Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 50126 del 21/11/2013


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 50126 Anno 2013
Presidente: SERPICO FRANCESCO
Relatore: CITTERIO CARLO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
BARONE GIUSEPPE N. IL 21/12/1951 parte offesa nel procedimento
c/
CARNOVALE FORTUNATO N. IL 18/03/1949
avverso l’ordinanza n. 2356/2008 GIP TRIBUNALE di VIBO
VALENTIA, del 13/07/2012
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. CARLO CITTERIO;
lette/sylte le conclusioni del PG Dott. ip_p , _
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Udit i di nsor Avv.;

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Data Udienza: 21/11/2013

Ra.m.4.4.4.4- 0

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1

CONSIDERATO IN FATTO
1.

Nel procedimento a carico di Fortunato Carnovale, originariamente

indagato dei reato ex art. 595, 594 e 323 c.p., oggetto di denuncia di Giuseppe
Barone del 4.2.2008, sulla richiesta di archiviazione che il pubblico ministero
presentava per il solo reato ex art. 323 c.p. (argomentando l’avvenuta separazione

dell’azione penale), con ordinanza del 13.7.2012 il GIP riteneva già archiviato il
procedimento in relazione all’art. 323 c.p. e ordinava (ex art. 409.5 c.p.p.) la
formulazione di imputazione ai sensi dell’art. 594.4 c.p..

2.

Ricorre per cassazione la persona offesa, a mezzo del difensore,

enunciando due motivi:
– con primo motivo denuncia l’abnormità del provvedimento, perché il GIP
avrebbe ordinato l’imputazione coatta per fatto non iscritto nel registro notizie di
reato e per il quale era già stata esercitata l’azione penale, con diversa
qualificazione, pendendo il relativo provvedimento davanti al giudice di pace.
Secondo il ricorrente il GIP avrebbe invece dovuto disporre ulteriori indagini in
relazione al reato di abuso d’ufficio, in relazione alle vicende interne all’Azienda
sanitaria provinciale che avevano coinvolto Barone (che commentava trascrivendo il
contenuto di atti del procedimento e argomentando della loro rilevanza probatoria);
– con il secondo motivo (p. 22 ricorso) la persona offesa lamenta la violazione
dell’art. 409 c.p.p. nella parte in cui il GIP aveva giudicato già intervenuta (con
ordinanza 27.5.2009) l’archiviazione del procedimento in ordine alla fattispecie
dell’art. 323 c.p., posto che con richiesta del 29.11.2011 il pubblico ministero aveva
nuovamente richiesto l’archiviazione proprio per tale fattispecie e che comunque
con ordinanza del 19.5.2010 quello stesso GIP aveva disposto la prosecuzione delle
indagini su temi investigativi concernenti la medesima fattispecie ex art. 323 c.p..
In definitiva, il GIP nel provvedimento da ultimo impugnato avrebbe omesso
di statuire sull’opposizione alla richiesta di archiviazione in relazione all’ipotesi ex
art. 323 c.p., ritenuta erroneamente già archiviata, provvedendo su una richeista
inesistente e per fatto già a separato giudizio.

3. Con articolato parere il procuratore generale presso questa Corte suprema
ha argomentato:

degli atti per i reati di competenza del Giudice di pace, con contestuale esercizio

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– la non legittimazione della persona offesa quanto al primo aspetto, non
essendovi un suo interesse in relazione alla duplicazione dei giudizi che la vedono
tale;
– la fondatezza del secondo motivo per l’assorbente considerazione che, come
si dovesse interpretare il primo provvedimento del 27.5.2009, con il secondo (del
19.5.2010) lo stesso GIP aveva espressamente disposto ulteriori indagini proprio in
ordine al reato ex art. 323 c.p., sicchè la precisa richiesta del pubblico ministero
(per un provvedimento pertinente il suo corretto determinarsi in ordine all’esercizio

Conclude per l’annullamento con rinvio per nuovo esame.

3.1 II difensore dell’imputato ha presentato memoria con deduzioni a
sostegno della reiezione del ricorso; in particolare, tra l’altro, si sostiene che il
provvedimento del 27.5.2009 (da leggersi nella valenza della contestuale redazione
di motivazione e dispositivo) dovrebbe essere interpretato come esaustiva
deliberazione di archiviazione del procedimento quanto all’ipotesi ex art. 323 c.p., il
che avrebbe comportato l’abusività delle successive pertinenti indagini del pubblico
ministero nell’ambito della stessa iscrizione di notizia di reato (comunque queste
dovendosi considerare irrilevanti ancorché svolte in fatto).

