Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 50043 del 26/05/2015


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 50043 Anno 2015
Presidente: MANNINO SAVERIO FELICE
Relatore: GENTILI ANDREA

SENTENZA
sul ricorso proposto dal:
Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Tempio Pausania:

nei confronti di:
MORRI Stefano, nato a Riccione (Rn) il 2 agosto 1959;
Avverso il decreto del Presidente del Tribunale di Tempio Pausania del 9 marzo
2015;
letti gli atti di causa, il provvedimento impugnato e il ricorso introduttivo;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. Andrea GENTILI;
sentito il PM, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Sante SPINACI, il
quale ha concluso chiedendo la dichiarazione di inammissibilità del ricorso;
sentiti, per il resistente Morri, gli avv.ti Giovanni ARICO’, del foro di Roma, e
Agostinangelo MARRAS, del foro di Sassari, che hanno concluso per la dichiarazione
di inammissibilità del ricorso.
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Data Udienza: 26/05/2015

RITENUTO IN FATTO
Il Procuratore della Repubblica di Tempio Pausania, con ricorso del 10
marzo 2015, ha impugnato il provvedimento con il quale il Presidente del
locale Tribunale, in data 9 marzo 2015, ha accolto la istanza di rinvio,
presentata dai difensori di Morri Stefano, della udienza già fissata di fronte al
Tribunale del riesame per il giorno 10 marzo 2015, rinviandola al 19 marzo
2015 nel corso della quale doveva essere discusso, con procedimento

preventivo disposto da parte del Gip di Tempio Pausania in ordine alla somma
di euro 133.000.000,00 circa nei confronti del Morri, indagato per il reato di
cui all’art. 5 del dlgs n. 74 del 2000.
Ad avviso del ricorrente il provvedimento di rinvio sarebbe stato emesso
in violazione degli artt. 309, commi 9 e 10, 324, comma 7, 173 e 174 cod.
proc. pen., stante la natura perentoria del termine di 10 giorni di cui all’art.
309, commi 9 e 10, cod. proc. pen., alla inutile scadenza del quale segue,
senza la possibilità ad opera della parte di rinunzia a tale effetto, la perdita
dell’efficacia del provvedimento cautelare oggetto del riesame.
Siffatto provvedimento sarebbe abnorme, in tale senso sottraendosi al
principio della tassatività degli atti impugnabili, in quanto crea una situazione
di stallo processuale, poiché, determinando la perdita di efficacia del
provvedimento cautelare, impedisce al Tribunale di decidere sulla richiesta di
riesame.
Ha depositato una memoria illustrativa la difesa del Morri, deducendo la
inammissibilità del ricorso del Procuratore della Repubblica.
In particolare la difesa del Morri ha segnalato che, stante la natura
meramente ordinatoria del provvedimento, esso non è suscettibile di
impugnazione, ove si eccettui il caso del provvedimento abnorme, non
ricorrente nel caso in questione, ove si consideri che nessuna stasi del
giudizio in questione si è verificata nel caso di specie, visto che la difesa
dell’originario ricorrente ha espressamente rinunziato al termine di cui all’art.
309 cod. proc. pen., né può ritenersi che siffatta rinunzia sia inefficace, posto
che, come osserva la illustrata difesa, si tratta di termine posto nell’esclusivo
interesse della parte privata.
Ha Aggiunto, peraltro, la difesa del Morri che all’esito della udienza di
rinvio, celebratasi il giorno 19 marzo 2015, il Tribunale di Tempio Pausania ha
già revocato nel merito il decreto di sequestro nei confronti del Morri, di tal
che il ricorso del Pm è divenuto carente di interesse.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
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camerale, il ricorso presentato dal Morri avverso il decreto di sequestro

Deve prioritariamente rilevarsi che il nostro ordinamento processuale
penale è ordinato nel senso della tassatività sia dei mezzi di impugnazione che
dei provvedimenti che sono ad essa soggetti.
E’, in tal senso, inequivocabili il dettato dell’art. 568 cod. proc. pen., il
quale al suo comma 1 prevede espressamente che “La legge stabilisce i casi nei
quali i provvedimenti del giudice sono soggetti ad impugnazione e determina il
mezzo con cui possono essere impugnati”.

