Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 50076 del 27/11/2013


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 50076 Anno 2013
Presidente: PETTI CIRO
Relatore: IANNELLI ENZO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
GUIDA FELICE N. IL 12/10/1975
BIANCO ANNA N. IL 10/02/1970
avverso la sentenza n. 2088/2012 CORTE APPELLO di BARI, del
07/01/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 27/11/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ENZO IANNELLI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv.

Data Udienza: 27/11/2013

-1- Guida Felice e Bianco Anna, la seconda tramite difensore, con due distinti atti ricorrono
avverso la sentenza datata 7/21.1.2013 della corte di appello di Bari , di conferma della pregressa
decisione di primo grado — tribunale della stessa città in data 22.2.2012- che li condannava alla
pena,ciascuno, di anni quattro di reclusione ed euro 700,00 di multa per i delitti, in concorso ed in
continuazione, di rapina e di lesioni artt. 81 cpv., 110 628, comma 1,2 e 3, aggravanti giudicate
equivalenti alla attenuante di cui all’art. 62 n. 4 c.p..
-2- In breve il fatto come ricostruito dai giudici di merito: Bianco Anna assaliva, stringendole il
collo Berloco Maria, all’ ingresso della sua abitazione, le strappava dal collo la catenina d’oro, e
quindi, usando violenza unitamente al correo Guida Felice sopraggiunto, contro il figlio della
donna, Baldassare Dario, che alla vista della aggressione si era posto a difesa della madre, si dava,
insieme al Guida, alla fuga, vanamente inseguiti i due dai figli della anziana donna, il predetto
Dario ed il fratello Giuseppe. I due imputati venivano poco dopo, in base alla descrizione del
Baldassare, rintracciati, arrestati e in tale frangente riconosciuti da quest’ ultimo, il quale anche
riconosceva come appartenente alla propria madre la collanina d’ oro che veniva rinvenuta, in sede
di perquisizione domiciliare nell’abitazione dei prevenuti, sequestrata e quindi restituita alla
donna rapinata.
-3-Le ragioni di doglianza sono in parte sovrapponibili e quindi vengono trattate congiuntamente. In
particolare la difesa di Bianco Anna denuncia la inconcludenza, ai fini del giudizio di
responsabilità, della individuazione di persona operata ai sensi dell’art. 349 codice di rito, la
violazione dell’art. 192 c.p.p. per aver valorizzato il riconoscimento degli imputati in sede di
dibattimento, avvenuto dopo otto mesi dal fatto di reato, la illegittimità della restituzione all’avente
diritto della collana rapinata che avrebbe impedito l’ esercizio del diritto di difesa volto a
contestarne eventualmente 1′ identificazione come il monile di proprietà della persona offesa,
l’omessa assunzione di una prova decisiva costituita dalla testimonianza, pur ritenuta superflua ,
della donna rapinata, l’erronea qualificazione del fatto rapportabile semmai al delitto di furto
seguito dalle lesioni riportate da Baldassare Dario, infine l’ erronea applicazione dell’aggravante
della minorata difesa della persona offesa.
Dal canto suo Guida Felice denuncia la violazione dell’art. 521 c.p.p. per essere stato riconosciuto
colpevole del delitto di rapina quale concorrente morale, mentre l’ imputazione gli avrebbe
attribuito il fatto a titolo di concorso materiale, l’omessa motivazione in ordine al delitto di
lesioni,ed, infine, l’ ingiustificato diniego del concorso anomalo ex art. 116 cpv e delle attenuanti
della minima partecipazione ex art. 114 c.p. nonché delle attenuanti generiche come prevalenti sulle
aggravanti contestate.
-4- Il ricorso è in parte inammissibile in parte infondato e pertanto va respinto.
Correttamente i giudici i merito hanno valorizzato gli elementi probatori costituiti dalla pronta
descrizione dei rapinatori da parte del teste e persona offesa Baldassare Dario, elementi che
avevano consentito il loro arresto in quasi flagranza, la successiva immediata individuazione
personale confermata dal riconoscimento in fase dibattimentale. Invero l’ individuazione di
persone,nella specie addirittura non fotografica ma attraverso la rappresentazione della persona in
carne ed ossa, costituisce un mezzo di prova pienamente utilizzabile ai fini della formazione del
convincimento del giudice se adeguatamente motivato in relazione al suo contenuto intrinseco ed
alle modalità di controllo e di riscontro. E’ regola acquisita quella secondo cui il giudice di merito

Letti gli atti, la sentenza impugnata, i ricorsi;
Udita la relazione del cons. Enzo Jannelli;
Udite le conclusioni del S. Procuratore generale, Antonio Gialanella,per l’ inammissibilità di
entrambi i ricorsi;
Udito il difensore, avv. Fabio Sarra, che ne ha chiesto l’ accoglimento.

