Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 50128 del 21/11/2013


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 50128 Anno 2013
Presidente: SERPICO FRANCESCO
Relatore: APRILE ERCOLE

Data Udienza: 21/11/2013

SENTENZA

sul ricorso presentato dal
Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Napoli

nel procedimento nei confronti di
1. Pepa Ermal, nato in Albania il 18/03/1980
2. Napolitano Salvatore, nato a Napoli il 06/03/1954
3. Viola Vincenzo, nato a Pozzuoli il 14/05/1965

avverso l’ordinanza del 07/05/2013 del Tribunale di Napoli;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Ercole Aprile;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Paolo
Canevelli, che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio dell’ordinanza
impugnata limitatamente alle posizioni di Napolitano e di Viola e l’inammissibilità
del ricorso per il resto;
uditi per il Viola l’avv. Paolo Maria Di Napoli, che ha concluso chiedendo il rigetto
del ricorso.

(-/P

RITENUTO IN FATTO E
CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con l’ordinanza sopra indicata il Tribunale di Napoli, adito ai sensi dell’art.
309 cod. proc. pen., annullava il provvedimento del 21/03/2013 con il quale il
Giudice per le indagini preliminari dello stesso Tribunale aveva disposto
l’applicazione nei confronti di Ermal Pepa, Salvatore Napolitano e Vincenzo Viola

di cui agli artt. 110, 81 cpv. e 73 d.P.R. n. 309 del 1990 (capi 20, 22, 24 e 26
dell’imputazione), e, per il secondo per il terzo, ai reati di cui agli artt. 74, commi
1 e 2, d.P.R. cit. (capo 1F) e 110, 81 cpv. cod. pen., 73 d.P.R. cit. (capo 94).
Rilevava il Tribunale come le emergenze procedimentali avessero smentito
l’ipotesi accusatoria secondo la quale l’albanese Pepa, alias `Geri’, fosse il
fornitore delle sostanze stupefacenti poi spacciate dagli appartenenti al gruppo
criminale del quale faceva parte Maria Falcone; avessero escluso la
configurabilità a carico del Napolitano e del Viola dei gravi indizi di colpevolezza
in ordine al delitto associativo di cui all’art. 74 d.P.R. cit., avendo solo dimostrato
l’esistenza di un’attività in concorso di spaccio di cocaina; ed avessero
comprovato che i reati di spaccio contestati a tali prevenuti nel capo
d’imputazione 94) fossero connessi a quello di analoga natura per il quale
entrambi erano stati tratti in arresto il 22/06/2011, talché la seconda misura
applicata con il provvedimento oggetto di riesame doveva ritenersi inefficace in
conseguenza della retrodatazione del termine di decorrenza della durata della
custodia cautelare ai sensi dell’art. 297, comma 3, cod. proc. pen.

2. Avverso tale ordinanza ha presentato ricorso il Procuratore della Repubblica
presso il Tribunale di Napoli il quale ha denunciato, con riferimento alla posizione
dell’indagato Pepa, il vizio di motivazione per avere il Tribunale travisato il
contenuto di una specifica telefonata intercettata e per avere omesso di
considerare altre conversazioni, ugualmente captate dagli inquirenti, che
avevano visto come protagonista il prevenuto; e, con riferimento alla posizione
del Napolitano e del Viola, la violazione di legge ed il vizio di motivazione, per
avere il Tribunale erroneamente valutato gli elementi indiziari raccolti a carico
dei due predetti e per avere ingiustificatamente applicato l’istituto previsto
dall’art. 297, comma 3, cod. proc. pen., in relazione ai reati addebitati agli
indagati al capo 94) dell’imputazione, pur trattandosi di fatti diversi da quello per
il quale gli stessi erano stati arrestati e sottoposti a misura il 22/06/2011; fatti,
comunque, non desumibili dagli atti a tale data.

2

della misura della custodia cautelare in carcere in relazione, per il primo, ai reati

3. Con memoria del 15/11/2013 il difensore dell’indagato Pepa ha chiesto
dichiararsi l’inammissibilità del ricorso perché presentato dal P.M. per sollecitare
una diversa ed alternativa lettura delle emergenze procedimentali.

