Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 50074 del 20/11/2015


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 50074 Anno 2015
Presidente: ROMIS VINCENZO
Relatore: GRASSO GIUSEPPE

■••..

SENTENZA

sui( ricorspropost9k da:
PELLE ANGELO ANTONIO N. IL 17/09/1967
DEL PAPA LUIGI N. IL 14/07/1969
MERIDIANI MIRKO N. IL 10/05/1980
VERRI ROBERTO VALERIO N. IL 12/08/1962
PELLE GIUSEPPE N. IL 29/10/1991
GIAMPAOLO FRANCESCO N. IL 07/02/1990
MIRIELLO DOMENICO N. IL 09/05/1983
TASSONE FRANCESCO N. IL 19/12/1990
SCIPIONE SANTO ROCCO N. IL 29/10/1978
SCIPIONE GIOVANNI N. IL 26/04/1981
ALBERTI ALESSIO N. IL 07/09/1978
BENEDETTI GIULIANO N. IL 15/07/1981
avverso la sentenza n. 11134/2013 CORTE APPELLO di ROMA, del
21/05/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 20/11/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GIUSEPPE GRASSO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

Data Udienza: 20/11/2015

RITENUTO IN FATTO
1. Il GIP del Tribunale di Roma, con sentenza dell’11/3/2013 statuì,
per quel che qui rileva, la penale responsabilità di Pelle Antonio Angelo, Del
Papa Luigi, Meridiani Mirko, Verri Roberto, Pelle Giuseppe, Benedetti Giuliano,
Giampaolo Francesco, Miriello Domenico, Tassone Francesco, Scipione Santo
Rocco, Scipione Giovanni e Alberti Alessio, giudicati variamente colpevoli di
plurime condotte di traffico di stupefacente, nonché, taluno di costoro, del

ciascuno di loro alla pena reputata di giustizia.

1.1. La Corte d’appello di Roma, investita dell’impugnazione proposta
anche dagli odierni ricorrenti, con sentenza del 21/5/2014, in parziale riforma
della sentenza di primo grado, nel resto confermata: a) assolse perché il fatto
non sussiste Alberti Alessio dai reati di cui ai capi 15), 24) e 26), Verri
Roberto dal reato di cui al capo 17), Miriello Domenico e Tassone Francesco
da quello di cui al capo 14); b) rideterminò variamente la pena per i residui
reati nei confronti di Pelle Antonio Angelo, dei due Scipione, di Giampaolo
Francesco, di Meridiani Mirko, per quest’ultimo previo riconoscimento della
continuazione con il reato di cui alla sentenza del GIP del Tribunale di Roma
del 4/3/2011, di Miriello Domenico, di Del Papa Luigi, di Pelle Giuseppe, di
Verri Roberto, per quest’ultimo previo riconoscimento della continuazione con
il reato di cui alla sentenza del GIP del Tribunale di Roma del 3/3/2011, di
Alberti Alessio e di Benedetti Giuliano.

2. Risulta opportuno, per quel che qui appare di una qualche utilità,
riprendere i termini essenziali della vicenda siccome narrati nelle sentenze di
merito.
Complesse attività informative ed investigative attivate in quel di Roma
a sèguito del sequestro di 4 kg di cocaina e 12 di hashish, operato ai danni di
Castellani Silvio, avevano permesso di individuare un’articolata organizzazione
delinquenziale, capeggiata dal latitante Pelle Antonio Angelo, dedita
professionalmente, con l’approntamento di risorse e mezzi (automezzi, basi
logistiche, ecc.), all’importazione di rilevanti quantitativi di sostanza
stupefacente. In particolare era emerso che lo stupefacente era tenuto in
deposito dal Castellani, su incarico del cognato (fratello della moglie) Meridiani
Mirko, il quale ultimo, chiamato a rifondere il danno procurato dall’atto di p.g.,
aveva, a sua volta, chiesto all’affine di contribuire, ricevendone rifiuto, in
quanto quest’ultimo si sarebbe comportato rispettando le regole, non
fornendo propalazioni alla p.g., una volta tratto in arresto.

a,

reato associativo di cui all’art. 74 del d.P.R. n. 309/1990, condannando

Da qui si era giunti ad apprendere dell’esistenza di una struttura
associativa capeggiata da Pelle Antonio Angelo, al quale il Meridiani si era
rivolto con insistenza, anche quando il primo era stato tratto in arresto, al fine
di ottenere riduzione e dilazione del debito. Attraverso, infine, articolate ed
insistite attività investigative, operate ricorrendo a pedinamenti, osservazioni,
verifiche, controlli GPS, intercettazioni telefoniche e tra presenti, talvolta
anche video, si era ricostruita la complessiva illecita attività e individuate le
condotte e i ruoli dei singoli imputati, fra i quali gli odierni ricorrenti.

3. Gli imputati di cui in epigrafe ricorrono per cassazione.

4.

Pelle Antonio Angelo, con i due esposti motivi, denunzia vizio

motivazionale e violazione di legge, contestando la configurata figura di reato
associativo, aggravato dal numero dei partecipanti, e il ruolo di capo
assegnatogli.
Assume il ricorrente che la Corte romana non aveva ricostruito con
quali modalità e attraverso quali canali sarebbe stata importata dalla Spagna
la sostanza stupefacente, per poi essere distribuita a Milano, Roma e Calabria;
né poteva dirsi acclarata la esistenza di una pur minima organizzazione
logistica, dovendosi escludere che alcuno <>.

5. Del Papa Luigi con l’unica censura svolta si duole, sotto il profilo
della violazione di legge, del trattamento penale, giudicato eccessivamente
severo, nonostante il riconoscimento dell’ipotesi attenuata di cui al comma 5
dell’art. 73 del citato d.P.R., in quanto lontano dal minimo edittale, senza il
sostegno di un’adeguata motivazione.

6. Meridiani Mirko con l’unica censura sottoposta al vaglio di legittimità
denunzia violazione di legge e vizio motivazionale in ordine alla ritenuta
partecipazione all’associazione,
Le evidenze probatorie dimostravano, secondo il ricorrente, che il
Meridiani non rivestiva il ruolo di custode dello stupefacente sequestrato
(lasciato in deposito al Castellani) per conto dell’associazione, dovendosi,
invece, ritenere l’effettivo proprietario della droga, acquistata dai calabresi e
andata perduta con il sequestro; con la conseguenza che l’imputato avrebbe
dovuto comunque corrispondere il prezzo ai fornitori. La Corte territoriale
aveva travisato la prova nel considerare che l’intensa attività di spaccio
dell’imputato fosse dimostrazione della partecipazione associativa. Al contrario
di quel che si stima in sentenza, l’atteggiamento intimorito del Meridiani,
confermato dalla preoccupazione del di lui padre e la capacità di rifornirsi
«anche da altri>> e le critiche mosse nei confronti di quelli che vengono
qualificati sodali, erano indici che denotavano la non appartenenza.
Non si era tenuto conto che non vi era affatto prova del non avvenuto
pagamento della partita sequestrata; che la collaborazione era finalizzata
all’assaggio e, quindi, a nuovi acquisti; che la ricerca dei clienti era in conto
proprio; che i rapporti con i fornitori non si distaccavano dal tipico sinallagma
esistente tra venditore e acquirente.
Di per sé le ipotesi delittuose descritte dall’art. 73 cit. raramente si
configurano, prosegue il ricorso, monosoggettivamente e, di conseguenza, la
partecipazione di più soggetti non può, di per sé, essere considerato un