può trarre il proprio convincimento da ogni elemento indiziante o di prova e, quindi, anche da
ricognizioni non formali e riconoscimenti fotografici, sicché nell’ambito dei poteri discrezionali di
valutazione che l’ordinamento gli riconosce, può attribuire concreto valore indiziante o probatorio
all’identificazione dell’autore del reato mediante riconoscimento addirittura fotografico, che
costituisce accertamento di fatto utilizzabile in virtù dei principi della non tassatività dei mezzi
di prova e del libero convincimento, che consentono il ricorso non solo alle cosiddette “prove
legali”, ma anche ad elementi di giudizio diversi, purché acquisiti non in violazione di specifici
divieti. Lo stesso discorso può condursi con riferimento alla individuazione del corpo del reato,
nella specie la catenina d’oro, restituita prontamente alla persona offesa ,in mancanza di qualsiasi
elemento che potesse deporre per la falsità,colposa o dolosa che sia, del suo riconoscimento.
E così non fondato e,a1 limite inammissibile, è il rilievo difensivo in ,merito all’ eccepita
qualificazione del fatto non come rapina, ma come furto e lesioni personali. Sta di fatto che il figlio
della persona offesa è intervenuto mentre Bianco Anna stringeva il collo della madre, persona di
anni 91, Berloco Anna, a sua volta stringendo il collo della rapinatrice nel mentre contestualmente
interveniva, cagionandogli lesioni, il correo che con violenza e spintoni separava i due per poi darsi,
entrambi gli imputati ,alla fuga. Ne consegue che, posta la fattispecie come ricostruita dai giudici di
merito, con aderenza alle fonti testimoniali, non è proprio possibile separare la condotta del furto da
quella della violenza ovvero delle lesioni perché violenza e lesioni non sono stati immediatamente
rivolti verso la cosa sottratta e solo in via indiretta verso la persona. Invero ricorre il delitto di
rapina quando la “res” sia particolarmente aderente al corpo del possessore- nel caso di specie
attaccata al collo della persona offesa- e la violenza, costitutiva del lesioni, si estenda
necessariamente alla persona, dovendo il soggetto attivo vincerne la resistenza e non solo superare
la forza di coesione inerente alla normale relazione fisica tra il possessore e la cosa sottratta. Così
svolgono il tentativo, le ulteriori ragioni del ricorso della Bianco Anna, di sostituire le proprie
valutazioni di merito a quelle adottate dai giudici di primo e secondo grado, allorchè denunciano l’
omessa assunzione della testimonianza della persona offesa, ritenuta dal giudice,a fronte del
compendio probatorio complessivo ed esaustivo, superflua, date poi le condizioni di salute della
donna ultranovantenne. Così non meritano accoglimento le ulteriori deduzioni del Guida in merito
alla denunciata omessa giustificazione del diniego della prevalenza delle attenuanti della minima
partecipazione e delle generiche sulle aggravanti ovvero ancora del richiesto riconoscimento del
concorso anomalo. Ma non vengono sostenute le prime due richieste dall’esposizione di criteri di
ragione qualsiasi, e comunque sono vincenti quelle giudiziali che fanno perno sul peso decisivo per
la consumazione del delitto dell’ intervento del correo e sulla gravità del delitto ai danni di una
donna anziana e nello spazio antistante la propria abitazione. Prospettare poi nel caso di specie la
rappresentazione di un concorso anomalo significa contrastare il criterio di ragione in forza del
quale rientra nella comune disciplina del concorso di persone l’ipotesi in cui vengano commessi
reati ulteriori rispetto a quello programmato, sia pure ad esso collegati. In proposito deve ribadirsi
che ai fini dell’applicabilità della diminuente prevista dall’art. 116, secondo comma, cod. pen., è
necessaria la diversità tra reato commesso e reato voluto da taluno dei concorrenti, tale da non
potersi positivamente prevedere l’evoluzione della condotta criminosa verso l’ ulteriore evento. Ma
costituisce regola secondo l’ id quod plerumque accidit che la condotta di furto di cose indossate
dalla persona offesa possa trasmodare in rapina per la resistenza della vittima o per l’ intervento di
persone presenti nel luogo delitto.
Ed infine è infondata la censura di non corrispondenza tra l’imputazione originaria e la fattispecie
ritenuta in sentenza, per il fatto che una cosa sarebbe la contestazione di concorso materiale nel
delitto ed altra, ben diversa ,sarebbe il giudizio finale di concorso meramente morale. Già, in fatto,
la censura non è calzante per descrivere la formulazione dell’ imputazione la condotta del Guida
esplicarsi materialmente con l’ intervento volto ad allontanare Baldassare Donato fisicamente dalla
propria correa con violenza e spintoni per consentirle la fuga. Ma più in generale può dirsi che non
sussiste violazione del principio di correlazione tra accusa contestata e sentenza se la condanna è
pronunciata per concorso morale a fronte di un addebito per partecipazione materiale per il fatto

che una tale modificazione non comporta una trasformazione essenziale del fatto addebitato, né è in
grado di provocare menomazione del diritto di difesa, poiché l’accusa di partecipazione materiale al
reato necessariamente implica, a differenza di quanto avverrebbe nell’ipotesi inversa, la
contestazione di un concorso morale nella commissione del delitto. Inveroa il rapporto di
continenza tra imputazioni non può mai dar luogo ad una ipotesi di mutazione del fatto di reato.
Ai sensi dell’articolo 616 c.p.p., con il provvedimento che rigetta il ricorso gli imputati che lo hanno
proposto devono essere condannati al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.

Così deciso in Roma il 27.11.2013

la Corte rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

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