4. Il ricorso del P.M., in relazione alla posizione dell’indagato Ermal Pepa, è
fondato.
Il Tribunale del riesame ha annullato il provvedimento genetico della misura

intercettazione telefonica del 22/01/2011 avesse dimostrato che il Pepa non era
il fornitore di droga destinata a tale Maria Falcone (indiziata di essere una dei più
attivi affiliati ad un’associazione per delinquere dedita, nella zona di Santa Maria
Capua Vetere, a partire dal novembre del 2010, allo spaccio di stupefacenti),
bensì l’acquirente dalla stessa di tale sostanza; e come, da altro lato, il
contenuto delle ulteriori conversazioni telefoniche che avevano interessato il
Pepa fossero di tenore generico ed indeterminato (v. pag. 110 ord. impugn.).
Trattasi di motivazione nella quale è agevolmente riconoscibile un vizio per
travisamento della prova, per avere i Giudici di merito attribuito all’indagato
Pepa la partecipazione al richiamato colloquio telefonico con la Falcone del
22/01/2011 con riferimento al quale il P.M. ricorrente ha dimostrato chiaramente
come gli inquirenti avessero, invece, indicato come protagonista della
conversazione un soggetto rimasto non identificato, diverso dal Pepa: telefonata
che, cronologicamente collegabile ad altre intrattenute dalla Falcone con il Pepa,
ben potrebbe essere confermativa della fondatezza dell’ipotesi accusatoria
indiziaria secondo la quale la droga che la Falcone avrebbe dovuto cedere al
terzo non identificato fosse proprio quella che doveva esserle fornita dall’odierno
indagato.
D’altro canto, il provvedimento gravato presenta una grave lacuna
motivazionale in relazione alle altre telefonate intercettate, richiamate dal

della custodia cautelare in carcere asserendo come, da un lato, una specifica

Tribunale del riesame con una formula sintetica, indeterminata ed
omnicomprensiva, senza tenere conto, in special modo, di quelle conversazioni
captate il 23 ed il 29/01/2011, valorizzate invece dal primo Giudice, dalle quali
emergerebbe un ruolo attivo del Pepa nella cessione di droga a vari soggetti, tra
i quali anche Manuela Del Gaudio, che della citata associazione per delinquere
era uno degli affiliati con ruolo direttivo.
L’ordinanza va, dunque, annullata in relazione alla posizione di Ermal Pepa,
con rinvio, per nuovo esame, al Tribunale di Napoli.

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(fr

5. Il ricorso del P.M., in relazione alla posizione degli indagati Napolitano
Salvatore e Viola Vincenzo, è, invece, infondato.

5.1. Con riferimento al capo d’imputazione 1F), concernente il reato
associativo contestato ai due prevenuti, il ricorso appare presentato per fare
valere ragioni diverse da quelle consentite dalla legge.
Il P.M. ricorrente, infatti, lungi dal prospettare una reale contraddizione logica,
intesa come implausibilità delle premesse dell’argomentazione, irrazionalità delle

premesse e le conclusioni, si è, invero, limitato a criticare il significato che il
Tribunale del riesame di Napoli aveva dato alle emergenze acquisite durante la
fase delle indagini: tuttavia, bisogna rilevare come il ricorso non ha proposto un
‘travisamento delle prove’, vale a dire una incompatibilità tra l’apparato
motivazionale del provvedimento impugnato ed il contenuto degli atti del
procedimento, tale da disarticolare la coerenza logica dell’intera motivazione, ma
è stato presentato per sostenere, in pratica, una ipotesi di ‘travisamento dei fatti’
oggetto di analisi, sollecitando un’inammissibile rivalutazione dell’intero
materiale d’indagine, rispetto al quale è stata proposta dal rappresentante della
pubblica accusa una spiegazione alternativa alla semantica privilegiata dai
Giudici di merito: i quali, nell’ambito di un sistema motivazionale logicamente
sufficientemente completo, avevano sostenuto come l’accertata attività di
spaccio di droga posta in essere dal Napolitano e dal Viola non fosse inseribile in
una struttura organizzativa, in una predeterminata suddivisione di ruoli e in una
stabilità di iniziative, elementi tipici e sintomatici dell’esistenza di un patto
associativo (v. pag. 269 ord. impugn.).