attraverso l’adozione di misure organizzative e direttive nella gestione del

sintomo della sussistenza di una associazione. Associazione che nel caso in
esame non era prospettabile, mancando gli elementi essenziali da tempo
individuati in dottrina e giurisprudenza e, in particolare, la sussistenza di un
apporto individuale apprezzabile, concretizzantesi in un accordo permanente,
dovendosi escludere che possa esprimersi un tal giudizio di stabilità sulla
mera base della reiterazione delle transazioni.
Più in generale, il ricorrente nega che fossero stati individuati i
caratteri salienti dell’associazione (gestione comune e centralizzata delle

autorizzazione dei vertici per la commissione dei reati di scopo, distribuzione
degli utili).
La circostanza che l’imputato si rifornisse dai calabresi non poteva
costituire indice appezzabile per affermare la sussistenza di un’associazione
alla quale era associato. Perché si configuri ciò sarebbe occorso, secondo
l’interpretazione di legittimità costante, che alla base fosse stato individuato
un accordo permanente

«finalizzato alla commissione di una indefinita

pluralità di violazioni della legge stupefacenti».

L’assenza di un simile

accordo emergeva dagli atti: Martelli si rivolge al Meridiani assumendo la
tipica posizione dominante del creditore/estorsore; il secondo mostra evidenti
segni d’insofferenza e di non appartenenza, rivendicando che ci si trovava a
Roma e non intendeva assoggettarsi ai calabresi; nessun membro della
pretesa associazione era venuto in soccorso del Meridiani quando costui era
stato arrestato; «l’avvenuto integrale pagamento del debito da parte del

Meridiani e le ulteriori possibilità di spaccio da egli dimostrate, hanno
ragionevolmente indotto i venditori a proporgli nuovi acquisti, concretizza tisi
nel maggio 2010 nella cessione di un quantitativo personalmente consegnato
dal Pelle A. cl. ’88, che nell’occasione era stato arrestato insieme al
Meridiani».

7. Verri Roberto, con il primo motivo denunzia vizio motivazionale in
riferimento all’affermazione di responsabilità per i capi 19) e 21).
Avuto riguardo al primo capo osserva il ricorrente che i cinque episodi
di cessione addebitatigli trovano fondamento esclusivo nelle risultanze delle
intercettazioni telefoniche; tuttavia la natura delle espressioni utilizzate
giammai avrebbe potuto condurre a ritenere provate le predette cessioni,
trattandosi di locuzioni dal contenuto neutro; né, infine, la Corte di merito
aveva spiegato la ragione per la quale aveva reputato che si trattasse di
cocaina.
Avuto riguardo al secondo capo, con il quale si contesta al ricorrente di
avere, in concorso con Cocco e Costantini, ceduto a Schiavetta cocaina,

T

attività illecite, pianificazione collegiale, rendicontazione, contabilità comune,

marijuana e hashish, viene rilevato che la circostanza che a bordo
dell’autovettura dello Schiavetta fosse stato rinvenuto lo stupefacente non
dimostrava che a cederglielo fosse stato il Verri. La p.g. aveva osservato lo
Schiavetta uscire dall’abitazione senza che in mano recasse alcunché e,
pertanto, non si comprendeva come il medesimo avesse fatto a trasportare
nell’autovettura oltre un chilogrammo di marijuana, 41 gr. di cocaina, divisa
in 70 involucri, ulteriori 60,55 gr. di marijuana, divisa in 28 confezioni, e
88,45 gr. di hashish. Non persuadeva la spiegazione fornita dal Giudice del

per Roma>> con lo stupefacente in auto, poiché, esattamente al contrario,
ben poteva darsi che il medesimo avesse potuto fare altrove l’acquisto.

7.1. Con il secondo motivo il ricorrente, denunziante violazione di legge
e vizio motivazionale, si duole del mancato riconoscimento dell’ipotesi
attenuata di cui al citato comma 5.
La Corte romana non aveva considerato che i contatti con lo Schiavetta
avevano interessato in tutto un arco temporale di dieci giorni e che nei
confronti di altri imputati si era fatto luogo ad opposta valutazione.

7.2. Con il successivo motivo vien dedotto vizio motivazionale in
relazione al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche.
Incongruamente, violando il principio di personalità, si era negata la
ricorrenza dell’attenuante invocata perché l’imputato aveva collaborato con
Cocco Paolo, di spiccata pericolosità criminale; senza contare che l’attenuante
era stata riconosciuta ad altri imputati chiamati a rispondere del reato
associativo.

7.3. Con il quarto motivo vien chiesto l’annullamento della sentenza
per violazione del divieto di reformatio in peius, operato, peraltro mediante
motivazione illogica.
In sede d’appello, assolto l’imputato dal capo 17), era stata
riconosciuta la continuazione con i reati giudicati dalla Corte romana il
2/11/2011, in ordine ai quali erano stati inflitti sei anni di reclusione. In
violazione dell’art. 597, cod. proc. pen., era stato operato per il capo 21) un
aumento di tre anni di reclusione, a fronte della pena detentiva di un anno
disposta dal GIP di Roma.

7.4. Con il quinto ed ultimo motivo viene allegata violazione di legge,
essendo incorsa la Corte d’appello in un errore di computo. Sommate alla
pena base di sei anni di reclusione e 20.000 euro di multa (condanna

e

merito, secondo il quale era illogico ritenere che lo Schiavetta <>.

11. Miriello Domenico sottopone alla Corte, per mezzo di un corposo
ricorso, quattro motivi di censura.
Con il primo motivo viene dedotta l’inutilizzabilità delle risultanze delle
intercettazioni telefoniche ed ambientali per assunta violazione di legge, avuto
riguardo alle ragioni di cui appresso: a) l’autorizzazione alle captazioni audiovideo fra presenti del 3/5/2010, risultava fondata sul presupposto
dell’esistenza di sufficienti indizi a riguardo del delitto di cui al citato art. 74,
senza che in relazione al predetto reato all’epoca il ricorrente risultasse
indagato; b) lo strumento delle intercettazioni deve inserirsi in un contesto
probatorio già evidente, non potendo servire per la ricerca della notizia di
reato; c) poiché la richiesta non era motivata e non potendosi i provvedimenti
autorizzativi riferirsi al Miriello, all’epoca non indagato, non sussisteva il
presupposto dei gravi indizi di reato; d) mancavano e non erano motivate le
ragioni di eccezionale urgenza che avevano imposto lo svolgimento delle
operazioni presso locali esterni a quelli della Procura della Repubblica; e) vi
era un decreto del GIP del 4/5/2010 che autorizzava, attingendo a mere
formule di stile, le intercettazioni presso l’esercizio di via Bibulo; f) il P.M., con
decreto del 6/5/2010, aveva autorizzato il noleggio di apparecchiatura
elettronica e di linee ISDN, senza che nulla si fosse saputo degli esiti.

e

collaborazione associativa (disponibilità di denaro o di stupefacenti ecc.).

