Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 50074 del 27/11/2013


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 50074 Anno 2013
Presidente: PETTI CIRO
Relatore: IANNELLI ENZO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
BLEVE MARISA N. IL 18/05/1966
BLEVE LUIGI N. IL 15/06/1961
avverso la sentenza n. 1489/2009 CORTE APPELLO di LECCE, del
05/12/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 27/11/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ENZO IANNELLI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv.

Data Udienza: 27/11/2013

-1- Bleve Marisa e Bleve Luigi, tramite difensore, con due distinti atti ricorrono avverso la sentenza
datata 5/20.12.2012 della corte di appello di Lecce , di conferma della pregressa decisione di primo
grado — tribunale della stessa città in data 3.3.2009 – che li condannava alla pena,ciascuno, di anni
due,mesi sei di reclusione d euro 500,00 di multa per il delitto, in concorso, di tentata estorsione ex
artt. 56,81 cpv. 629 c.p.
-2- In breve il fatto come ricostruito dai giudici di merito: Blebe Luigi materialmente, con il
concorso morale della sorella Bleve Maria,e nella loro qualità il primo di gestore di fatto della
società Federica s.r.1., avente ad oggetto vendita e noleggio di audiovisivi, la seconda nella qualità
di amministratrice, avrebbe compiuto atti idonei e non equivoci a indurre le dipendenti Ferrari
Caterina e Campobasso Emma, con la minaccia di un pronto licenziamento, ad accettare trattamenti
retributivi inferiori a quelli loro spettanti sottoscrivendo atti di transazione nonché, per la sola
Campobasso, contemporaneamente a un atto di dimissioni volontarie. Al rifiuto delle due
dipendenti era conseguito il loro pronto licenziamento. Le fonti di prova erano state individuate
nelle deposizioni delle persone offese, nonché nel supporto informatico di una registrazione tra
presenti realizzata dalla Campobasso nell’ occasione di una conversazione tra la predetta e Bleve
Luigi in presenza della sorella Marisa.
-3- Le ragioni di doglianza, supportate dal richiamo all’art. 606 lett. b), c) ed e) codice di rito,in
parte sovrapponibili dei due ricorsi, si impegnano- il primo motivo di ricorso di Breve Marisa, il
secondo,i1 quarto ed il quinto del ricorso di Breve Luigi- a contestare la valutazione che i giudici di
merito hanno inteso proporre delle dichiarazioni delle persone offese e del contenuto della
registrazione della conversazione tra la Campobasso e l’ indagato, alla presenza della sorella. In
buona sostanza l’ invito alla firma di documenti con i quali le persone offese, in sede transattiva,
rinunciavano a contestazioni circa i loro diritti di prestazione lavorativa sarebbe stata solo una
proposta legittima, posto che l’alternativa alla non firma era il licenziamento che sarebbe stato del
tutto legittimo. Ed in proposito i ricorrenti — primo motivo del ricorso di Breve Marisa e terzo
motivo del ricorso di Breve Luigi- richiamano le sentenze prodotte in sede di giudizio di secondo
grado del giudice del lavoro che avrebbe ritenuto legittimo il licenziamento per giusta causa “.. per
il clima aziendale, determinato dai comportamenti di entrambe le parti del rapporto, che rendeva
ormai insostenibile la prosecuzione dello stesso”. Ulteriore ragione di doglianza della difesa di
Bleve Luigi — primo motivo di ricorso-, è risultata la denuncia di una arbitraria intromissione,nel
contesto del!’ interrogatorio incrociato dei testi e degli imputati, del Presidente del tribunale che
avrebbe “strozzato” le contestazioni, delimitando illegittimamente le iniziative della difesa. Ed
ancora comune è l’analisi critica della registrazione dalla quale non si ricaverebbe la
rappresentazione di una condotta estorsiva, esulandovi ogni carattere i minaccia e di intimidazione.
Peculiare, invece, del ricorso di Bleve Maria è la contestazione in merito al contributo causale dai
giudici di merito ritenuto alla condotta posta in essere materialmente dal fratello coimputato: al
limite si dovrebbe trattare di una mera connivenza, come tale non punibile.
-4- Entrambi i ricorsi non possono accogliersi perché infondati.
Invero le valutazioni sulle dichiarazioni dei testi, nella specie delle persone offese, come le
espressioni proprie delle conversazioni registrate rientrano nella valutazione insindacabile sul piano
della legittimità del giudice di merito, ove non illogiche e coerenti .Costituisce ormai principio

Letti gli atti, la sentenza impugnata, i ricorsi;
Udita la relazione del cons. Enzo Jannelli;
Udite le conclusioni del S. Procuratore generale, Antonio Gialanella, il rigetto dei ricorsi;.
Uditi i difensori degli imputati e delle parti civili costituite, rispettivamente Giuseppe Affinito per i
primi e l’avv. Francesca Cramis, per le seconde che ne chiedono, l’uno, l’accoglimento, l’altra, il
rigetto.

