Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 50122 del 26/09/2013


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 50122 Anno 2013
Presidente: SERPICO FRANCESCO
Relatore: DI STEFANO PIERLUIGI

SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
– DI RONZA STEFANO n. 12/3/1962
– PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI NAPOLI
avverso l’ordinanza n. 1927/2013 del 19/3/2013 del TRIBUNALE DEL
RIESAME DI NAPOLI
visti gli atti, l’ordinanza ed il ricorso
udita la relazione fatta dal Consigliere Dott. PIERLUIGI DI STEFANO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. CARMINE STABILE che ha
concluso chiedendo dichiararsi inammissibili i ricorsi.
Udito l’avv. MASSIMO KROGH e avv. FRANCESCO PERSIANI che hanno
chiesto l’accoglimento del proprio ricorso e la declaratoria di inammissibilità del
ricorso del PM.

Il Tribunale del Riesame di Napoli con ordinanza del 19 marzo 2013, nel
decidere sulla ordinanza di custodia in carcere emessa il 19 febbraio 2013 dal gip
della medesima sede nei confronti di Di Ronza Stefano,

confermava l’ordinanza per quanto riguarda varie contestazioni di

estorsione commesse negli anni 2009 /2010 nelle province di Caserta e
Viareggio nell’interesse dell’associazione camorristica dei Casalesi;
– annullava l’ordinanza, per carenza di indizi, per quanto riguarda la
contestazione di concorso esterno in associazione mafiosa con riferimento alla
stessa banda criminale, non ritenendo fondata l’ipotesi di accusa secondo la
quale il ricorrente avrebbe svolto attività di mediazione per le richieste di

Data Udienza: 26/09/2013

estorsione nonché prestato assistenza agli associati presenti nel territorio
toscano nonché altre attività illecite.
Avverso tale ordinanza propongono ricorso sia l’indagato che il pubblico
ministero.
Di Ronza Stefano con atto a firma del proprio difensore:
Con primo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione in
relazione al capo C. Osserva che la ordinanza non valuta la contraddittorietà
della ricostruzione dei fatti nel senso che, nello stesso arco di tempo, Di Ronza
e responsabile delle

sarebbe stato vittima delle estorsioni di cui al capo B

estorsioni di cui al capo C; inoltre, la lettura delle intercettazioni dimostra un
ruolo diverso del ricorrente che non aveva un ruolo attivo nell’invitare altri
imprenditori a cedere alle richieste estorsive ma dalle intercettazioni appariva lui
stesso rassegnato ed impaurito. Né il Tribunale ha tenuto adeguatamente conto
dei rapporti tra l’imprenditore e le presunte vittime. Con secondo motivo deduce
violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al capo N rilevando la
erronea interpretazione delle conversazioni intercettate e, comunque, la
contraddittorietà del ruolo attribuito al Di Ronza una volta esclusa la sua
responsabilità per il reato associativo. Con terzo motivo deduce la violazione di
legge ed vizio di motivazione in ordine alla affermazione di sussistenza della
aggravante di cui all’articolo 7 I. 203 91. Con quarto motivo deduce violazione di
legge e vizio di motivazione in ordine all’affermazione di sussistenza delle
esigenze cautelari.
Il pubblico ministero afferma la contraddittorietà e manifesta illogicità della
motivazione risultante dall’atto impugnato e da specifici atti processuali.
Richiama la giurisprudenza di legittimità rilevante nel caso di specie, riferisce
dettagliatamente quale sia la tesi di accusa, espone ampiamente le attività
criminali della organizzazione di stampo mafioso per la quale è in corso il
procedimento e poi svolge argomenti per dimostrare il rilievo della attività del Di
Ronza in tale ambito criminale notando la contraddittorietà dell’ avere da un lato
ritenuto sussistere a carico del Di Ronza gravi indizi di colpevolezza in
relazione alle contestazioni di estorsione e dall’altro negato la sua qualifica di
concorrente esterno della associazione mafiosa. Svolti ulteriori argomenti a
sostegno della tesi d’accusa, rileva anche che il Tribunale del Riesame non ha
tenuto conto delle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Martino Francesco;
al riguardo, nel ricorso “si riporta una parte della trascrizione delle dichiarazioni
rese 1’8 marzo 2013, a pochi giorni dal suo arresto, e depositate nel corso
udienza di riesame”. Da tali dichiarazioni, secondo il ricorrente, risulterebbe lo
stabile rapporto del ricorrente con la banda camorristica e la sua ascesa come
imprenditore grazie ai rapporti con il clan dei casalesi.

