Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 50082 del 06/05/2015


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 50082 Anno 2015
Presidente: ROMIS VINCENZO
Relatore: CIAMPI FRANCESCO MARIA

SENTENZA
sul ricorso proposto da :

MONTALBANO ANTONINO N. IL 10.09.1962

Nei confronti di :

MINISTERO ECONOMIA E FINANZE

Avverso la ordinanza della CORTE D’APPELLO DI PALERMO in data 19 settembre 2014

sentita la relazione fatta dal Consigliere dott. FRANCESCO MARIA CIAMPI, lette le
conclusioni del PG in persona della dott.ssa Immacolata Zeno che ha chiesto il rigetto del
ricorso

Data Udienza: 06/05/2015

RITENUTO IN FATTO
1. Con l’impugnata ordinanza emessa in data 19 settembre2014 la Corte di Appello
di Palermo rigettava la domanda di Montalbano Antonino, volta ad ottenere la
riparazione per ingiusta detenzione subita dal 17 luglio 2008 al 18 febbraio 2010, in
relazione ad un provvedimento cautelare di custodia in carcere emesso nei suoi
confronti dal GIP presso il Tribunale di Palermo per il delitto di cui all’ art. 416 bis,
per cui era intervenuta scarcerazione per riqualificazione del fatto in delitto di

ottobre 2011 della Corte d’Appello di Palermo, divenuta irrevocabile il successivo 3
marzo 2012.
2. Avverso tale ordinanza ricorre per cassazione il Montalbano deducendo, per il
tramite del difensore di fiducia, che la stessa è viziata da mancanza e illogicità
manifesta di motivazione per aver escluso la riparazione nonostante la intervenuta
assoluzione.
3. Si costituiva il Ministero delle Finanze che con puntuali argomentazioni chiedeva il
rigetto del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

5. Il ricorso non merita accoglimento
Ai fini dell’accertamento del requisito soggettivo ostativo al riconoscimento
dell’indennizzo in questione, il giudice del merito – investito dell’istanza per
l’attribuzione di una somma di danaro a titolo di equa riparazione per l’ingiusta
detenzione, ai sensi dell’art. 314 cod. proc. pen. – ha il dovere di verificare se la
condotta tenuta dall’istante nel procedimento penale, nel corso del quale si
verificò la privazione della libertà personale, quale risulta dagli atti, sia
connotabile di dolo o di colpa grave. Il giudice stesso deve, a tal fine, valutare se
certi comportamenti riferibili alla condotta cosciente e volontaria del soggetto,
possano aver svolto un ruolo almeno sinergico nel trarre in errore l’autorità
giudiziaria; cio’ che il legislatore ha voluto, invero, e’ che non sia riconosciuto il
diritto alla riparazione a chi, pur ritenuto non colpevole nel processo penale, sia
stato arrestato e mantenuto in detenzione per aver tenuto una condotta tale da
legittimare il provvedimento dell’autorità inquirente (sez. IV 7.4.99 n.440, Min.
Tesoro in proc. Petrone, Rv 197652). Le sezioni unite di questa Corte (sentenza
13.12.1995 n.43, Sarnataro, Rv.203638) hanno poi ulteriormente precisato che “Nel
procedimento per la riparazione dell’ingiusta detenzione e’ necessario distinguere
nettamente l’operazione logica propria del giudice del processo penale, volta
all’accertamento della sussistenza di un reato e della sua commissione da parte
dell’imputato, da quella propria del giudice della riparazione il quale, pur dovendo
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favoreggiamento personale, reato da cui era stato assolto con sentenza del 29

operare, eventualmente, sullo stesso materiale, deve seguire un

iter logico-

motivazionale del tutto autonomo, perché e’ suo compito stabilire non se determinate
condotte costituiscano o meno reato, ma se queste si sono poste come fattore
condizionante (anche nel concorso dell’altrui errore) alla produzione dell’evento
“detenzione” ed in relazione a tale aspetto della decisione egli ha piena ed ampia
libertà di valutare il materiale acquisito nel processo, non già per rivalutarlo, bensì al
fine di controllare la ricorrenza o meno delle condizioni dell’azione (di natura