consolidato che la interpr,sul piamo del disvalore giuridico penale,etazione del linguaggio e del
contenuto delle conversazioni costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di
merito, e si sottrae al sindacato di legittimità se tale valutazione è motivata in conformità ai criteri
della logica e delle massime di esperienza e che è possibile, sì , prospettare in sede di legittimità
una interpretazione del significato di una frase od espressione diversa da quella proposta dal
giudice di merito, ma soltanto in presenza del travisamento della prova, ovvero nel caso in cui il
giudice di merito ne abbia indicato il contenuto in modo difforme da quello reale, e la difformità
risulti decisiva ed incontestabile. Ma di una tale contro- prova, nel rispetto dei limiti propri delle
valutazioni di legittimità, non vi è traccia nella esplicitazione delle ragioni difensive di doglianza.
Ora è pacifico, perché non contestato da nessuno, che Breve Luigi abbia più volte chiesto la firma
di uno scritto nel quale le parti offese rinunciavano, in via transattiva alle loro pretese lavorative,
dietro la prospettiva del licenziamento ove non avessero apposto la firma sui documenti. Il che è
comprovato dal contenuto delle sentenze civili prodotte dalla stessa difesa ed ammesse dal
giudicante, dal quale si trae il fatto che, giustificato al limite il licenziamento, pur tuttavia
sussistevano importi da corrispondere alle lavoratrici per il rapporto di lavoro, a cui la transazione
richiesta dall’ imputato, pena il licenziamento, si riferiva. Ne consegue che, possibile o meno il
licenziamento pur nella facoltà del datore di lavoro, integra comunque il delitto di estorsione la
condotta del datore di lavoro che,per costringere i suoi dipendenti ad accettare la corresponsione di
trattamenti retributivi deteriori e non adeguati alle prestazioni effettuate, e più in generale
condizioni di lavoro contrarie alle leggi ed ai contratti collettivi, li minacci di licenziamento, L’
ingiustizia del profitto in tale condotta è in re ipsa, riferita alla prestazioni non corrisposte, che si
traducono anche nella ingiustizia del licenziamento, pervaso da un disvalore giuridico-penale, che
proviene dalla sua ingiusta causa..
Non coglie nel segno l’ asserita denunciata prevaricazione del Presidente del collegio nel corso
dell’esame incrociato: a parte ogni pur possibile rilievo per la genericità dell’assunto e per l’omessa
indicazione, ed allegazione, in concreto degli interventi in tesi abusivi, vi è sottolineare in linea di
diritto che in tema di esame incrociato, al limite, l’assunzione della prova direttamente a cura
del presidente, non può dirsi sì conforme alle regole che disciplinano la prova stessa, perché non si
articola con domande su fatti specifici (art. 499, comma primo, cod. proc. pen.), tende a suggerire la
risposta (art. 499 commi primo e secondo), e comunque viola la disposizione per la quale – salvi
alcuni casi particolari – le domande sono rivolte al testimone direttamente dalle parti processuali
(art. 498 comma primo), ma comunque non potrebbe mai essere oggetto né della sanzione della
inutilizzabilità (art. 191 cod. proc. pen.), posto che non si tratta di prova assunta in violazione di
divieti posti dalla legge bensì di prova assunta con modalità diverse da quelle prescritte, tanto meno
della sanzione della nullità, posto che la deroga alle norme indicate non è riconducibile ad alcuna
delle previsioni delineate dall’art. 178 del codice di rito.
Da ultimo è ancora non fondata la censure mossa dalla difesa della Bleve Marisa nella misura in
cui la predetta, amministratrice della società, assiste alla condotta estorsiva del fratello, nell’
interesse illegittimo dell’ente, non intervenendo ed anzi palesando atteggiamenti di approvazione,
sorridendo, alla intimazione del fratello, gestore di fatto della società, alla Campobasso di
sottoscrivere pena il licenziamento. Ipostatizzato il fatto, secondo l’ insindacabile giudizio di
merito, le conseguenze sul piano del diritto risultano piane, alla luce della regola che individua la
distinzione tra connivenza non punibile e concorso nel reato, nel fatto che, mentre la prima postula
che l’agente mantenga un comportamento meramente passivo, inidoneo ad apportare alcun
contributo alla realizzazione del reato, nel concorso di persona punibile è richiesto, invece, un
contributo partecipativo – morale o materiale – alla condotta criminosa altrui, caratterizzato, sotto il
profilo psicologico, dalla coscienza e volontà di arrecare un contributo concorsuale alla
realizzazione dell’evento illecito. Ed è indubbio che la presenza del legale responsabile della
società nel luogo in cui si consuma un illecito nell’ interesse dell’ente, senza la registrazione di
alcun atteggiamento di rifiuto, ha contribuito a sostenere e rafforzare l’ intento criminoso
dell’autore materiale del reato.

Ai sensi dell’articolo 616 c.p.p., con il provvedimento che rigetta i ricorsi, gli imputati che lo hanno
proposto devono essere condannati al pagamento delle spese del procedimento nonché alla rifusione
delle spese sostenute dalle parti civili costituite che si liquidano, giusta la nota depositata, come da
dispositivo.
P.Q.M.
rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali, nonché alla
rifusione, in solido, delle spese sostenute dalle parti civili, Ferrari Caterina e Campobasso
Emma che liquida nella complessiva somma di euro 1.800,00, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma il 27.11.2013

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