Entrambi i ricorsi sono inammissibili.
Con i primi tre motivi di ricorso la difesa si diffonde sulla propria
ricostruzione della vicenda rilevandone la maggior fondatezza rispetto alla
ricostruzione del Tribunale e, comunque, contestando la valutazione di merito del
materiale probatorio da parte dei giudici di merito. Quindi il ricorrente si limita a
chiedere una nuova valutazione dei fatti che non rientra nelle competenze del
giudice di legittimità. Con il quarto motivo si formulano genericissime

applicabilità della presunzione relativa di quell’articolo 275 3° comma cod. proc.
pen.
Con il proprio ricorso il pubblico ministero dedica lunghe argomentazioni al
merito della vicenda, ripetendo o comunque rinviando agli argomenti della
richiesta di misura cautelare, senza una specifica valutazione delle ragioni della
ordinanza impugnata e, comunque, sostanzialmente chiedendo una nuova
valutazione di merito del materiale indiziario, attività palesemente al di fuori dei
compiti del giudice di legittimità, senza individuare peculiari vizi logici o carenze
di motivazione provvedimento impugnato; tale non è la solo generica
affermazione che la ritenuta responsabilità per alcuni reati non potesse non
comportare la affermazione di responsabilità per il reato associativo.
Risulta, poi, del tutto irrilevante che non vi sia stata specifica risposta in
ordine al materiale aggiuntivo presentati in udienza.
Il pubblico ministero, difatti, osserva di aver depositato le dichiarazioni dell’
“ultimo collaboratore casalese, Martino Francesco, … pentitosi a seguito del suo
arresto 28 febbraio 2013” (trascrivendole nel ricorso per poter valutare la
significatività ed il rilievo della omissione da parte del Tribunale del Riesame). Ma
è palese la totale assenza di qualsiasi elemento necessario al fine di consentire la
valutazione di attendibilità e, poi, di utilizzabilità ai sensi dell’art. 192 3° comma
cod. proc. pen. Il mero deposito di un verbale, omissato, senza elementi per
potere valutare la attendibilità, non consente alcuna delle necessarie valutazioni
di attendibilità soggettiva, autonoma conoscenza dei fatti e verifica di effettivi
riscontri necessari per la stessa utilizzabilità astratta della prova; peraltro, se ciò
vale in generale, rileva ancora di più nel caso particolare in cui vi sarebbe stata
una generica conferma del ruolo del Di Ronza, ruolo del quale il medesimo
collaboratore aveva comunque avuto conoscenza con la medesima ordinanza di
custodia a lui notificata.
Alle date condizioni, quindi, non vi era alcuna necessità di specifica
motivazione non essendovi materiale sufficiente anche per la sola valutazione di
utilizzabilità astratta delle dichiarazioni.

osservazioni in tema di esigenze cautelari che non hanno rilievo a fronte della

Valutate le ra g ioni della inammissibilità, la sanzione pecuniaria nei confronti
di Di Ronza va equamente determinata nella misura di cui in dispositivo. 14
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Dichiara inammissibile il ricorso del PM.
Dichiara inammissibile il ricorso del Di Ronza che condanna al pagamento
delle spese processuali e della somma di Euro 1000 alla Cassa delle Ammende.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 comma 1-ter Disp.
Att. Cod. proc. pen.

ciso il 26 settembre 2013

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