Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 50068 del 27/11/2013


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 50068 Anno 2013
Presidente: PETTI CIRO
Relatore: CASUCCI GIULIANO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
RE BERNARDO N. IL 12/05/1956
TATTA BARBARA N. IL 02/07/1964
avverso la sentenza n. 1/2010 TRIB.SEZ.DIST. di GAETA, del
25/01/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 27/11/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GIULIANO CASUCCI
Udito il Procuratore Ggerple in persona del Dott. tu’r,£55.4″,b
che ha concluso per “(,‘ Dua,~ 4~,{A CAA;

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Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv.

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Data Udienza: 27/11/2013

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza in data 25 gennaio 2012, il Tribunale di Gaeta, sezione penale,
confermava la sentenza del Giudice di Pace in sede con la quale gli appellanti Re
Bernardo e Tatta Barbara erano stati dichiarati colpevoli il primo di
danneggiamento (capo A) del prato del!’ aiuola della Parrocchia Cuore Immacolato
di Maria ed entrambi (capi B e D) di ingiurie in danno del parroco don Pietro Lalla
e, concesse le attenuanti generiche, erano stati condannati rispettivamente alla
pena di millecinquecento e trecento euro di multa nonché al risarcimento dei danni,

da liquidarsi in separato giudizio, e alla rifusione delle spese in favore della parte
civile.
Contro tale decisione hanno proposto tempestivo ricorso gli imputati, a mezzo del
difensore, che ne ha chiesto l’ annullamento per i seguenti motivi: – difetto di
motivazione quanto all’ imputazione di cui al capo A, perché per comune esperienza
I’ erba del prato calpestato ricresce spontaneamente mentre la rimozione delle zolle
è addirittura una pratica culturale. Di conseguenza il prato del cui danneggiamento
si discute non ha subito un deterioramento apprezzabile. Delle descritte scriminanti
il giudice dell’ appello non ha tenuto alcun conto con la conseguenza che è stata
omessa la motivazione sul punto; – violazione e falsa applicazione dell’ art. 594 cod.
pen. quanto al reato di cui al capo B (ascritto al solo RE), perché le frasi
pronunciate non sono gratuite ma espressione di critica aperta da parte dell’
imputato di professione architetto che, avendo l’ onere di realizzare la nuova
chiesa, intendeva protestare per le modifiche del progetto che avevano sconvolto
non solo l’ euritmia architettonica ma soprattutto l’ equilibrio strutturale; violazione e falsa applicazione dell’ art. 594 cod. pen. di cui al capo C (ascritto a
Tatta Barbara), perché nel caso la parola “indemoniato” a un sacerdote equivale a
dire che sta deviando dai dettami della dottrina cristiana e quindi attiene al
legittimo diritto di critica dei parrocchiani in riferimento a condotte contrarie ai
doveri del parroco.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Il primo motivo di ricorso è infondato, perché la sentenza impugnata ha risposto
alle doglianze difensive ed ha ritenuto sussistente il deterioramento del prato in
conseguenza della condotta posta in essere dell’ imputato che aveva calpestato
violentemente l’ erba. In tal modo il Tribunale ha giustificato il convincimento che,
sulla base delle concordi testimonianze acquisite, in conseguenza di una condotta
violenta il prato è stato deteriorato in riferimento alla sua funzione, con motivazione
che, in quanto non manifestamente illogica, non può essere oggetto di censura in
questa sede.
2. Anche il secondo e il terzo motivo di ricorso sono infondati.

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Ricorre l’esimente del diritto di critica qualora le espressioni usate rientrino nel
diritto di spiegare il proprio dissenso in riferimento alla condotta posta in essere
dalla persona offesa, critica che, ancorché aspra, non deve però comportare
sconfinamento dai limiti della continenza (cfr. Cass. Sez. 5, 25.1.2008 n. 14056.
Va ribadito che il limite della continenza nel diritto di critica e’ superato in presenza
di espressioni che, in quanto gravemente infamanti e inutilmente umilianti,
trasmodino in una mera aggressione verbale del soggetto criticato. Pertanto, il

giudizio di stretta riferibilita’ delle espressioni potenzialrnente diffamatorie al
comportamento del soggetto passivo oggetto di critica, ma non puo’ in alcun modo
scriminare l’uso di espressioni che si risolvano , nella denigrazione della persona di
quest’ultimo in quanto tale (Cass. Sez. 5, 23.1.2011 n. 15060).
Il Tribunale ha fatto buon governo di tali canoni ermeneutici perché, pur avendo
tenuto conto anche del contesto nel quale la vicenda si è collocata, ha
correttamente ritenuto che espressioni quali “panza di vermi”, “ladro”, “dernonio e
indemoniato” avessero trasmodato i limiti della legittima critica e aggredito la
persona al solo fine di denigrarla.
3. Il ricorso deve in conseguenza essere rigettato, con condanna dei ricorrenti al
pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Roma 27 novembre 2013
Il onsigliere Est.

, Presidente

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contesto nel quale la condotta si colloca puo’ essere valutato ai limitati fini del

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