Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 50105 del 24/10/2013


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 50105 Anno 2013
Presidente: LANZA LUIGI
Relatore: DE AMICIS GAETANO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
USIFOH KATE N. IL 13/06/1979
avverso la sentenza n. 9844/2012 CORTE APPELLO di BOLOGNA,
del 25/01/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 24/10/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GAETANO DE AMICIS
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. G-1 issE- P & \–OL-PE
che ha concluso per r-e,
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Udito, per la parte civile, l’Avv
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Data Udienza: 24/10/2013

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 25 gennaio 2013 la Corte d’appello di Bologna ha confermato la sentenza
emessa dal Tribunale di Reggio Emilia in data 2 luglio 2012 nei confronti di Usifoh Kate e di
Airiohuodion Joel, che venivano condannati per il reato di cui all’art. 73 del D.P.R. n. 309/90
(detenzione a fine di cessione a terzi di grammi 119,8 di cocaina suddivisa in undici ovuli
occultati all’interno di un decoder collocato nella camera da letto in uso ai medesimi, in Reggio

concesse le attenuanti generiche e la diminuente del rito abbreviato.

2. Avverso la su indicata pronunzia della Corte d’appello di Bologna ha proposto ricorso per
cassazione il difensore di Usifoh Kate, deducendo i motivi di doglianza di seguito
sinteticamente riassunti.

2.1. Violazione degli artt. 143 c.p.p., 111-117 Cost. e 6, comma 3, lett. a), C.E.D.U., a norma
dell’art. 606, comma 1, lett. c), c.p.p., per non essere stato assicurato il pieno diritto di difesa
agli imputati alloglotti sin dal momento del loro arresto, con la conseguente nullità dell’intero
procedimento: al riguardo, infatti, il Giudice d’appello ha sostanzialmente riproposto le
medesime argomentazioni svolte dal Tribunale, senza alcuna confutazione dei rilievi esegetici
sollevati dalla difesa, secondo cui la nomina dell’interprete all’imputato alloglotta non può
ritenersi limitata alla sola fase processuale e/o cautelare in senso stretto, poichè, diversamente
opinando, si dovrebbe eliminare dalla previsione contenuta nell’art. 143, comma quarto, c.p.p.
il riferimento ivi espresso all’Ufficiale di P.G., in violazione anche del disposto dell’art. 6,
comma 3, lett. a), C.E.D.U..

2.2. Violazione dell’art. 125, comma 3, in relazione all’art. 192 c.p.p., a norma dell’art. 606,
comma 1, lett. e), c.p.p., avendo i Giudici di merito espresso un giudizio di colpevolezza senza
alcuna valorizzazione o adeguata confutazione dell’ipotesi alternativa proposta dalla difesa in
tema di penale responsabilità dell’appellante.

2.3. Violazione dell’art. 125, comma 3, in relazione all’art. 73, comma 5, del D.P.R. n. 309/90,
a norma dell’art. 606, comma 1, lett. e), c.p.p., per la manifesta illogicità e contraddittorietà
della motivazione in merito al mancato riconoscimento dell’ipotesi di lieve entità disciplinata
dalla norma su menzionata: la Corte d’appello, al riguardo, si è acriticamente richiamata alla
decisione di primo grado, senza esaminare il motivo d’impugnazione contenuto
nell’integrazione dell’atto di appello.

2.4. Violazione dell’art. 125, comma 3, c.p.p., in relazione all’art. 133 c.p., per carenze
motivazionali sui criteri utilizzati per la determinazione del trattamento sanzionatorio, avendo
1