una causa di esclusione del diritto alla riparazione”.
Nella specie il provvedimento impugnato assolve al prescritto obbligo di motivazione
dal momento che l’ordinanza ha fatto riferimento ai frequenti rapporti, anche di
natura economica, del Montalbano con esponenti del clan Capizzi di Ribera, che dio
fatto gestivano il supermercato formalmente intestato ad una S.r.l. di cui l’odierno
ricorrente era socio ed amministratore e presso il quale, inoltre, lavorava la moglie.
Quanto alla condotta processuale del Montalbano che si era avvalso della facoltà diu
non rispondere osserva la Corte : la condotta successiva all’applicazione della misura
cautelare è stata ritenuta idonea a giustificare il mantenimento della custodia in
carcere con argomentazione congrua ed esente da manifesta illogicità, in quanto si è
attribuito rilievo alla scelta difensiva di avvalersi della facoltà di non rispondere
anziché fornire all’autorità giudiziaria elementi utili ad attribuire un diverso significato
agli indizi posti a fondamento del provvedimento cautelare.
Giova sottolineare, in proposito, che la Corte di Cassazione ha, sin dal 2001,
affermato il seguente principio di diritto: «In caso di richiesta di riparazione per
l’ingiusta detenzione, il giudice deve tenere conto anche della condotta del ricorrente
successiva all’esecuzione del provvedimento restrittivo e, pur nel rispetto del diritto
di costui a non rendere dichiarazioni, può legittimamente ritenere che la circostanza
di non avere il ricorrente risposto in sede di interrogatorio e non fornito spiegazioni
su circostanze obiettivamente indizianti abbia contribuito alla formazione del quadro
indiziario che ha indotto i giudici della libertà all’applicazione e alla protrazione della
custodia>> (Sez. 4, n.2154 del 9/05/2001, Bergamin, Rv. 219490).
Tale posizione ha trovato conferma in altre pronunce della Corte, secondo cui il
silenzio dell’imputato su circostanze non altrimenti acquisibili o, a maggior ragione, il
suo mendacio integrano gli estremi di quella colpa che, ai sensi dell’art. 314, comma
1, cod.proc.pen., esclude il diritto alla riparazione per l’ingiusta detenzione (Sez. 4,
n.956 del 24/03/1998, Longo, Rv.210632), sul presupposto che il comportamento
mendace dell’imputato, sebbene rientri nel diritto di difesa, come oggetto di scelta di
linea difensiva, non può però giustificare la domanda di riparazione, se proprio dal
comportamento mendace sia derivata la conferma o la protrazione della custodia
cautelare.
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civilistica), sia in senso positivo che negativo, compresa l’eventuale sussistenza di

Principi contrari sono stati affermati nella giurisprudenza della Corte, laddove si è
affermato che un comportamento che si configuri come espressione del diritto di
difesa e di libertà non può al contempo essere qualificato illegittimo nella particolare
prospettiva della riparazione per ingiusta detenzione (Sez.4, n.1745 del 03/06/1998,
Ben Salah A., Rv. 211648; Sez. 4, n.2758 del 05/05/2000, Minino L., Rv. 217429),
ma è bene evidenziare che tali principi sono stati affermati con riguardo al
comportamento dell’indagato datosi alla fuga o resosi irreperibile.

Unite, in base al quale la valutazione dei comportamenti successivi alla conoscenza
da parte dell’indagato del procedimento a suo carico deve essere effettuata con
particolare cautela, dovendosi avere rispetto per le strategie difensive che abbia
ritenuto di adottare (quale che possa esserne la ragione) chi è stato ingiustamente
privato della libertà personale (Sez. U n.43 del 13/12/1995, dep. 1996, Sarnataro,
Rv.203638). Ma in successive pronunce è stato chiarito che il silenzio, la reticenza e
il mendacio dell’indagato in sede di interrogatorio, pur costituendo esercizio del
diritto di difesa, possono rilevare sotto il profilo del dolo o della colpa grave nel caso
in cui egli sia in grado di indicare specifiche circostanze, non note all’organo
inquirente, idonee a prospettare una logica spiegazione al fine di escludere o
caducare il valore indiziante degli elementi acquisiti in sede investigativa, che
determinarono l’emissione del provvedimento cautelare (Sez. 4, n.4159 del
09/12/2008, dep. 2009, Lafranceschina, Rv.242760).
In conclusione, l’ordinanza impugnata risulta congruamente e logicamente motivata
– e pertanto non censurabile. La condotta del Montalbano giustifica infatti
pienamente un giudizio in termini di grave imprudenza e negligenza, come tale
ostativa al beneficio richiesto.

6. Il ricorso deve pertanto essere rigettato con condanna del ricorrente al pagamento
delle spese processuali ed alla rifusione delle spese sostenute dal Ministero
resistente che si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali; lo condanna
inoltre a rimborsare al Ministero resistente le spese sostenute in questo giudizio che liquida in
complessivi C 1.000,00..
Così deciso nella camera di consiglio del 6 maggio 2015

IL CONSIGLIERE ESTENSORE

IL PRESIDENTE

Occorre, dunque, sempre tenere presente il principio enunciato dalla Corte a Sezioni

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