11.1. Con il secondo motivo il ricorrente allega violazione di legge e
vizio motivazionale in relazione alla decisione con la quale era stata negata
l’acquisizione di elaborati peritali svolti in procedimenti connessi. Si trattava
dei risultati di perizie sopravvenute, di cui una finalizzata a rendere visibili i
file di videoregistrazioni operate all’interno del locale di via Bibulo (dott.
Zonaro) ed altra diretta a trascrivere dialoghi intercettati all’interno del
predetto locale (Andreacchio). Secondo il ricorrente la Corte di merito aveva
errato nel disattendere la richiesta, diretta a provare che le immagini, non

riscontrare l’identificazione dei conversanti. Ove fosse stata acquisita la prima
perizia si sarebbe potuto constatare che l’annotazione di p.g. del 9/6/2010
non era riscontrata, in quanto se il Miriello era colui che stazionava fuori la
soglia del locale non poteva essere la stessa persona intenta a parlare
all’interno. Del pari non condivisibile doveva reputarsi la decisione di non
acquisire la perizia riguardante la trascrizione dei colloqui: la Corte di merito,
invero, si era irragionevolmente accontenta della traduzione operata dal
dialetto calabrese da un’agente di asserite origini calabre, negando, in ogni
caso il diritto alla controprova.
Infine, la Corte d’appello, che aveva sciolto l’ordinanza solo con la
decisione finale, aveva violato il diritto al contraddittorio, stante che la riserva
avrebbe dovuto essere liberata immediatamente o in una successiva udienza.

11.2. Con il terzo motivo, denunziante violazione di legge e vizio
motivazionale, il ricorrente deduce l’inconfigurabilità del reato associativo e,
comunque, della partecipazione del medesimo.
La esistenza dell’associazione poggiava su un costrutto motivazionale
apparente, che prendeva origine dalle risultanze delle intercettazioni, non
univoche e spurie, e dall’ingiustificato convincimento che la sede della reale
attività lavorativa del Miriello, in via Bibulo, costituisse quella
dell’associazione. In particolare l’affermazione di responsabilità del ricorrente
era da ritenersi priva di sostegno motivazionale, in primo luogo per non
essersi riscontrati i requisiti minimi attraverso i quali si è soliti affermare la
sussistenza dell’associazione (trattavasi, infatti, di singoli e slegati episodi di
spaccio legati alla famiglia Pelle, ai quali il Miriello era rimasto estraneo) e, in
secondo luogo, per non essere rimasto verificato contributo apprezzabile da
parte dell’imputato, il quale, peraltro era stato assolto dall’unico reato fine
contestatogli (capo 14). La Corte si era limitata a valorizzare illogicamente tre
soli colloqui intercettati, venendo meno all’obbligo di giustificare
razionalmente il proprio convincimento, limitandosi a riprendere gli stralci
delle intercettazioni provenienti dalle indagini. Non aveva tenuto conto che il

essendo contestuali alle registrazioni foniche, non erano in grado di

Miriello non risultava attinto da rilievi da parte della p.g., che le sue utenze
non erano state sottoposte ad intercettazione, che salvo i rapporti col Pelle,
circoscritti in un arco temporale ristretto, il medesimo non era stato colto a
tenere contatti con altri soggetti indagati, o, comunque a verbalizzare
conoscenze riconducibili all’asserita associazione. Tutto ciò in coerenza con
l’incensuratezza e la dedizione al lavoro del ricorrente. Viene, in definitiva,
stigmatizzata «l’apoteosi del vuoto motivazionale», laddove la Corte di
merito aveva ritenuto che l’imputato, organico al sodalizio, organizzasse

pretesa di trarre un simile impegnativo giudizio sulla base del tono con cui si
rivolgeva a Pelle cl. ’88.
In definitiva, violando le regole ermeneutiche consolidate (S.U. n.
42979 del 26/6/2014) il Giudice dell’appello aveva omesso di far luogo ad un
serio accertamento della qualità dei singoli indizi e, indi, al vaglio globale ed
unitario del complesso probatorio, così da risolvere ambiguità e discrasie.
Nonostante la posizione defilata, riconosciuta dalla stessa p.g., sulla sola base
dei dialoghi registrati nei giorni 9, 11 e 14 giugno 2010, si era tratto il
convincimento della partecipazione associativa del Miriello, valorizzando spurie
e scollegate inferenze tratte dai dialoghi, mere giustificazioni apparenti (sorde
alle evidenziate plurime aporie) di intuizioni preconcette, aliene alla critica in
quanto prive di un ripercorribile assetto motivazionale.
Inoltre, sottolinea il ricorso, la motivazione offerta dalla Corte di merito
evidenziava interna contraddittorietà, in quanto si poneva in contrasto con
altri argomenti utilizzati per altri imputati (in ispecie per Meridiani Mirko).