5.2. Priva di pregio è la doglianza formulata dal P.M. riguardante l’asserita
violazione della norma dettata dall’art. 297, comma 3, cod. proc. pen.
Con tale disposizione, disciplinante l’istituto cosiddetto della ‘contestazione a
catena’, il legislatore ha voluto codificare la regula iuris frutto dell’elaborazione
giurisprudenziale formatasi sotto la vigenza del previgente codice di rito, con la
quale si era stabilita una deroga al principio della decorrenza autonoma dei
termini di durata massima della custodia in relazione a ciascun titolo cautelare:
ciò al dichiarato scopo di evitare quel censurabile fenomeno della “diluizione” nel
tempo della “carcerazione provvisoria”, attuata mediante l’emissione, in momenti
diversi, nei confronti della stessa persona di più provvedimenti coercitivi
concernenti il medesimo fatto, diversamente qualificato o circostanziato, ovvero
riguardanti fatti di reato diversi ma connessi tra loro.

4

b

regole di inferenza, ovvero manifesto ed insanabile contrasto tra quelle

Così, nel suo testo originario l’art. 297 comma 3 cod. proc. pen. (che
riprendeva la disposizione da ultimo appositamente introdotta nel codice
abrogato dalla legge n. 398 del 1984) stabiliva che la decorrenza del termine di
durata massima della custodia cautelare applicata con un’ordinanza si sarebbe
dovuta retrodatare al momento dell’esecuzione di altra precedente ordinanza
cautelare, laddove i due provvedimenti avessero riguardato lo stesso fatto
ovvero più fatti in concorso formale tra loro, oppure integranti ipotesi di
aberratio delicti o di aberratio ictus plurioffensiva.

applicativo della norma, con la previsione dell’operatività del meccanismo di
retrodatazione esclusivamente con riferimento ai casi di connessione qualificata
ai sensi dell’art. 12 lett. b) (continuazione tra i reati) e c) cod. proc. pen.,
limitatamente all’ipotesi di reati connessi per eseguire gli altri (connessione
teleologica); dall’altro, introducendo una regola generale di retrodatazione
‘automatica’ (“se nei confronti di un imputato sono emesse più ordinanze che
dispongono la medesima misura… i termini decorrono dal giorno in cui è stata
eseguita o notificata la prima ordinanza e sono commisurati all’imputazione più
grave”): automatismo, tuttavia, non applicabile laddove la seconda ordinanza
cautelare venga emessa dopo il rinvio a giudizio per i fatti oggetto della prima
ordinanza (“la disposizione non si applica relativamente alle ordinanze per fatti
non desumibili dagli atti prima del rinvio a giudizio disposto per il fatto con il
quale sussiste connessione ai sensi del presente comma”).
La portata applicativa della disposizione in esame è stata, successivamente,
ampliata per effetto della sentenza additiva n. 408 del 2005, con la quale la
Corte costituzionale ha dichiarato la illegittimità dell’art. 297 comma 3 cod. proc.
pen. nella parte in cui “non si applica anche a fatti diversi non connessi, quando
risulti che gli elementi per emettere la nuova ordinanza erano già desumibili
dagli atti al momento dell’emissione della precedente ordinanza”; ed
ulteriormente precisata dalla sentenza n. 233 del 2011, con la quale la Consulta
– ‘reagendo’ ad un contrario orientamento della giurisprudenza di legittimità, che
aveva finito per diventare ‘diritto vivente’ – ha dichiarato la illegittimità dello
stesso art. 297 comma nella parte in cui, con riferimento alle ordinanze che
dispongono misure cautelari per fatti diversi, non prevede che la regola in tema
di decorrenza dei termini in esso stabilita si applichi anche quando, per i fatti
contestati con la prima ordinanza, l’imputato sia stato condannato con sentenza
passata in giudicato anteriormente all’adozione della seconda misura.
Nella cornice normativa così tratteggiata, seguendo il convincente percorso
argomentativo fissato dalle Sezioni Unite con due decisioni rispettivamente del
2005 e del 2006 (Sez. U, n. 14535/07 del 19/12/2006, Librato, Rv. 235909-105

