Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 50090 del 15/11/2013


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 50090 Anno 2013
Presidente: PETTI CIRO
Relatore: RAGO GEPPINO

SENTENZA
su ricorso proposto da:
1. ME0 MAURIZIO nato il 21/09/1980;
2. ME0 GIUSEPPE nato il 28/10/1954;
3. ME0 MATTEO nato il 23/01/1977;
avverso l’ordinanza del 24/04/2013 della Corte di Appello di Catanzaro;
Visti gli atti, l’ordinanza ed il ricorso;
udita la relazione fatta dal Consigliere dott. Geppino Rago;
letta la requisitoria del Procuratore Generale in persona del dott. Luigi Riello che
ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
FATTO e DIRITTO
1.

Con ordinanza del 24/04/2013, la Corte di Appello di Catanzaro

dichiarava inammissibile la richiesta di revisione proposta da ME0 Matteo, MEO
Giuseppe e MEO Maurizio Salvatore avverso la sentenza pronunciata in data
09/11/2010 (irrevocabile il 28/09/2012) dalla Corte di Appello di Reggio Calabria
con la quale erano stati condannati per il delitto di estorsione per avere costretto
Sciotto Salvatore a rinunziare all’esecuzione dello sfratto e Sciotto Gino a non
richiedere il rilascio dell’appartamento acquistato all’asta e detenuto da Amilicia
Carmela.

2. Avverso la suddetta ordinanza, ME0 Matteo, MEO Giuseppe e MEO
Maurizio Salvatore, con un unico atto di impugnazione redatto in proprio, hanno
proposto ricorso per cassazione deducendo

1

VIOLAZIONE DELL’ART.

634

COD. PROC.

Data Udienza: 15/11/2013

PEN.

per avere la Corte territoriale omesso di considerare che, dalle nuove prove

dedotte, emergevano le seguenti circostanze: a) l’assenza di violenza o minacce;
b) l’assoluta mancanza della volontà delle persone offese di estromettere dagli
immobili Salvatore e Nicola Meo che, all’epoca, vi abitavano.
Con la decisione impugnata, la Corte aveva illegittimamente effettuato una
penetrante anticipazione dell’apprezzamento di merito.

3. Il ricorso, nei termini in cui è stato dedotto, è manifestamente infondato.
In punto di diritto va premesso che è pacifico che la revisione non si

straordinario che consente di rimuovere gli effetti del giudicato, sempre che i
nuovi mezzi di prova sia tali da incidere in modo favorevole sulla sentenza di
condanna.
Orbene, in punto di fatto, la Corte, con apprezzamento logico e coerente con
gli evidenziati elementi fattuali desunti dalla lettura congiunta delle due conformi
sentenze di condanna, ha rilevato l’assoluta irrilevanza dei nuovi mezzi di prova
che, quand’anche assunti, non avrebbero una forza tale da inficiare il compendio
probatorio sulla base del quale i ricorrenti erano stati condannati. La stessa Corte
di Appello di Reggio Calabria, infatti, nella motivazione della sentenza di
condanna, aveva preso in esame gli esiti (parzialmente favorevoli ai ricorrenti) di
alcune controversie civili riguardanti sempre la medesima questione, ma aveva
rilevato, in uno con la decisione del Tribunale, che «a prescindere dall’esito di tali
controversie civili, il comportamento degli imputati ha assunto comunque
rilevanza penale […3», spiegandone ampiamente le ragioni.
Pertanto, la decisione della Corte territoriale è ineccepibile, in quanto «le
dichiarazioni per la risoluzione bonaria delle controversie esistenti tra i nuclei
familiari anche in esito alla pesantezza della situazione dopo la sentenza penale
di condanna, la documentazione ed i commenti ricavabili dai colloqui nella
prospettazione di antitetiche letture delle vicende, in un quadro in cui è pacifica
l’affermazione di penale responsabilità per le condotte illecite di cui ai differenti
capi […] non sono dotati di potenziale efficacia di incidere in modo favorevole
sulle prove già raccolte e sul connesso giudizio di colpevolezza».
Va, quindi, condiviso quanto scritto dal Procuratore Generale che, nella sua
requisitoria scritta, ha osservato che la richiesta di revisione si fonda «su una
lettura critica della sentenza di condanna e, in particolare, sulla risoluzione
bonaria delle pregresse controversie tra i nuclei famigliari, anche all’esito della
condanna di cui si chiede la revisione»: dal che consegue l’inammissibilità del
ricorso per manifesta infondatezza e la conseguente condanna dei ricorrenti al
pagamento delle spese processuali, nonché al versamento in favore della Cassa
2

configura come un mezzo tardivo di impugnazione ma come un mezzo

delle Ammende di una somma che, ritenuti e valutati i profili di colpa emergenti
dal ricorso, si determina equitativamente in C 1.000,00 ciascuno.
P.Q.M.
DICHIARA
inammissibile il ricorso e
CONDANNA
i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno della somma di C
1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Roma 15/11/2013

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