<<(...) Disattendendo loro stessi [scrive il ricorrente], i Giudici dell'appello applicano un diverso metro di giudizio, avulso dagli insegnamenti della Suprema Corte, per il Miriello il quale, pur non avendo costanti o frequenti contatti con gli associati, pur essendo soggetto incensurato, pur non figurando costantemente nell'organigramma sociale e non svolgendo un'attività costantemente svolta a favore dell'associazione, viene comunque ritenuto a pieno titolo coinvolto nella consorteria in parola». Invece di valorizzare la messa a disposizione a tempo indeterminato della propria collaborazione, al Miriello viene rimproverato di aver favorito il sodalizio attraverso la copertura della propria lecita attività lavorativa e spacciando personalmente. In contrasto con quanto deciso per l'imputato Laurini, in relazione al quale le intercettazioni captate all'interno dell'autocarrozzeria da costui gestita erano state giudicate insufficienti a corroborare l'affermazione di coinvolgimento nell'associazione, il Miriello era stato giudicato partecipe del sodalizio sulla base delle intercettazioni effettuate all'interno del locale ove svolgeva il .10 strategie e pianificasse, conoscendo le regole, che illustrava ad altri, con la proprio lavoro, che «al più [avrebbero potuto] fornire la prova di interessi di dubbia liceità, accanto a quelli di certa e comprovata natura lecita». 11.3. Con il quarto ed ultimo motivo, allegando violazione di legge e vizio motivazionale, il ricorrente si duole del trattamento penale. Nonostante l'imputato avesse tenuto rapporti solo con Pelle e Tassone era stata riconosciuta l'aggravante del numero delle persone associate. Il giudizio di bilanciamento delle circostanze (le attenuanti generiche conto del ruolo sfuggente dell'imputato, costruito in via congetturale. 11.4. In data 4/11/2015 veniva depositata memoria nell'interesse del Miriello, con la quale si insisteva per l'accoglimento degli esposti motivi. 12. Tassone Francesco, con il primo, articolato, motivo, denunzia violazione di legge e «travisamento delle emergenze processuali poste a sostegno della decisione». In una lunga ed articolata premessa il ricorrente illustra il cd. principio di tipicità del metodo probatorio, che non contraddice quello di atipicità della prova, in confronto con quello di sostanziale tipicità della fattispecie associativa. Il vaglio probatorio, in definitiva, ricorda il ricorrente, deve giungere a conclusioni oggettivamente plausibili, esclusa la valenza di intuizioni personali inverificabili. Il contributo punibile, secondo il ricorrente, accertato sul piano dell'arricchimento organizzativo, deve trovare conferma causale; il principio di offensività, si soggiunge, impone la verifica, in concreto ed ex post, dell'apporto realmente arrecato. Il dolo del partecipe, di tipo diretto (a differenza di quello del concorrente mero), non può non riguardare la consapevolezza e la volontà di far parte dell'associazione. Dopo essersi a lungo soffermato su talune ipotesi, giudizialmente dibattute, di contestato concorso (esterno), il Tassone, critica la sentenza per non aver considerato che il medesimo non appare negli stralci di conversazioni captate in via Bibulo, essendo stato solo notato stazionare all'esterno del locale (servizio di appostamento della p.g.); che la presenza a Milano, giorno 21 giugno, unitamente a Pelle cl. '88, puntualmente monitorata dalla p.g., non dimostra affatto la contestazione mossa (aver «assaggiato» e indi trasportato a Roma lo stupefacente). Né la partecipazione al sodalizio era corretto trarla da una serie di messaggi che avevano il solo significato di fissare luoghi ed orari d'incontro; nel mentre il Tassone era stato assolto dall'accusa di aver ceduto stupefacente all'Alberti, per conto dell'associazione. „ti riconosciute solo equivalenti) e le pene accessorie inflitte non aveva tenuto Inoltre, incerta doveva considerarsi l'individuazione dell'imputato, fondata su un accertamento non univoco della p.g. Si era ritenuto di poter identificare il fruitore o l'usuario dell'utenza telefonica, scrive il ricorrente, «in ragione del contatto intercorso il 18/3/2010 tra il numero e l'esercizio commerciale Autop 2009. Da accertamenti svolti al civico 86 di via Dei Pioppi vi è una carrozzeria. Il giorno 23/4 ad oltre un mese dal contatto, gli operanti effettuano un sopralluogo al civico 86. Effettivamente trovano l'esercizio. Tuttavia verificano che ad un altro civico - l'88 - vi è un'autorivendita. Francesco - che svolge l'attività di autista presso l'Autop 2009 di cui pure fornisce l'utenza e pure la titolarità in capo al Pistininzi Luigi». Il successivo contatto telefonico con tale Ercoli Serena (qualificata dalla sentenza quale fidanzata) costituiva il primo ascolto captato, peraltro in stretto ed incomprensibile dialetto calabrese. Pur trattandosi della prima intercettazione non è dato capire come gli inquirenti siano stati in grado di riconoscere la voce dell'imputato. Inoltre, l'attribuzione del diminutivo «Ciccio» doveva giudicarsi ingiustificata, in quanto una tale conclusione era stata tratta apoditticamente dall'ascolto di conversazioni ambientali di terzi. La Corte di merito, a pag. 38 della sentenza, aveva confutato le asserzioni difensive sul punto. L'apparato motivazionale, tuttavia, viene in questa sede sottoposto a critica per plurime ragioni (le censure d'appello non erano state puntualmente analizzate; il nome «Ciccio» non era mai stato speso dagli interlocutori; la presenza in via Bibulo risaliva ad una sola occasione accertata; il 23 aprile veniva dato per presente nell'autocarrozzeria, mentre, invece, lavorava presso la rivendita di autovetture; non erano stati accertati i rapporti con Ercoli Serena; non valutata la logicità del riconoscimento vocale di soggetto mai ascoltato prima). L'unico fatto integrante la fattispecie, dopo l'assoluzione dal capo 14) era quello costituito dal viaggio a Milano di cui s'è detto. In esso episodio, tuttavia, risultano congetturali i fatti e l'attribuzione di condotta tipica a carico dell'imputato, che secondo la ricostruzione della Corte di merito non avrebbe accompagnato il Pelle per <>.
E’, infine, Pelle Angelo Antonio che, a dispetto del suo status di
latitante, tiene contatti con i singoli associati (attraverso l’uso di cellulari
utilizzati a mò di citofono, nel senso che ognuno dei telefoni veniva adibito per
chiamare una sola utenza e attraverso i provati contatti con il nonno
colombiano Scipione Santo, ancora in grado d’impartire direttive e fornire
consigli, nonché con Zafra José e Ruitz Armando, noti alla P.G. come
narcotrafficanti spagnoli).
Non può considerarsi circostanza in contrasto con il vincolo associativo
il fatto che il gruppo dei “Calabresi” fosse avvinto da vincoli parentali: la
famiglia di sangue, infatti, come peraltro dimostrato dall’osservazione
criminologica, cementa, piuttosto che allentare, la persecuzione delle finalità
illecite. Quel che rileva è che il gruppo criminale, al netto dei singoli interessi
o delle singole bramosie, si muove nella consapevolezza della coscienza di sé
(emblematiche le fibrillazioni di taluni componenti evidenziate in sentenza
allorquando Pelle Angelo Antonio aveva fatto perdere sue notizie, ignorandosi
sul momento che era stato tratto in arresto).

17.2. La mancata contestazione di specifiche ipotesi di reato non inficia
affatto, al contrario di quel che si assume in ricorso, la qualificata
partecipazione di Pelle Angelo Antonio: la circostanza che le condotte
addebitate <> è

largamente fisiologico con il perseguimento dello scopo associativo di cui al
citato art. 74.
A prescindere dall’evenienza (che qui non può assumere rilievo di
sorta) che le indagini non sono state in grado di rappresentare lo specifico
apporto in relazione alla singola violazione del predetto art. 73, resta il fatto,
del tutto assorbente, che, ancor più che nelle associazioni di cui all’art. 416,
cod. pen., qui, poiché il programma criminoso consiste in una continuativa
attività commerciale avente ad oggetto sostanze stupefacenti, frazionantesi,