Nella versione novellata nel 1995, da un lato era stato ristretto l’ambito

11; Sez. U, n. 21957 del 22/03/2005, P.M. in proc. Rahulia ed altri, Rv. 2310578-9), tralasciando l’ipotesi della ripetute contestazioni con diversi provvedimenti
di un medesimo fatto di reato (vicenda procedimentale alquanto rara e,
comunque, estranea al caso esaminato in questa sede) e concentrandosi su
quella della contestazione di reati diversi, variamente collegabili tra loro, è
possibile – in linea schematica – riconoscere tre distinte situazioni, alle quali
corrispondono altrettante, distinte regole operative. In tutti e tre i casi è,
comunque, necessario, perché si possa parlare di “contestazione a catena” e

retrodatazione della decorrenza del termine di durata massima della custodia
cautelare, che i delitti oggetto della ordinanza cautelare cronologicamente
posteriore siano stati commessi in data anteriore a quella di emissione della
ordinanza cautelare cronologicamente anteriore (in questo senso, ex plurimis,
Sez. 6, n. 31441 del 24/04/2012, Canzonieri, Rv. 253237).
La prima situazione è quella in cui le due (o più) ordinanze applicative di
misure cautelari personali abbiano ad oggetto fatti-reato legati tra loro da
concorso formale, continuazione o da connessione teleologica (casi di
connessione qualificata), e per le imputazioni oggetto del primo provvedimento
coercitivo non sia ancora intervenuto il rinvio a giudizio. In queste circostanze
trova applicazione la disposizione dettata dal primo periodo del comma 3 dell’art.
297 cod. proc. pen., che non lascia alcun dubbio sul fatto che la retrodatazione
della decorrenza dei termini di durata della misura o delle misure applicate
successivamente alla prima operi automaticamente e, dunque – impiegando le
parole delle Sezioni unite di questa Corte – “indipendentemente dalla possibilità,
al momento della emissione della prima ordinanza, di desumere dagli atti
l’esistenza dei fatti oggetto delle ordinanze successive e, a maggior ragione,
indipendentemente dalla possibilità di desumere dagli atti l’esistenza degli
elementi idonei a giustificare le relative misure”. Automatica retrodatazione della
decorrenza dei termini che risponde all’esigenza “di mantenere la durata della
custodia cautelare nei limiti stabili dalla legge, anche quando nel corso delle
indagini emergono fatti diversi legati da connessione qualificata” (così C. Cost.,
28 marzo 1996, n. 89), e che si determina solo se le ordinanze siano state
emesse nello stesso procedimento penale (così Sez. U, n. 14535/07 del
19/12/2006, Librato, cit.).
La seconda situazione rappresenta una variante della prima, presupponendo
comunque l’accertata esistenza, tra i fatti oggetto delle plurime ordinanze
cautelari, di una delle tre forme di connessione qualificata sopra indicate, ma è
caratterizzata dall’intervenuta emissione del decreto di rinvio a giudizio per i fatti
oggetto del primo provvedimento coercitivo. Tale ipotesi presuppone,
6

perché possa eventualmente trovare applicazione la disciplina della

ovviamente, che le due o più ordinanze siano state emesse in distinti
procedimenti, ma (come hanno chiarito le Sezioni unite nelle più volte richiamate
sentenze) è irrilevante che gli stessi siano ‘gemmazione’ di un unico
procedimento, vale a dire siano la conseguenza di una separazione delle indagini
per taluni fatti, oppure che i due procedimenti abbiano avuto autonome origini.
In siffatta diversa situazione si applica la regola dettata dal secondo periodo del
comma 3 dell’art. 297 cod. proc. pen., sicché la retrodatazione della decorrenza
dei termini di durata massima delle misure applicate con la successiva o le

