Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 50123 del 24/10/2013


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 50123 Anno 2013
Presidente: LANZA LUIGI
Relatore: FIDELBO GIORGIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
1) Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Napoli;
2) Maria Grazia Lucariello, nata a Caserta il 12.6.1969;
avverso l’ordinanza del 21 marzo 2013 233:1:2 – emessa dal Tribunale di Napoli;
visti gli atti, l’ordinanza impugnata e i ricorsi;
udita la relazione del consigliere dott. Giorgio Fidelbo;
udite le richieste del sostituto procuratore generale, Giuseppe Volpe, che ha
concluso per l’inammissibilità dei ricorsi;
udito l’avvocato Camillo Irace che ha insistito per l’accoglimento del ricorso
nell’interesse di Lucariello.

Data Udienza: 24/10/2013

RITENUTO IN FATTO

1. Con provvedimento emesso dal G.i.p. del Tribunale di Napoli veniva
disposta la misura cautelare della custodia in carcere nei confronti di Maria
Grazia Lucariello, indagata per il reato di cui all’art. 416-bis c.p. per aver fatto
parte del c.d. clan dei casalesi (capo A), nonché per detenzione di un mitra

D).
Decidendo sull’istanza di riesame presentata nell’interesse di Lucariello il
Tribunale di Napoli, con la decisione indicata in epigrafe, ha annullato
l’ordinanza cautelare in relazione al capo H) per mancanza dei gravi indizi di
colpevolezza in ordine al reato di detenzione di arma, mentre ha confermato
nel resto il provvedimento impugnato, escludendo la sussistenza
dell’aggravante di cui al comma 6 dell’art. 416-bis c.p.
Infine, con riferimento al reato di detenzione di arma il Tribunale ha
ritenuto che le dichiarazioni accusatorie di Salvatore Laiso, secondo cui
l’indagata avrebbe minacciato con un mitra il nipote Agostino Autiero, non
sarebbero riscontrate dalle intercettazioni acquisite, da qui la valutazione di
insufficienza dei gravi indizi di colpevolezza.

2.

L’avvocato Camillo Irace, nell’interesse dell’indagata, ha proposto

ricorso per cassazione, deducendo la violazione degli artt. 273, 192 e 416-bis
c.p., con riferimento al reato associativo, nonché il vizio di motivazione in
relazione al reato di cui all’art. 12-quinquies legge 7 agosto 1992, n. 356.
Sotto il primo profilo contesta l’ordinanza per avere ritenuto sussistenti i
gravi indizi di colpevolezza ed evidenzia come la collaborazione di Salvatore
Laiso, peraltro avvenuta oltre i 180 giorni previsti dalla legge, faccia
riferimento a fatti lontani nel tempo e non dica nulla di preciso sul ruolo della
Lucariello; lo stesso varrebbe per le accuse di Orlano Lucariello, il quale si
sarebbe limitato a riferire che la sorella aveva un ruolo nel clan Russo negli
anni 2004/2005, escludendo che abbia mai posseduto armi; inoltre contesta
la ritenuta sussistenza delle aggravanti relative al ruolo apicale dell’indagata e
alla disponibilità di armi.
Riguardo all’altro reato assume che non vi sarebbero i presupposti per
ritenere la fittizia intestazione.

2

(capo H) e per aver fittiziamente intestato alla cugina una sua azienda (capo

3.

Ha proposto ricorso per cassazione anche il pubblico ministero,

censurando l’ordinanza in relazione all’annullamento della misura cautelare
per quanto concerne la detenzione del mitra. Il ricorrente deduce l’erronea
applicazione dell’art. 273 c.p.p. e il mancato esame di elementi decisivi per il
giudizio sui gravi indizi di colpevolezza e, in particolare, per i riscontri esterni

trascurata del tutto la dichiarazione resa da Francesco Martino e le numerose
intercettazioni acquisite agli atti.