1

e

sfruttamento alle quali, a suo parere, sarebbe stato tenuto il Meridiani,

quindi, in una pluralità di acquisti e di vendite, costituisce evenienza possibile,
ma non necessaria, la circostanza che i soggetti rivestenti ruoli apicali
prendano parte alle singole transazioni, costituenti l’ordinaria attività, per così
dire, d’impresa del gruppo. Ciò a maggior ragione ove, come nella specie, il
soggetto rivestente uno di tali ruoli debba proteggere la propria latitanza o si
trovi costretto a subire i limiti derivanti dallo stato detentivo. Non assume, del
pari, rilievo la circostanza che plurimi, e peraltro cospicui, elementi attraverso
i quali avrebbe potuto trovare conferma l’ipotesi accusatoria circa

Latina non sono confluiti in una configurata ipotesi. Quel che risulta certo è la
facile disponibilità di consistenti partite di sostanza stupefacente, in relazione
alle quali è più che legittimo supporre una primigenia importazione dall’estero
(in tal senso i plurimi elementi enucleati in sentenza, tutti pienamente
utilizzabili in sede d’abbreviato: i contatti con due noti trafficanti spagnoli;
l’arrivo in Italia dall’America Latina l’anziano Paolo, nonno degli Scipione e del
cugino Pelle; il sequestro della carta di credito spagnola e delle schede
telefoniche straniere e degli scontrini fiscali comprovanti permanenze in
Spagna, trovati nel possesso di Pelle Angelo Antonio).

17.3. Non colgono nel segno le critiche mosse all’affermazione di
colpevolezza di Meridiani Mirko in ordine al reato associativo. L’imponente
massa di reati fine, tutti concernenti cospicui quantitativi di stupefacente,
lungi dal rappresentare isolate monadi di scelte criminali autonome ed
indipendenti, evidenziano, piuttosto platealmente, la loro gestazione
all’interno del sodalizio (basti ricordare che il ricorrente verrà arrestato perché
colto nel possesso, unitamente a Pelle Giuseppe, di oltre 1 kg. di cocaina,
dopo che il cognato Castelli, al quale aveva dato in custodia 4 kg. di cocaina e
12 di hashish, era stato arrestato (trattasi della partita della cd. trattativa).
Spiega la Corte di merito che il Meridiani costituisce l’anello romano,
ben aduso a spacciare nella zona di pertinenza, necessario a consentire la
penetrazione nell’area romana dello stupefacente introdotto dai “Calabresi”.
Né l’insorgere di contrasti, anche aspri, o di timori, all’interno della consorteria
criminale dedita al commercio degli stupefacenti costituisce evenienza
incompatibile con l’appartenenza organica (in tal senso si veda Cass., Sez. 6,
n. 3509 del 10/1/2012, dep. 27/1/2012, Rv. 251574).
Correttamente i Giudici dell’appello affermano che in siffatti contesti la
fiducia non è mai incondizionata (pag. 35) e, tuttavia, perché l’appartenenza
possa essere giudicata sussistente è bastevole la durevole comunanza di
scopo, costituita dall’interesse a immettere la droga sul mercato, non
assumendo rilievo che all’interno dello stabile accordo, una parte degli

1,0

l’importazione dello stupefacente dalla Spagna e/o da Paesi dell’America

associati, pur ove, accomunata dalla medesima radice identitaria, sia
prevalentemente dedita all’approvvigionamento ed altra alla distribuzione (da
tempo, invero, si è affermata la sussistenza dell’associazione anche
nell’ipotesi in cui l’interesse al mantenimento della società sia costituito dalla
circostanza che uno dei gruppi si assicuri, con stabilità, la fonte di acquisto dei
quantitativi di volta in volta occorrenti, ed altro la lo sbocco all’ingrosso Cass., Sez. 6, n. 41612 del 19/6/2013, dep. 8/10/2013, Rv. 257798 -).
Non consentono letture alternative rispetto a quella offerta dalla Corte
di merito le plurime emergenze che univocamente indirizzano verso la solidità
di legami e il riconoscimento del comune vincolo sociale (il calabrese Pelle cl.
’88 è riconosciuto dal ricorrente come il proprio socio; comune è l’utilizzo della
logistica sociale; la collaborazione prosegue pur dopo l’arresto di Pelle Angelo
Antonio). Né, come si è chiarito sopra, le critiche, i timori, i contrasti sono in
grado di mutare l’essenza: il Meridiani ben sa che è l’associazione a fornire lo
stupefacente e che se una parte di esso che si trovi nella sua disponibilità va
perduta (nella specie perché sequestrata) è suo dovere ripagare la perdita,
potendo solo negoziare modalità e misura del rimborso.

17.4. Giampaolo Francesco ripropone la propria impostazione difensiva
senza tener significativamente conto delle puntuali smentite sviluppate nella
sentenza gravata (pagg. 21/25), con la conseguenza che il ricorso va
dichiarato inammissibile.
L’imputato non si era limitato a fornire assistenza a Pelle Angelo
Antonio per favorirne la latitanza, ma aveva preso parte all’attività delittuosa
del gruppo, fornendo il suo apporto di manovalanza di rilievo non secondario.
Era lui a guidare l’autovettura utilizzata dal latitante per gli spostamenti, era
sempre lui a partecipare ad incontri diretti a risolvere questioni sociali, ad
essere incaricato di recarsi in Calabria per il trasporto di stupefacenti o di
soggetti, a dar mostra di ben conoscere la natura del traffico e ad adoperarsi
per ridurre i rischi (bonifica dell’autovettura).
Sull’identità i dubbi appaiono del tutto destituiti di fondamento: che il
“Cicciuzzo” di cui alle intercettazioni fosse lui, presentato come il nipote di
Pelle Angelo Antonio, risulta provato dalle dichiarazioni assunte e dai riscontri
di P.G. (pag. 23, in fondo e pag. 24).
In definitiva, correttamente è stata esclusa la sussistenza di una
condotta meramente favoreggiante, in presenza della piena è consapevole
partecipazione al delitto associativo in corso.
Quanto all’esclusione dell’ipotesi di cui all’art. 114, cod. pen., l’opinione
espressa in sede di merito sulla non minimalità dell’apporto non appare in
questa sede censurabile, in quanto sorretta da argomenti esenti dai vizi

denunziati, che prendono le mosse dalla significatività dei compiti di raccordo
a lui assegnati e della piena fiducia in lui riposta dal capo e dai sodali.
Peraltro, secondo i consolidato e condiviso orientamento maturato in
sede di legittimità, l’attenuante in parola non è compatibile con i reati
associativi (Cass., sez. 2, n. 17879 del 13/3/2014, dep. 29/4/2014, Rv.
260010; Sez. 2, n. 36538 del 21/9/2011, dep. 11/1072011, Rv. 251146; Sez.
6, n. 15086 dell’8/3/2011, dep. 13/4/2011, Rv. 249911).