Emilia il 15 marzo 2012) alla pena di anni tre di reclusione ed euro 14.000,00 di multa,

la Corte d’appello acriticamente riprodotto, sul punto, la statuizione contenuta nella sentenza
di primo grado, sia con riferimento alla posizione della ricorrente, che nel rapporto tra la stessa
e quella del coimputato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il primo motivo di doglianza è infondato, avendo i Giudici di merito fatto coerente

applicazione del quadro di principii delineato in questa Sede, secondo cui, in base al testuale

non conosca la lingua italiana ha diritto all’assistenza di un interprete “al fine di poter
comprendere l’accusa contro di lui formulata e di seguire il compimento degli atti a cui
partecipa”, deve escludersi che già all’atto dell’arresto in flagranza di uno straniero non a
conoscenza della lingua italiana si debba provvedere a farlo assistere da un interprete, atteso
che, per un verso, l’arresto in flagranza non comporta la immediata “formulazione” di
un’accusa a carico dell’arrestato, avendo luogo la medesima soltanto con l’interrogatorio che il
giudice deve effettuare in sede di convalida dell’arresto, nell’osservanza delle forme previste
dall’art. 65 cod. proc. pen. (tra cui, in particolare, la contestazione del fatto “in forma chiara e
precisa”); per altro verso, non può neppure dirsi che l’arresto in flagranza sia un atto al quale
“partecipi” l’arrestato, dal momento che questi non può che limitarsi a subirlo, spettando
l’iniziativa dell’atto medesimo ed il suo compimento solo ed esclusivamente alla polizia
giudiziaria (Sez. 1, n. 48797 del 19/09/2003, dep. 19/12/2003, Rv. 226464).
Entro tale prospettiva si è, altresì, precisato che la garanzia dell’assistenza dell’interprete ad
una persona che ignori la lingua italiana si estende alle attività procedimentali anteriori al
giudizio di merito e, conseguentemente, va assicurata, a pena di nullità, anche nel
procedimento di convalida dell’arresto, ma con specifico riferimento a quegli atti (relazione del
P.M. o degli agenti verbalizzanti, interrogatorio del giudice) per i quali deve essere resa
possibile l’effettività del contraddittorio (Sez. 1, n. 18922 del 21/02/2001, dep. 26/04/2001,
Rv. 218918, in relazione ad una fattispecie concernente l’omessa traduzione del verbale di
arresto, che la S.C. ha ritenuto non produttiva di alcuna nullità, data anche l’assenza
dell’obbligo di una sua consegna all’interessato).
Alla luce di tale insegnamento giurisprudenziale deve pertanto “leggersi” la deduzione difensiva
svolta con riferimento al senso da attribuire alla previsione normativa contenuta nell’art. 143,
comma 4, c.p.p., laddove si fa riferimento alla nomina di un interprete anche quando il giudice,
il pubblico ministero o l’ufficiale di polizia giudiziaria ha personale conoscenza della lingua.
E’ un dato pacifico, peraltro, che, nel caso in esame, nessuna limitazione in concreto ha subito
l’esercizio del diritto all’assistenza linguistica di un interprete, avendo i Giudici di merito
concordemente posto in evidenza, ed il dato non è contestato dalla difesa, che l’imputata è
stata assistita da un interprete all’udienza di convalida dell’arresto e durante tutto lo
svolgimento del processo, venendo pienamente edotta delle accuse nei suoi confronti
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tenore dell’art. 143, comma primo, cod. proc. pen., laddove si prevede che l’imputato che

formulate, accuse che ha adeguatamente compreso, tanto da rendere un interrogatorio nel
corso del quale ha potuto offrire la sua versione dei fatti.
Deve infine soggiungersi, ad ulteriore riprova della fondatezza della soluzione ermeneutica qui
accolta, che nella stessa Direttiva 2010/64/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 20
ottobre 2010 sul diritto all’interpretazione e alla traduzione dei procedimenti penali, non ancora
attuata nel nostro ordinamento, ma il cui termine di recepimento è scaduto il 27 ottobre 2013,
si stabilisce, in ossequio ai livelli di tutela al riguardo richiesti dall’art. 6 della Convenzione