desumibili dagli atti già prima del momento in cui è intervenuto il rinvio a
giudizio per i fatti oggetto della prima ordinanza.
Infine, la terza situazione è quella in cui tra i fatti oggetto dei due
provvedimenti cautelari non esista alcuna connessione ovvero sia configurabile
una forma di connessione non qualificata, cioè diversa da quelle sopra
considerate del concorso formale, della continuazione o del nesso teleologico
(per quest’ultimo, nei limiti fissati dal codice). Questa ipotesi, che in passato si
riteneva pacificamente non riguardare l’art. 297 comma 3 cod. proc. pen., oggi
rientra nel campo applicativo di tale disposizione codicistica per effetto della
menzionata sentenza `manipolativa’ della Consulta n. 408 del 2005. Ne consegue
che la retrodatazione della decorrenza del termine di durata massima della
misura cautelare è dovuta “in tutti i casi in cui, pur potendo

i diversi

provvedimenti coercitivi essere adottati in un unico contesto temporale, per
qualsiasi causa l’autorità giudiziaria abbia invece prescelto momenti diversi per
l’adozione delle singole ordinanze”. Il giudice deve, perciò, verificare se al
momento dell’emissione della prima ordinanza cautelare non fossero desumibili,
dagli atti a disposizione, gli elementi per emettere la successiva ordinanza
cautelare, da intendersi – come sottolineato dai Giudici delle leggi – come
“elementi idonei e sufficienti per adottare” il provvedimento cronologicamente
posteriore. Tale regola vale solo se le due ordinanze siano state emesse in uno
stesso procedimento penale, perché se i provvedimenti cautelari sono stati
adottati in procedimenti formalmente differenti, per la retrodatazione occorre
verificare, oltre che al momento della emissione della prima ordinanza vi fossero
gli elementi idonei a giustificare l’applicazione della misura disposta con la
seconda ordinanza, che i due procedimenti siano in corso dinanzi alla stessa
autorità giudiziaria e che la separazione possa essere stata il frutto di una scelta
del pubblico ministero (così Sez. U, n. 14535/07 del 19/12/2006, Librato, cit.;
conf., in seguito, su tale specifico aspetto, Sez. 2, n. 44381 del 25/11/2010,
Noci, Rv. 248895; Sez. 1, n. 22681 del 27/05/2008, Caniello, Rv. 240099).

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successive ordinanze opera solo se i fatti oggetto di tali provvedimenti erano

Di tali principi di diritto il Tribunale del riesame di Napoli ha fatto buon governo
spiegando, con motivazione congrua e priva di vizi di manifesta illogicità,
dunque, non censurabile in questa sede, come i fatti di reato oggetto delle due
ordinanze cautelari emesse, sia pur in due distinti procedimenti, nei riguardi del
Napolitano e del Viola, fossero connessi perché tutti ascrivibili all’esecuzione di
un medesimo disegno criminoso; come i fatti oggetto del secondo provvedimento
fossero anteriori alla data di adozione del primo provvedimento cautelare
(circostanze, queste, che non sono state messe in discussione dal P.M.

l’adozione dell’ordinanza posteriore, desumibili dagli atti delle indagini svolte dai
carabinieri di Santa Maria Capua Vetere, fossero gli stessi già disposizione degli
inquirenti all’epoca dell’arresto dei due indagati e dell’adozione nei loro riguardi
dell’ordinanza anteriore, e fossero, dunque, già desumibili dal P.M. in un periodo
ben anteriore al rinvio a giudizio per i reati per i quali vi era stato l’arresto e la
prima applicazione di misura cautelare, in una situazione nella quale, cioè,
sarebbe stato possibile al rappresentante della pubblica accusa chiedere
l’emissione di un’unica ordinanza coercitiva nei riguardi dei due prevenuti anche
con riferimento ai delitti che sarebbero stati poi contestati con il provvedimento
cronologicamente successivo (v. pagg. 269-270 ord. impugn.).

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata limitatamente alla posizione di Pepa Ermal e
rinvia, per nuovo esame, al Tribunale di Napoli.
Dichiara inammissibile nel resto il ricorso.
Così deciso il 21/11/2013

ricorrente); e, soprattutto, come gli elementi di prova indiziaria valorizzati per

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