demolire il costrutto argomentativo attraverso il quale lo si è ritenuto
responsabile del reato associativo non può essere accolto, difettando di
specifica concludenza avuto riguardo alle emergenze probatorie, a fronte
d’una approfondita premessa generale.
La

contestazione

della

corretta

identificazione

dell’imputato,

costituente questione prioritaria, è radicalmente destituita di fondamento ed
inammissibilmente incentrata su valutazioni di fatto, qui incensurabili. Che
l’imputato fosse quel “Ciccio” di cui alle intercettazioni trova univoche e
plurime conferme negli atti di P.G.: accertamento dell’utenza telefonica
intercettata in uso ad un’autocarrozzeria adiacente ad una rivendita di
autovetture, ove l’imputato era impiegato; riscontri – fu presente ad un
incidente stradale avvenuto nei pressi, che descriverà per telefono prima ad
una ragazza e poi al coimputato Miriello Domenico -; è presente in via Bibulo,
indicato nelle captazioni come <>; accompagna accoliti,
coi quali condivide il linguaggio criptato; ed in chiaro, nel corso di inequivoche
intercettazioni ambientali; si reca a Milano, ove si incontra con Pelle cl. ’88, e
lo accompagna (restando ad attenderlo in un bar) mentre il secondo contratta
stupefacente, secondo l’accusa di cui al capo 16) (fatti a carico dei due
Scipione); utilizza un numero d’utenza telefonica mobile che si differisce da
quella adoperata da Pelle ’88 solo per l’ultimo numero; il linguaggio risulta
pienamente condiviso, nonostante gli accorgimenti di camuffamento e,
addirittura, una conversazione intercettata fotografa una fuga in diretta dalla
p.g. (pag. 41).
Non solo, infine, i dialoghi vengono correttamente compresi,
nonostante l’uso del dialetto calabrese, grazie alle competenze linguistiche di
un agente, di origini calabresi e come tali formalmente introdotti, stante il
rito, nel processo, ma la critica mossa a tale opera di traduzione è generica
poiché il ricorrente non individua con puntualità quali i passaggi che sarebbero
stati travisati e quale l’incidenza specifica di essi sull’interpretazione
dell’insieme probatorio.

2l

17.5. Il primo, articolato motivo con il quale Tassone Francesco mira a

Una tale imponente congerie di indicazioni probatorie univoche rende
inane il tentativo difensivo, tanto suggestivo quanto privo di concreta
incisività, diretto ad escludere la materialità e il dolo della partecipazione. Il
Tassone, a dispetto della giovane età, non solo mostra piena e consapevole
adesione alla società delinquenziale, condividendone in tutto metodi e scopi,
ma riveste, altresì, un ruolo certamente non marginale, come dimostrato dal
sapere che è a sua disposizione e delle opzioni operative che è in grado di
dispensare, oltre che, dalla efficiente capacità di eseguire gli ordini. La

momento del contatto non inficia affatto il detto quadro, essendo plurimi e
tutti ragionevolmente plausibili i motivi di una tale cauta scelta: evitare di
dare troppo nell’occhio, volontà di particolare riservatezza imposta dagli altri
soggetti coinvolti, monitoraggio della zona, ecc.

17.5.1. Con il secondo motivo il ricorrente intende inammissibilmente
censurare la scelta della misura sanzionatoria e l’esclusione dell’ipotesi minore
di cui al comma 5 dell’art. 73 del d.P.R. n. 309/1990, sorretta, invece, da
congrua e logica motivazione, che prende le mosse dal ruolo non affatto
secondario dell’imputato (pusher a tempo pieno), saldamente legato agli altri
coimputati, ancor non sufficientemente cauto al telefono, come gli viene
rimproverato, ma tanto affidabile da essere coinvolto in missioni di rilievo,
come quella di Milano, nella quale l’entità dello stupefacente (una
«fotografia», secondo il linguaggio in codice degli accoliti, cioè un
assaggio o una «macchina», cioè una vera e propria fornitura) è
irrilevante agli invocati fini, in quanto resta indiscussa la professionalità e
importanza dell’operazione, diretta in ogni caso a procurarsi un cospicuo
rifornimento da immettere sul mercato.

17.6. Il primo motivo con il quale Scipione Santo Rocco e Scipione
Giovanni pongono in discussione l’esistenza dell’associazione, alla luce di
quanto già chiarito si appalesa di rilievo non apprezzabile. Al contrario di quel
che entrambi i ricorrenti assumono apoditticamente e con somnnarietà la
Corte territoriale, lungi dal limitarsi ad evidenziare il muto elenco delle
telefonate, ricostruisce in forma compiuta e pienamente logica la struttura
associativa, sulla base delle plurime e diversificate fonti di prova.

17.6.1. La partecipazione dei due germani non è seriamente
contestabile. Costoro non si erano limitati a fornire delle occasionali coperture
al cugino Pelle Angelo Antonio e a tenere rapporti con alcuni soggetti
dimoranti in Spagna e solo presuntivamente vicini al Pelle, nonché con altri

2L

circostanza che nell’operazione di Milano terrà un ruolo più defilato al

soggetti d’origine calabrese, senza che fosse stato compiutamente ricostruito
il ruolo dai medesimi rivestito. Dalla pagina 15 in poi la sentenza censurata
vaglia analiticamente tutte le condotte, comprovate dalle attività di P.G., che,
nel loro insieme, dimostrano univocamente la consapevole partecipazione al
sodalizio, con il particolare incarico di costituire punto di riferimento in Milano,
sia al fine di reperire forniture di stupefacente, che di assicurare rapporti e
intense e proficue relazioni con sogetti stranieri.
Santo Rocco si era recato in Colombia e il fratello più volte in Spagna;

ricevono e conducono il nonno colombiano, di cui s’è detto; le conversazioni
sono, nel complesso, inequivocamente dimostrative della piena consapevole
partecipazione e del considerevole giro d’affari, al quale prendono parte a
pieno titolo.

17.6.2. Vanno disattese anche le critiche mosse a riguardo
dell’episodio di cui al capo 16) (consegna a Milano di sostanza stupefacente coimputato Tassone Francesco -).
In primo luogo deve escludersi ch-

l- Giovanni restò estraneo alla

commissione del delitto per il solo fatto che il medesimo, raggiunto in casa
dalla visita di Pelle cl. ’88, dopo avere avvertito per telefono il fratello Santo,
si fosse poi allontanato all’arrivo di quest’ultimo. Invero, detta ultima
circostanza non assume la valenza liberatoria che il ricorso gli attribuisce, ove
si tenga conto che Giovanni, pienamente coinvolto nell’associazione, siccome
si ha modo di trarre univocamente da quanto sopra riportato in sintesi (pag.
15 e ss. della sentenza), senza dubbio conosce la ragione della visita e chiama
il fratello proprio al fine di consentire l’operazione. Il fatto che
successivamente si sia allontanato non assume rilievo di sorta, avendo assolto
in tutto al proprio compito, evidentemente spettando al germano il prosieguo.
Quanto, poi, al contenuto della busta, vista dalla P.G. in mano a Pelle
cl. ’88 all’uscita, non illogica deve ritenersi la conclusione della Corte di
merito, la quale a pag. 17 afferma trattarsi di un assaggio di stupefacente da
portare a Roma, valorizzando le complessive modalità del fatto.
La circostanza, infine, che da successiva intercettazione Pelle cl. ’88
(che aveva ceduto la busta al Tassone), faccia riferimento sia a una cessione
effettuata in favore del Tassone, che in senso inverso, non è stato giudicato, a
ragione, contraddittorio, in quanto il flusso di rifornimento ben poteva
reputarsi operante in un senso o nell’altro tra la “piazza” di Milano e quella di
Roma.