gennaio 2010, Dia/lo c. Svezia, n. 13205/07), che gli indagati o gli imputati che non parlano o
non comprendono la lingua del “procedimento penale” in questione hanno diritto all’assistenza
di un interprete “nei procedimenti penali dinanzi alle autorità inquirenti e giudiziarie, inclusi gli
interrogatori di polizia, e in tutte le udienze, comprese le necessarie udienze preliminari” (art.
2, par. 1), sì da garantire che gli stessi siano a conoscenza delle accuse a loro carico e siano in
grado di esercitare i loro diritti di difesa (art. 2, par. 8), contemporaneamente assicurando, in
altra disposizione (ex art. 3, par. 2), la traduzione scritta di alcuni documenti ritenuti
“fondamentali”, tra cui sono espressamente ricompresi, fatta salva un’eventuale decisione
“ampliativa” da parte dell’autorità giudiziaria (art. 3, par. 3), alcuni atti quali “le decisioni che
privano una persona della propria libertà, gli atti contenenti i capi d’imputazione e le
sentenze”, ma non certo i verbali di arresto in sé e per sé considerati, avuto riguardo alla
finalità specificamente assegnata all’esercizio dei su indicati diritti della difesa, ossia quella di
garantire la complessiva equità del procedimento penale consentendo agli indagati o agli
imputati di conoscere le accuse a loro carico formulate (art. 3, par. 4), tanto è vero che perfino
i documenti “fondamentali” non vanno tradotti necessariamente nella loro interezza, ma solo in
relazione a quei passaggi ritenuti “rilevanti” a tale scopo.

4. Infondati, sino a lambire i contorni dell’inammissibilità, devono poi ritenersi gli ulteriori
motivi di doglianza, in quanto sostanzialmente orientati a riprodurre un quadro di
argomentazioni già esposte in sede di appello – e finanche dinanzi al Giudice di prime cure che tuttavia risultano ampiamente vagliate e correttamente disattese dalla Corte distrettuale,
ovvero a sollecitare una rivisitazione meramente fattuale delle risultanze processuali, poiché
imperniata sul presupposto di una valutazione alternativa delle fonti di prova, in tal guisa
richiedendo l’esercizio di uno scrutinio improponibile in questa Sede, a fronte della linearità e
della logica conseguenzialità che caratterizzano la scansione delle sequenze motivazionali
dell’impugnata decisione.
In relazione agli evidenziati profili, dunque, il ricorso non è volto a rilevare mancanze
argomentative ed illogicità ictu (“cui/ percepibili, bensì ad ottenere – peraltro attraverso una
generica reiterazione delle doglianze prospettate in sede di gravame – un non consentito
sindacato su scelte valutative compiutamente giustificate dal Giudice di appello, che ha
adeguatamente ricostruito il compendio storico-fattuale posto a fondamento del tema d’accusa.
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europea dei diritti dell’uomo, sì come interpretato dalla Corte EDU (v., ad es., Sez. III, 5

In tal senso, la Corte territoriale ha proceduto ad un vaglio critico di tutte le deduzioni ed
obiezioni mosse dalla difesa, pervenendo alla decisione impugnata attraverso una disamina
completa ed approfondita delle risultanze processuali.
Nel condividere il significato complessivo del quadro probatorio posto in risalto nella sentenza
del Giudice di prime cure, la cui struttura motivazionale viene sul punto a saldarsi
perfettamente con quella di secondo grado, sì da costituire un corpo argomentativo uniforme e
privo di lacune, la Corte di merito ha puntualmente disatteso la diversa ricostruzione

