Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 50091 del 15/11/2013


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 50091 Anno 2013
Presidente: PETTI CIRO
Relatore: RAGO GEPPINO

SENTENZA
su ricorso proposto da:

1. CANDU CRISTINA nata il 20/06/1987;
2. SAGGESE BERNARDINO nato il 04/11/1980;
avverso l’ordinanza del 19/03/2013 del Tribunale del Riesame di Benevento;
Visti gli atti, l’ordinanza ed il ricorso;
udita la relazione fatta dal Consigliere dott. Geppino Rago;
udito il Procuratore Generale in persona del dott. Mario Fraticelli che ha concluso
per il rigetto;
udito il difensore avv.to Dario Vannetiello che ha concluso per l’accoglimento;
FATTO
1. Con ordinanza del 19/03/2013, il Tribunale del Riesame di Benevento
rigettava l’istanza di riesame proposta da CANDU Cristina e SAGG’ESE Berardino,
indagato per i reati di cui agli artt. 640-648 cod. pen., avverso il decreto di
sequestro probatorio disposto dal Pubblico Ministero di quattro assegni circolari
emessi dalla Banca BLPR di Benevento, filiale di Montesarchio, per un valore di €
70.000,00 a seguito del versamento, effettuato dal Saggese, di un assegno
circolare falso, emesso per l’importo di € 65.000,00 in favore della società
Charme s.r.l. della quale il Saggese risultava gestore di fatto e CANDU Cristina
legale rappresentante.

1

Data Udienza: 15/11/2013

2. Avverso la suddetta ordinanza, il Saggese e la Candu, a mezzo del
proprio difensore, hanno proposto un unico ricorso per cassazione deducendo i
seguenti motivi:
2.1.

VIOLAZIONE DELL’ART.

321/1

COD. PROC. PEN.

per avere il Pubblico Ministero

indicato in maniera puramente formale le norme di legge contestate,
asseritamente giustificative del sequestro dei titoli, omettendo di enucleare il
fatto storico e le condotte attribuite ai ricorrenti. Tale vizio avrebbe dovuto
determinare la nullità assoluta del provvedimento impugnato anche perché il
Tribunale aveva disatteso l’eccezione con una motivazione apparente anche in

prova logica dell’estraneità degli indagati ai reati contestati, essendo essi vittime
a loro volta di una truffa;
2.2.

VIOLAZIONE DEGLI ARTT.

253-257-324

COD. PROC. PEN.

per avere il

tribunale, illegittimamente affermato, che il reato ipotizzabile era quello di
riciclaggio e non di ricettazione, con ciò esorbitando dai propri limiti.
DIRITTO
1. VIOLAZIONE DELL’ART.

321/1

COD. PROC. PEN.:

la censura, nei termini in cui è

stata dedotta è manifestamente infondata.
In punto di diritto, va premesso che, in base al combinato disposto degli
artt. 257-324-325 cod. proc. pen., il ricorso per cassazione, nella fattispecie in
esame, può essere proposto solo per violazione di legge.
In punto di fatto, va osservato che il tribunale, a pag. 2 del provvedimento
impugnato, sintetizzando quanto scritto nel decreto di sequestro, ha ricostruito
in modo ampio e particolareggiato il fatto storico che aveva determinato il
Pubblico Ministero a disporre il sequestro probatorio dei quattro assegni in
quanto corpo del reato. Peraltro, la suddetta ricostruzione, corrisponde,
perfettamente, a quanto sostenuto dagli stessi ricorrenti nel presente ricorso a
pag. 2 nota 1.
Di conseguenza, essendo pacifico che l’assegno circolare versato in Banca
pacificamente dal Saggese era falso e che, a fronte del suddetto assegno, aveva
ottenuto dalla Banca l’emissione di quattro assegni per complessivi C 70.000,00,
gli ipotizzati delitti di truffa e ricettazione, allo stato, appaiono ampiamente
configurabili come correttamente ed incensurabilmente ha ritenuto il tribunale in
ordine alla sussistenza del

fumus delicti,

non bastando certo la semplice

deduzione difensiva del Saggese a far ritenere – nella fase delle indagini
preliminari – la completa estraneità del medesimo ai fatti in questione.
Pertanto, attenendo la doglianza dei ricorrenti a pretesi vizi motivazionali e
non a violazioni di legge, la censura va dichiarata inammissibile.
2

relazione alla dedotta insussistenza del fumus delicti avendo la difesa offerto la

2. VIOLAZIONE DEGLI ARTT. 253-257-324 COD. PROC. PEN.: è vero che il tribunale

nell’ultima parte della motivazione ha ipotizzato che il fatto potrebbe essere
qualificato come riciclaggio.
Ma, a parte che non pare una vera e propria riqualificazione giuridica del
fatto in quanto il tribunale, appena prima, nel periodo precedente, aveva
confermato la correttezza delle ipotesi di reato ipotizzate dal Pubblico Ministero,
va osservato che, a tutto concedere, la suddetta riqualificazione rientrerebbe pur
sempre nella facoltà del tribunale (ex plurimis Cass. 18828/2013 riv 254902),

3. In conclusione, l’impugnazione deve ritenersi inammissibile a norma
dell’art. 606/3 c.p.p, per manifesta infondatezza: alla relativa declaratoria
consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna dei ricorrenti al
pagamento delle spese processuali, nonché al versamento in favore della Cassa
delle Ammende di una somma che, ritenuti e valutati i profili di colpa emergenti
dal ricorso, si determina equitativamente in C 1.000,00 ciascuno.
P.Q.M.
DICHIARA
inammissibile il ricorso e
CONDANNA
il ricorrente al pagamento delle spese processuali e ciascuno della somma di C
1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Roma 15/11/2013

sicchè nessuna violazione di legge è ipotizzabile.

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