mettono a disposizione dei vari componenti del gruppo l’autovettura Clio;

Non può seriamente dubitarsi della natura della sostanza tenuto conto
delle complessive modalità, tutte improntate alla massima cautela, e del
contesto dei dialoghi captati.
Il fatto, infine, correttamente non è stato considerato lieve, dovendosi
tener conto delle complessive modalità del fatto: i due imputati, provetti
nell’illecita attività, agirono non già per un loro immediato tornaconto, ma per
soddisfare gli interessi sociali. A prescindere dal quantitativo di sostanza
acquisito (probabilmente destinato ad un assaggio) è certo che l’operazione

In definitiva, gli indici di riferimento apprezzabili fanno correttamente
escludere trattarsi di fatto di minima offensività.

17.7. Miriello Domenico premette, con i primi due motivi, vizi
procedurali alla censura centrale, esposta con il terzo, con la quale contesta la
configurabilità dell’associazione e, in ogni caso, la di lui partecipazione alla
stessa.
Le deduzioni in punto di rito non meritano di essere accolte.
Le critiche mosse a riguardo delle operazioni di captazione si
presentano non autosufficienti, mancando la specifica indicazione dei decreti e
meno che mai la parte risulta essersi presa cura di verificare che gli atti
sommariamente contestati siano stati effettivamente acquisisti all’incarto
trasmesso al giudice di legittimità (cfr., da ultimo, Cass., Sez. 2, n. 24925
dell’11/4/2013, dep. 6/6/2013, Rv. 256540).
In ogni caso vai la pena ulteriormente osservare quanto appresso. La
Corte territoriale a pag. 43 fornisce risposta, peraltro non controversa in
questa sede, in relazione a specifico motivo d’appello il cui nucleo centrale era
volto ad evidenziare la mancanza in atti delle bobine che racchiudevano le
immagini riprese in via Bibulo. Escluso che quel giudice abbia errato
nell’interpretare il senso della censura, anche ad ammettere che con il detto
motivo si fosse inteso anche muovere le critiche, invero plurime, evidenziate
con il ricorso e sintetizzate ai punti a), b), c), d) ed e) del § 11 (ma il tenore
dell’atto d’appello non giustifica una tale interpretazione), la prospettazione è
comunque priva di fondamento.
Secondo l’interpretazione condivisa maturata in sede di legittimità il
presupposto per il ricorso alle intercettazioni di conversazioni o di
comunicazioni, attiene all’esistenza dell’illecito penale e non alla colpevolezza
di un determinato soggetto, sicché per procedere legittimamente ad
intercettazione non è necessario che tali indizi emergano a carico di persona
individuata o del soggetto le cui comunicazioni debbano essere captate a fine

2-4(

era diretta ad immettere sul mercato un quantitativo sicuramente importante.

di indagine (Cass., Sez. 4, n. 8076 del 12/11/2013, dep. 20/2/2014, Rv.
258613).
Qui si è ben lontani dalla prospettata ipotesi d’intercettazioni a
grappolo: siccome emerge piuttosto nitidamente dal quadro probatorio
evidenziato nella sentenza della Corte territoriale dalle indagini già svolta
emergeva il fondato sospetto dell’illecito traffico, essendo, peraltro, individuati
i soggetti che apparivano maggiormente attivi.
Di poi deve chiarirsi che la Cassazione ha già avuto modo di precisare

questioni d’inutilizzabilità il cui accertamento presupponga valutazioni di fatto
soggette al previo naturale vaglio del giudice di merito, come quelle
concernenti la lamentata inutilizzabilità degli esiti di attività di intercettazioni
effettuata ricorrendo ad impianti esterni (Sez. 6, n. 37767 del 21/9/2010,
dep. 22/10/2010, Rv. 248589).
Inoltre, l’insufficienza o l’inidoneità degli impianti di intercettazione
esistenti presso gli uffici della procura della Repubblica, quale che ne sia la
causa, è di esclusiva competenza del pubblico ministero procedente, il quale
ne dà atto nel decreto reso ai sensi dell’art. 268, cod. proc. pen., senza che
occorra il suggello di alcuna ulteriore certificazione (cfr., da ultimo, Cass.,
Sez. 2, n. 21644 del 13/2/2013, Rv. 255540). Né (Cass., Sez. 6, n. 14173 del
15/12/2009, Rv. 246722) il pubblico ministero è tenuto a verificare la
permanenza di tale disponibilità e a proseguire l’attività di captazione
ricorrendo esclusivamente agli impianti originariamente disponibili. Inoltre,
nella nozione di “urgenza”, quale requisito di legittimità del decreto emesso
dal P.M. rientrano anche le <> richieste dalla
legge per l’utilizzazione di impianti diversi da quelli in dotazione alla procura
della Repubblica, con la conseguenza che la motivazione sul primo requisito
dà conto anche della sussistenza del secondo (in puntuali termini, da ultimo,
Cass., Sez. 1, n. 11561 del 5/2/2013, Rv. 255336). Si è, peraltro, affermato
che la sussistenza delle eccezionali ragioni di urgenza richieste dall’art. 268,
comma terzo, cod. proc. pen può desumersi anche implicitamente dallo stesso
contesto del processo e dalla natura delle imputazioni, quando si tratti, come
nel caso, d’immediatamente verificare la sussistenza d’illecito traffico di
stupefacenti, così da poter farlo cessare nel tempo più breve possibile (Cass.,
Sez. 6, n. 15396 dell’11/12/2007, dep. 11/4/2008, Rv. 239633).
E’, inoltre, inammissibile la critica mossa alla motivazione con la quale
il GIP aveva autorizzato le captazioni in via Bibulo, non avendo il ricorrente in
alcun modo specificato perché quel giudice aveva attinto a <>, ciò ancor più
nel caso di specie, trattandosi di processo a prova contratta, per scelta delle
parti. Sul punto, con motivazione in questa sede incensurabile, la Corte di
merito ha escluso una tale necessità (pag. 43).