biologiche rilevabili sugli ovuli contenenti la sostanza stupefacente rinvenuta nel decoder, indi
escludendone, con plausibili argomentazioni, ogni rilevanza ai fini dell’apprezzamento della
specifica posizione della ricorrente, ed infine concludendo, sulla base dei dati e degli elementi
probatori offerti dal complesso delle acquisizioni processuali – singolarmente e globalmente
valutate – nel senso della sua penale responsabilità in ragione della codetenzione dei
quantitativi di stupefacente rinvenuti nel decoder trovato all’interno della camera da letto dalla
stessa occupata assieme al coniuge (camera ubicata, del resto, all’interno di un appartamento
nella sua piena disponibilità, ove sono stati rinvenuti anche un bilancino di precisione ed altro
materiale utile al confezionamento di quelle sostanze).
Palesemente inattendibili, poi, sono state ritenute, sulla base di argomenti congruamente
illustrati dalla Corte di merito e dalla difesa non criticamente contestati, le affermazioni della
cugina dell’imputata (Usigbe Joy, anch’essa arrestata per fatti analoghi posti in essere
nell’abitazione dove la Usifoh era agli arresti domiciliari) circa la presenza di un non meglio
identificato connazionale che avrebbe occupato la camera ove fu rinvenuta la droga, persona
indicata solo in modo generico e senza fornire alcun elemento utile alla relativa identificazione.
Congruamente illustrate, infine, devono ritenersi le ragioni giustificative del mancato
riconoscimento dell’ipotesi attenuata di cui all’invocato quinto comma del disposto dell’art. 73
del D.P.R. n. 309/90 (individuate non solo a fronte del rilevante dato quantitativo, ma anche
attraverso il vaglio dei mezzi e nelle modalità dell’azione, ritenuta non occasionale ed inserita
nell’ambito di un’attività organizzata e capace di disporre di stabili canali di
approvvigionamento), come pure della mancata differenziazione dell’entità del trattamento
sanzionatorio alla ricorrente riservato, rispetto a quello inflitto al coimputato (avendo la Corte
di merito motivatamente ritenuto recessivo il dato della formale incensuratezza dell’imputata,
a fronte di prevalenti ragioni indicate nella elevata capacità a delinquere dalla stessa
dimostrata attraverso la realizzazione di un’attività di spaccio organizzata all’interno della sua
abitazione e proseguita addirittura anche a seguito del suo arresto).
Deve sul punto ribadirsi il principio, già da questa Suprema Corte affermato, secondo cui, in
tema di ricorso per cassazione, non può essere considerato come indice di vizio di motivazione
il diverso trattamento sanzionatorio riservato nel medesimo procedimento ai coimputati, anche
se correi, salvo che il giudizio di merito sul diverso trattamento del caso che si prospetta come
identico sia sostenuto da asserzioni irragionevoli o paradossali (Sez. 6, n. 21838 del
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prospettata dalla difesa, esaminando le risultanze della perizia genetica svolta sulle tracce

23/05/2012, dep. 05/06/2012, Rv. 252880), ipotesi, questa, evidentemente non ricorrente nel
caso in esame, per le ragioni dianzi esposte.

5. La Corte d’appello, pertanto, ha compiutamente illustrato le ragioni per le quali ha ritenuto
sussistenti gli elementi richiesti per la configurazione della contestata ipotesi delittuosa, ed ha
evidenziato al riguardo gli aspetti maggiormente significativi, dai quali ha tratto la conclusione
che gli argomenti prospettati dalla difesa erano in realtà privi di ogni aggancio probatorio e si

prova processualmente acquisiti.
La conclusione cui è pervenuta la sentenza impugnata riposa, in definitiva, su un quadro
probatorio giudicato completo ed univoco, e come tale in nessun modo censurabile sotto il
profilo della congruità e della correttezza logica.
In questa Sede, invero, a fronte di una corretta ricostruzione del compendio storico-fattuale,
non può ritenersi ammessa alcuna incursione nelle risultanze processuali per giungere a
diverse ipotesi ricostruttive dei fatti oggetto della regiudicanda, dovendo la Corte di legittimità
limitarsi a ripercorrere l’iter argomentativo svolto dal giudice di merito per verificarne la
completezza e la insussistenza di vizi logici ictu ()cui/ percepibili, senza alcuna possibilità di
verifica della rispondenza della motivazione alle correlative acquisizioni processuali.

6. Conclusivamente, sulla base delle su esposte considerazioni, il ricorso deve essere rigettato,
con la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali ex art. 616 c.p.p. .

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, lì, 24 ottobre 2013

Il Consigliere estensore

ponevano solo quali mere ipotesi alternative, peraltro smentite dal complesso degli elementi di

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