

8. Il quinto motivo è in parte inammissibile, in parte infondato.
È inammissibile nella parte in cui investe l’affermazione di responsabilità
penale in ordine al capo m), trattandosi di capo della sentenza di primo grado
non fatto oggetto di gravame e sul quale pertanto deve ritenersi formato il
giudicato interno.

8

piuttosto aspetti irrilevanti in quanto evidentemente assorbiti dal detto rilievo,

È manifestamente infondato nella restante parte, nella quale si deduce che
la responsabilità penale per il reato di cui al capo 0 sarebbe affermata in modo
apodittico e in assenza di motivazione.
Tale censura è agevolmente smentita dalla lettura della sentenza, nella
quale si fa ampio riferimento agli elementi di prova posti a fondamento della
decisione sul punto, rappresentati in particolare dalle dichiarazioni rese dal teste
Cherkaoui Amina, le quali vengono poste ad oggetto di valutazione
congruamente motivata e intrinsecamente coerente, di per sé non fatta segno di

9. Palesemente inammissibile è poi il sesto motivo di ricorso, in quanto del
tutto generico.

10. È infine infondato il settimo e ultimo motivo di ricorso, impingente come
detto la mancata concessione delle attenuanti generiche.
In tema di valutazione dei vari elementi per la concessione delle attenuanti
generiche, ovvero in ordine al giudizio di comparazione e per quanto riguarda la
dosimetria della pena ed i limiti del sindacato di legittimità su detti punti, la
giurisprudenza di questa Corte non solo ammette la c.d. motivazione implicita
(Sez. 6, n. 36382 del 04/07/2003, Dell’Anna, Rv. 227142) o con formule
sintetiche (tipo «si ritiene congrua» v. Sez. 6 , n. 9120 del 02/07/1998, Urrata,
Rv. 211583), ma afferma anche che le statuizioni relative al giudizio di
comparazione tra circostanze aggravanti ed attenuanti, effettuato in riferimento
ai criteri di cui all’art. 133 cod. pen., sono censurabili in cassazione solo quando
siano frutto di mero arbitrio o ragionamento illogico (Sez. 3, n. 26908 del
22/04/2004, Ronzoni, Rv. 229298).
Inoltre, la concessione o meno delle attenuanti generiche è un giudizio di
fatto lasciato alla discrezionalità del giudice, sottratto al controllo di legittimità,
tanto che «ai fini della concessione o del diniego delle circostanze attenuanti
generiche il giudice può limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati
dall’art. 133 c.p., quello che ritiene prevalente ed atto a determinare o meno il
riconoscimento del beneficio, sicché anche un solo elemento attinente alla
personalità del colpevole o all’entità del reato ed alle modalità di esecuzione di
esso può essere sufficiente in tal senso»

(Sez. 2, n. 3609 del 18/01/2011,

Sermone, Rv. 249163).
In relazione alle esposte coordinate di riferimento è da escludersi che, nel
caso in esame, il diniego delle attenuanti generiche sia frutto di arbitrio o di
illogico ragionamento o che comunque si esponga a censura di vizio di
motivazione, avendo il giudice a quo sia pure sinteticamente ma specificamente
9

alcuna specifica critica da parte del ricorrente.

motivato sul punto facendo in particolare riferimento alla gravità dell’attività di
spaccio nel suo complesso desumibile dai fatti accertati e dallo scarso rilievo
assegnabile alla condotta processuale.
A tal ultimo riguardo, lungi dal potersi rilevare alcuna contraddittorietà nel
ragionamento della Corte d’Appello, quest’ultimo appare chiaro, congruo e
conducente nel senso predetto, evidenziando il limitato e strumentale apporto
inizialmente dato alle forze dell’ordine, contestualmente al mantenimento del
traffico illecito e, quindi, inidoneo a dimostrare «alcuna significativa interruzione

11. In definitiva il ricorso va rigettato, con la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso il 15/01/2014

dei legami con quel mondo».

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