spesso non autonomamente sufficiente (si pensi ai provvedimenti resi nel corso
del processo che, sebbene astrattamente idonei a ledere la posizione di taluna
delle parti, sono in linea generale soggetti ad essere impugnati, ai sensi
dell’art. 586, comma 1, cod. proc. pen., solamente in unione alla sentenza che
abbia definito la fase del giudizio nel corso della quale essi sono stati
pronunziati), affinché un atto del processo possa essere impugnato è che esso
sia idoneo a comportare un pregiudizio per le parti o per taluna di esse; da ciò
deriva che, perché sia soggetto ad impugnazione il provvedimento, è
necessario che esso abbia un contenuto decisorio, sia cioè suscettibile di
incidere sul diritto di libertà dell’individuo, su un suo diritto avente contenuto
patrimoniale, ovvero incida sulla cosiddetta pretesa punitiva dello Stato (Corte
di cassazione, Sezione II penale, 13 ottobre 1995, n. 3724).
Conformemente a tale principio questa Corte ha avuto in passato
occasione di precisare che non sono autonomamente impugnabili, neppure
mediante ricorso per cassazione secondo la previsione dell’art. 111, comma
settimo, Cost., in quanto non hanno contenuto decisorio, i provvedimenti
meramente ordinatori o processuali che, lungi dall’investire, con possibilità di
passaggio in giudicato, il diritto sostanziale dedotto in giudizio, decidono
unicamente sul diritto potestativo di ottenere una pronuncia giurisdizionale in
una determinata fase processuale o attraverso determinati riti processuali
(Corte di cassazione, Sezione III penale, 9 ottobre 2009, n. 39321).
Costituisce, tuttavia, apparente eccezione alla predetta regola generale il
principio, più volte riaffermato da questa Corte, della ricorribilità per cassazione
dei cosiddetti provvedimenti abnormi.
Invero siffatto principio, il quale opera come evidente norma di chiusura
del sistema, si giustifica per la stessa natura dell’atto abnorme; è tale, infatti, il
provvedimento che sia caratterizzato da vizi in procedendo o in iudicando, del
tutto imprevedibili per il legislatore, sicché esso è tale da dover essere
considerato completamente avulso dall’ordinamento giuridico; in siffatta
evenienza, non essendo previsto contro un provvedimento del genere, proprio
a cagione della sua abnormità, uno specifico mezzo di gravame, l’esigenza di
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Fatta questa premessa rileva la Corte che requisito indefettibile, ancorché

giustizia che esso venga annullato, in quanto contrastante con l’ordinamento
giuridico, può essere appagata, ai sensi dell’art. 111 comma settimo, della
Costituzione, mediante l’immediato ricorso per cassazione sotto il profilo della
violazione di legge (Corte di cassazione, Sezione III penale, 8 agosto 1996, n.
3010).
Deve, peraltro, precisarsi che va ascritto nel novero, peraltro piuttosto
ristretto secondo la casistica giurisprudenziale, del provvedimento abnorme non