RAGIONI DELLA DECISIONE
4. Osserva preliminarmente la Corte che dall’esame dei verbali delle udienze
camerali (che possono essere conosciuti in relazione alla propria competenza in
fatto afferente le questioni procedurali) risulta che:
– all’udienza del 27.5.2009 il GIP argomentava incidentalmente la fondatezza
della richiesta di archiviazione quanto all’art. 323 c.p. e rilevava l’assenza di alcuna
attività istruttoria per il reato ex art. 595 c.p., tuttavia nell’unico dispositivo
provvedendo in questi termini: “rigetta allo stato le richieste di archiviazione” (e
disponendo contestualmente ulteriori indagini per il secondo reato);
– all’udienza del 10.10.2010 il GIP dava atto dello stralcio disposto in relazione
alla condotta diffamatoria, prendeva atto della rinnovata richiesta di archiviazione in
relazione alla condotta ex art. 323 c.p. e del contenuto della pertinente opposizione
del Barone, disponendo nuove indagini
– in esito all’udienza dell’11.7.2012 il GIP provvedeva con l’ordinanza
13.7.2012 oggetto del ricorso.

dell’azione penale dopo la precedente ordinanza) era rimasta senza pronuncia.

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5. Così ricostruita la successione dei provvedimenti, risulta evidente che con
l’impugnata ordinanza (caratterizzata dall’assenza di specificazione degli atti
precedenti, solo genericamente richiamati, specificazione invece all’evidenza
quantomeno ben utile a chiarire il percorso logico seguito dall’estensore e le
premesse in fatto su cui lo stesso si è basato, attesa la singolare loro successione) il
GIP: ha provveduto su un punto che non era alla sua cognizione (la condotta lesiva
di onore decoro o reputazione), non ha provveduto (formalmente) sul punto che, e

art. 323 c.p.).
Né può ritenersi che, quanto a quest’ultimo, vi sia stato un apprezzamento
implicito, contenuto nella premessa che riferisce l’avvenuta archiviazione in
relazione all’art. 323 c.p., perché proprio la mancanza di alcuna specificazione in
ordine alle date dei provvedimenti precedenti impone comunque di constatare che il
GIP ha omesso alcun confronto con l’inequivoco provvedimento interlocutorio del
10.10.2010 (da intendersi quantomeno quale interpretazione autentica della prima
ordinanza 27.5.2009). Sul punto, il rilievo contenuto nella memoria dell’imputato
non può essere condiviso, perché proprio la contestualità di motivazione e
dispositivo dell’ordinanza 27.5.2009 attesta una mera riserva di provvedere in
tempi successivi, ed unitariamente, all’effettiva e formale deliberazione su quanto in
allora devoluto dal pubblico ministero; e comunque è con essa ben compatibile).
Del resto, anche l’imputato non si confronta con il contenuto del provvedimento poi
adottato dallo stesso Ufficio giudicante il 10.10.2010, invece pertinente proprio alla
tematica della dedotta irritualità – nella prospettazione difensiva – della
prosecuzione delle indagini.
Quindi: vi è una pronuncia non consentita e manca una pronuncia necessaria
(quantomeno a definire consapevolmente anche nel merito la peculiare successione
degli accadimenti del procedimento).

6. Sussisterebbe pertanto l’abnormità del provvedimento sotto il primo profilo
denunciato mentre, quanto al secondo profilo, l’omessa pronuncia non può essere
sussunta nel concetto/istituto dell’abnormità, solo imponendosi di procedere alla
decisione sulla richiesta inequivoca del pubblico ministero, afferente l’art. 323 c.p..

7. Come tuttavia condivisibilmente osservato dal procuratore generale, la
persona offesa non è legittimata all’impugnazione relativa al solo profilo di
abnormità sussistente, mancando di un interesse giuridico a tale impugnazione (la
duplicazione di giudizi per reati che la vedono, appunto, persona offesa, può

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appunto solo, gli era stato devoluto (l’apprezzamento in ordine alla fattispecie ex

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condurre a pregiudizi di fatto ma, in diritto, risulta paradossalmente favorevole, in
teoria consentendole una duplice valutazione della propria pretesa).
E’ poi vero che l’eventuale improcedibilità della seconda azione penale può
essere dichiarata anche d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento, sicché
potrebbe porsi il tema se, a fronte di un ordine di formulare l’imputazione che per
sé costituisce forma di esercizio dell’azione penale e di un’impugnazione sul punto,
questa Corte in questa sede potrebbe procedere d’ufficio all’annullamento senza
rinvio anche di tale statuizione. Tuttavia, tenuto pure conto della diversa

aggravata piuttosto che diffamazione) e tenuto conto che i presupposti in fatto delle
due imputazioni sono normativamente diversi, appare evidente (e quindi in modo
assorbente preclusiva dell’approfondimento della questione di diritto) la necessità di
un apprezzamento di stretto merito, che compete solo al Giudice del merito.
Il ricorso va pertanto sul punto rigettato.

8. L’omessa formale risposta alla specifica richiesta di archiviazione per il
reato di abuso d’ufficio, nei termini prima argomentati, impone invece
l’annullamento senza rinvio dell’ordinanza impugnata. Gli atti vanno pertanto
trasmessi al Tribunale di Vibo Valentia per il nuovo esame della stessa.

P.Q.M.
ANNULLA SENZA RINVIO l’ordinanza impugnata limitatamente al reato di cui
all’art. 323 c.p. e dispone trasmettersi gli atti al Tribunale di Vibo Valentia per
nuovo esame sul punto.
Rigetta nel resto il ricorso.
Così deciso in Roma, il 21.11.2013

qualificazione giuridica che risulterebbe dall’ordinanza impugnata (ingiuria

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