17.7.2. Il terzo motivo è infondato.

26

n. 6905 dell’11/11/2003, dep. 18/2/2004, Rv. 229989), non si comprende

In merito alla sussistenza dell’associazione è bastevole richiamare
quanto in precedenza scritto. Può essere utile soggiungere che
l’individuazione della “sede sociale” nel locale di via del Bibulo, ove il
ricorrente esercitava la propria attività lavorativa di copertura non è dubbia
sulla base delle stesse dichiarazioni captate di taluno degli associati.
Per quel che riguarda l’adesione del Miriello deve osservarsi che dalle
risultanze probatorie emerge che lo stesso era pienamente partecipe degli
affari sociali, riconosce la struttura della stessa e la sua autonomia rispetto ai

’88, assumendo nei confronti del primo l’atteggiamento del veterano
addottrinatore.
Non si evidenziano, infine, incongruenze motivazionali in relazione al
vaglio del rapporto con altri accolti operato dalla Corte di Roma. Non è, infatti,
vero che il Miriello non tenga contatti con gli altri associati; è apodittico che lo
stesso non offra a tempo pieno il proprio contributo all’associazione; anzi,
apparendo «testa pensante» che addottrina i meno esperti e che mette a
disposizione del gruppo il locale ove svolge attività lavorativa lecita di
copertura.

17.7.3. Deve disattendersi anche il quarto ed ultimo motivo con il
quale viene contestato il trattamento penale.
La circostanza che le indagini abbiano fatto emergere il privilegiato
rapporto con Pelle cl. ’88 e Tassone non appare elemento decisivo al fine di
affermare che l’imputato fosse all’oscuro del numero complessivo degli
associati, così da potersi escludere l’aggravante di cui al comma 3 dell’art. 74
cit. La di lui profonda compenetrazione (in via Bibulo verrà ritrovato foglietto
contenente conti sociali; egli al telefono parla di una mancanza di 4.000 euro
e della necessità che i conti sociali debbano combaciare; il locale di via Bibulo
è sede di riunioni e decisioni) milita decisamente in senso contrario. Ciò posto,
anche a volere ritenere che il ricorrente abbia sottoposto implicitamente la
questione al giudice d’appello, par chiaro che la situazione emersa rende
infondata la pretesa. Peraltro, la doglianza non risutl essere stata avanzata
con l’appello.
Infine non è in questa sede rivedibile la motivata, e quindi
incensurabile, decisione del Giudice di merito con la quale è stato mantenuto
giudizio di equivalenza fra le riconosciute attenuanti generiche e l’aggravante
di cui sopra, nonché la determinazione, peraltro nel minimo.

18. Pelle Giuseppe proclama la propria estraneità al reato contestatogli
al capo 13) proponendo una ricostruzione congetturale dei fatti, smentita dalla

2q–

singoli associati; tiene contatti particolarmente stretti con Tassone e Pelle cl.

Corte di merito con argomenti niente affatto illogici o contraddittori (pag. 51 e
ss.). Dagli atti di P.G. e dai risultati delle captazioni (anche d’immagini)
emerge il pieno coinvolgimento nella vicenda dell’imputato, il quale, come se
non bastasse, il giorno dell’irruzione della P.G. tenta disperatamente di
avvertire il fratello Pelle cl. ’88 e il Meridiani, essendo rimasto all’esterno a
fungere da “palo”.
Non ha, del pari fondamento, la doglianza con la quale il ricorrente
critica l’omessa sospensione della pena. Sospensione negata dalla Corte di

ha dato conto del motivo per il quale, pur riconosciute le attenuanti generiche
e quella di cui all’art. 114, cod. pen, valorizzandosi la formale incensuratezza
e il limitato apporto nella perpetrazione del reato, esclusa la sospendibilità
della pena, in quanto l’imputato non aveva esitato <>

(nello stesso

senso, ancor più di recente, Sez. 3, n. 23949, del 29/4/2015, dep. 4/6/2015,
Rv. 263848).
In altri termini, ove a seguito della rilettura della vicenda, resa necessaria
dall’unificazione sotto il vincolo della continuazione, uno dei fatti (per restare
al caso in esame) giudicato in precedenza come ancellare, viene a costituire il
reato base, è logico, fermo restando l’insuperabilità del tetto complessivo
costituito dalla sommatoria delle due condanne, che per il medesimo si riservi
un nuovo e, se del caso, più grave trattamento sanzionatorio.
Viene violato, viceversa, il divieto di riforma peggiorativa allorquando nel
giudizio di appello instaurato a seguito di impugnazione del solo imputato,
riqualificato in termini di minor gravità il fatto sul quale è commisurata la
pena base, e pur irrogando una sanzione complessivamente inferiore rispetto
a quella inflitta in primo grado, il giudice applica per i reati satellite -già
unificati per continuazione- un aumento di pena maggiore rispetto a quello
praticato dal giudice della sentenza riformata, in quanto la posizione di questi
ultimi non muta nonostante la variazione della definizione giuridica data alla
violazione più grave (Cass., Sez. 5, n. 41188 del 10/7/2014, dep. 3/10/2014,
Rv. 261035). In altri termini, ove non sorga la necessità di rivalutare
complessivamente il fatto, restando identica la struttura del reato continuato
(immutato il reato base viene a giudicarsi, tuttavia, il medesimo meno grave,
oppure, come nella fattispecie al vaglio, uno dei reati satellite venga espunto)
aggravare la pena per uno dei reati avvinti dalla continuazione risulta privo di
logica necessità e dà vita ad un ingiustificato trattamento deteriore,

il GIP aveva quantificato in un anno.

nonostante che la pena finale permanga minore della somma di quelle inflitte
con le sentenze concernenti i reati unificati.
Constata la predetta violazione non resta che annullare sul punto la
sentenza impugnata, rinviando ad altra sezione della Corte d’appello di Roma,
la quale nel rideterminare la pena dovrà applicare la regola di diritto sopra
enunciata.
L’affermazione di penale responsabilità diviene irrevocabile con la
presente sentenza, ai sensi dell’art. 624, cod. proc. pen.

21. All’epilogo consegue la condanna di tutti i ricorrenti, eccezion fatta
per Verri, al pagamento delle spese processuali. Inoltre, i ricorrenti Del Papa,
Benedetti, Giampaolo e Alberti, i cui ricorsi vengono dichiarati inammissibili,
vanno condannati ciascuno al pagamento della somma stimata equa, di cui in
dispositivo, in favore della cassa delle ammende.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata nei confronti di Verri Roberto,
limitatamente al trattamento sanzionatorio e rinvia per ‘nuovo esame sul
punto ad altra Sezione della Corte d’appello di Roma; rigetta nel resto il
ricorso del Verri.
Rigetta i ricorsi di Pelle Antonio Angelo, Meridiani Mirko, Pelle
Giuseppe, Miriello Domenico, Tassone Francesco, Scipione Santo Rocco e
Scipione Giovanni, e condanna gli stessi al pagamento delle spese processuali.
Dichiara inammissibili i ricorsi di Del Papa Luigi, Benedetti Giuliano,
Giampaolo Francesco e Alberti Alessio, e condanna gli stessi al pagamento
delle spese processuali e ciascuno al pagamento della somma di euro 1000 , 610
ukA,

favore della cassa delle ammende.

Così deciso in Roma il 20/11/2015.

Il quinto motivo, peraltro fondato per tabulas, resta assorbito.

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