CONSIDERATO IN DIRITTO

4. Il ricorso presentato nell’interesse della Lucariello è inammissibile.
4.1. Con il primo motivo la ricorrente ha contestato, genericamente, la
sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza.
Invero, per quanto riguarda il reato associativo i giudici del riesame
hanno ritenuto dimostrato, a livello di gravi indizi, l’appartenenza
dell’indagata, assieme al marito Salvatore Mundo, al clan Russo, affiliato alla
famiglia Schiavone, indicandoli come i referenti dell’attività del clan dei
casalesi nel territorio di Viareggio, dove gestivano il sistema di estorsione ai
danni di imprenditori. Nell’ordinanza si mette in evidenza come dalle
coincidenti dichiarazioni dei collaboratori di giustizia – in particolare Salvatore
Laiso, Orlando Lucariello, Francesco Martino – è emerso l’inserimento
dell’indagata nell’associazione con ruoli sempre più di rilevo, con compiti di
direzione e controllo delle attività illecite del gruppo criminale, almeno dal
periodo della latitanza del fratello Orlando. Nella ricostruzione dei giudici le
chiamata in correità dei collaboratori risultano pienamente riscontrate da
numerose intercettazioni, telefoniche e ambientali, che confermano il ruolo
dell’indagata nell’associazione, almeno a livello di gravità indiziaria.
4.2. Con riferimento alla contestazione riferita alla aggravante delle armi,
si osserva che in tema di associazione per delinquere di tipo mafioso,
l’aggravante della disponibilità di armi, prevista dai commi quarto e quinto
dell’art. 416- bis c.p., presenta natura oggettiva, ed è applicabile anche nei
confronti degli associati che non abbiano personalmente custodito od utilizzato
le armi stesse (Sez. VI, 4 dicembre 2003, n. 7707, Anaclerio).

3

individualizzanti alle dichiarazioni dei collaboratori. Assume che sarebbe stata

4.3. Riguardo alla fittizia intestazione di beni (capo D) il Tribunale ha
ritenuto che l’esercizio commerciale denominato “Alimentari Maria Grazia” di
cui risulta titolare Angelina Barbato, cugina dell’indagata, sia in realtà nella
piena ed esclusiva disponibilità di quest’ultima, che lo avrebbe fittiziamente
intestato alla cugina in seguito al provvedimento di revoca della licenza per
mancanza dei prescritti requisiti antimafia, dopo avere modificato l’originaria

normativa antimafia. Rispetto a questa ricostruzione la ricorrente si è limitata
a sostenere la non illiceità dell’attività, negando ogni intento elusivo.

5. Inammissibile è anche il ricorso del pubblico ministero che si limita a
proporre una ricostruzione alternativa a quella contenuta nell’ordinanza
impugnata in relazione alla vicenda della detenzione del mitra. La motivazione
con cui il Tribunale ritiene insufficienti gli elementi probatori a carico
dell’indagata appare del tutto logica: i giudici hanno considerato poco
significative le dichiarazioni de relato di Laiso che si riferiscono ad un altro de
relato, ritenendole non riscontrate con i risultati delle intercettazioni in cui i
dialoghi non risultano sempre chiari e comprensibili.
Il ricorrente lamenta, tra l’altro, che i giudici non abbiano preso in
considerazione le dichiarazioni rese da Francesco Martino, ma in questo caso
non si tratta di un travisamento probatorio rilevante, dal momento che tali
dichiarazioni non appaiono in grado di disarticolare le argomentazioni
contenute nell’ordinanza. Lo stesso vale per gli altri pretesi travisamenti.
In ogni caso, la mancanza dei gravi indizi emerge evidente nel momento
in cui si vuole sostenere la detenzione del mitra in base a dichiarazioni de
relato e agli esiti di intercettazioni telefoniche ed ambientali, senza che sia
stata mai rinvenuta l’arma: dinanzi a tale significativa carenza probatoria la
detenzione dell’arma avrebbe potuto essere dimostrata attraverso fonti
dichiarative e intercettazioni soltanto qualora queste fossero state
assolutamente coerenti e univoche nell’indicare l’esistenza, seppure a livello di
gravità indiziaria, della condotta di detenzione. Situazione questa che è stata
esclusa dal Tribunale in sede di riesame.

6. In conclusione, i ricorsi proposti devono essere dichiarati inammissibili;
all’inammissibilità del ricorso proposto nell’interesse della Lucariello consegue,

4

ditta, al fine di eludere le disposizioni in materia patrimoniale previste dalla

ai sensi dell’art. 616 c.p.p., la condanna della stessa al pagamento delle
spese processuali e di una somma di denaro in favore della cassa delle
ammende, che si ritiene equo determinare in euro 1.000,00.
La Cancelleria provvederà agli adempimenti di ci all’art. 94 comma 1-ter
disp. att. c.p.p.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna Maria Grazia Lucariello al
pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore
della cassa delle ammende.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di ciríall’art. 94 comma
disp. att. c.p.p.
Così deciso il 24 ottobre 2013

Il Consigli re estensore

1-ter

P. Q. M.

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