del sistema organico della legge processuale, ma anche quello che, sotto il suo
profilo funzionale, pur non essendo estraneo al sistema normativo, sia tale da
determinare la stasi del processo e l’impossibilità di proseguirlo (Corte di
cassazione, Sezione II penale, 20 gennaio 2015, n. 2484).
Così delineati, sia pure a grandi linee, i profili della impugnabilità degli
atti, si tratta di verificare se, applicati i suddetti principi al provvedimento
oggetto delle lagnanze del Procuratore della Repubblica di Tempio Pausania,
esso abbia o meno i requisiti necessari perché se ne possa affermare la astratta
impugnabilità.
Ribadito, pertanto, che il provvedimento in questione è costituito dal
decreto con il quale il giorno 9 marzo 2015, il Presidente del Tribunale di
Tempio Pausania – accogliendo una espressa richiesta in tal senso formulata
dalla difesa di Morri Stefano, soggetto destinatario di un provvedimento di
sequestro preventivo emesso dal Gip del detto Tribunale nel corso di indagine
svolte a carico, fra gli altri, del Morri in relazione alla violazione dell’art. 5 del
dlgs n. 74 del 2000, per avere egli, in qualità di amministratore di fatto di
talune società commerciali, diretto ed organizzato una serie di operazioni
finalizzate alla evasione di imposta per un ammontare complessivo di oltre euro
133.000.000,00 – aveva differito dal 10 marzo 2015 (data originariamente
fissata) al 19 marzo 2015 l’udienza in cui si sarebbe dovuto discutere il ricorso
presentato dalla difesa del Morri ai sensi dell’art. 324 cod. proc. pen., avverso
il predetto decreto di sequestro preventivo, rileva questa Corte che, senza
alcun dubbio il provvedimento in questione riveste tutte la caratteristiche del
provvedimento esclusivamente ordinatorio, volto solo a governare sotto il
profilo temporale una mera scansione procedimentale del giudizio.
Esso, non avendo alcuna della caratteristiche del provvedimento
decisorio, non comporta, in sé, alcuna lesione o pregiudizio dei diritti delle
parti, pubblica e privata, coinvolti dalla celebrazione del giudizio di riesame.
In tal senso il provvedimento ora in discorso è, sulla base dei principi
dianzi esposti e senza la possibilità di alcun dubbio in merito, non suscettibile di
essere autonomamente e validamente impugnato.
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soltanto l’atto che, dato il suo singolare profilo strutturale, si ponga al di fuori

Del tutto irrilevante è, pertanto, il profilo dedotto dal ricorrente afferente
alla pretesa illegittimità per violazione di legge dell’atto impugnato, in quanto in
asserito contrasto con gli artt. 309, commi 9 e 10, 324, comma 7, 173 e 174,
cod. proc. pen., stante l’assorbente caratteristica della inoppugnabilità dell’atto
in questione.
Non rimane, a questo punto, che verificare se, in sede di recupero
impugnatorio dei provvedimenti abnormi, vi sia lo spazio per attribuire tale

Non certamente sotto il profilo della abnormità strutturale, posto che
l’atto in questione, lungi dall’esulare dal novero dei poteri astrattamente
attribuiti all’organo che lo ha emesso, è certamente ricompreso nella potestà di
governo dei tempi del processo attribuita dal Codice di rito alla autorità
giudiziaria.
Osserva, infatti, il Collegio che l’art. 324 cod. proc. pen. al suo comma 6
prevede che il procedimento di riesame dei provvedimenti di sequestro
preventivo, quale era quello impugnato dal Morri di fronte al Tribunale di
Tempio Pausania, si svolge nelle forme previste dall’art. 127 cod. proc. pen.
Siffatta disposizione prevede, a sua volta al comma 1, che, allorché si
debba procedere in camera di consiglio, il Presidente del collegio (nel caso in
cui il procedimento debba essere trattato, come nella fattispecie che interessa,
in composizione collegiale) fissa la data dell’udienza; indiscutibile è che in detto
potere di governo della scansione diacronica del procedimento sia anche
ricompreso, ricorrendone le opportune ragioni (che sarà competenza del
medesimo organo eventualmente valutare nella propria prudente
discrezionalità), il potere differire la data originariamente fissata per la
trattazione del procedimento laddove si siano presentati motivi che ne abbiano
determinato il differimento.
Sotto il profilo strutturale l’atto ora impugnato, consistente, si ripete,
nella rifissazione da parte del Presidente del collegio giudicante della udienza
per la celebrazione di un procedimento di riesame cautelare in camera di
consiglio, non può, in definitiva, assolutamente definirsi abnorme, rientrando,
invece, pienamente nelle fisiologiche attribuzioni e competenze dell’organo che
lo ha emanato.
Vediamo, a questo punto se ricorrono le condizioni per poterne
affermare la abnormità sotto il profilo funzionale.
Come dianzi osservato dette condizioni ricorrono ove il provvedimento,
apparentemente legittimo in quanto non estraneo al tessuto normativo del
diritto processuale, costituisca, invece, per i propri effetti sul giudizio
un’escrescenza patologica di esso, in quanto tale da determinare la stasi del
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stigma all’atto in questione.

processo (in questo caso, più specificamente, di una sua fase cautelare
incidentale) e l’impossibilità che esso prosegua.
Va precisato che il ricorrente fonda l’affermazione della annoverabilità del
provvedimento in questione a tale particolare schiera dei provvedimenti
abnormi in ragione del fatto che, essendo stata rifissata l’udienza camerale per
la discussione del ricorso in sede di riesame in una data che, per essere
successiva rispetto alla data di presentazione del ricorso (adempimento questo

comporterebbe una situazione di stallo processuale, determinando nei confronti
del Morri le premesse per l’inevitabile perdita di efficacia del provvedimento di
sequestro preventivo, essendo impossibile per il Tribunale decidere sul riesame
di esso entro il termine perentorio di cui all’art. 309, comma 10, cod. proc. pen.
La fallacia del presupposto argomentativo sul quale si fonda il
ragionamento del ricorrente, cioè la indefettibile e generale natura perentoria
del termine di cui all’art. 309, comma 10, cod. proc. pen., priva lo stesso di
plausibilità.
Va, al proposito, ricordato che, come diligentemente documentato dal
ricorrente Procuratore della Repubblica, con istanza datata 6 marzo 2015 il
difensore del Morri, rilevata l’avvenuta fissazione per il 10 marzo successivo
della discussione in camera di consiglio avente ad oggetto il ricorso da lui
interposto, ai sensi dell’art. 324 cod. proc. pen., avverso il decreto emesso dal
locale Gip di sequestro preventivo in danno del medesimo Morri, e considerato
che solo in quella giornata il Pm aveva trasmesso alla cancelleria del Tribunale
gli atti del procedimento, chiedeva un differimento della udienza; differimento
che come più volte ricordato, il Presidente del Tribunale concedeva il successivo
9 marzo 2015, rifissando l’udienza camerale per il successivo 19 marzo, con
provvedimento steso in calce alla istanza presentata dal difensore del Morri; a
margine del provvedimento in questione vi era, poi, un’annotazione sottoscritta
dal predetto difensore con la quale questi dava atto di aver preso visione del
provvedimento e di rinunziare ai termini.
Alla luce di questa esauriente ricostruzione della vicenda – pienamente in
linea con l’estensione dell’ambito conoscitivo e valutativo di questa Corte e non
esuberante rispetto ad essa, stante la evidente natura processuale della
questione, riguardo alla quale questa Corte ha, pertanto, pieno accesso al fatto
– emerge la erroneità del presupposto interpretativo da cui muove il ricorso del
Procuratore della Repubblica di Tempio Pausania.
Deve, infatti, rilevarsi, per un verso, che il termine di cui all’art. 309,
comma 10, cod. proc. pen., espressamente richiamato in quanto norma
applicabile anche al procedimento di riesame dei provvedimenti cautelari reali
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compiuto dalla difesa del Morri in data 28 febbraio 2015) di oltre 10 giorni,

del tipo di quello ora in esame dall’art. 324, comma 7, cod. proc. pen., non è
indefettibilmente perentorio.
In più circostanze, infatti, questa Corte ha avuto occasione di affermare
che, in applicazione del dettato dell’art. 101, comma 2, delle disp. att. cod.
proc. pen., il termine di dieci giorni entro cui il Tribunale del riesame deve
decidere sul ricorso de libertate decorre, ove l’interessato che sia detenuto fuori
dal distretto entro il quale è ricompreso il Tribunale competente a decidere sul

parte dello stesso Tribunale, degli atti assunti dal magistrato di sorveglianza
(Corte di cassazione, Sezione I penale, 30 settembre 2011, n. 35647; idem
Sezione IV penale, 19 marzo 2003, n. 12761;

idem Sezione V penale, 29

settembre 1999, n. 3910; idem Sezione V penale, 30 aprile 1997, n. 1006).
La ratio del principio sopraesposto è di manifesta evidenza: essendo il
predetto termine posto nell’esclusivo interesse del ricorrente, laddove questi,
pur esercitando una sua legittima facoltà, formula una richiesta che è in
contrasto con la finalità eminentemente acceleratoria del predetto termino e
tale da comportare un rallentamento dei fisiologici tempi di espletamento della
procedura, siffatto comportamento non può che ridondare, con riferimento alla
scadenza del predetto termine (pacificamente di regola perentorio),
comportandone un differimento sino al perfezionamento della fase
subprocedimentale impetrata dal soggetto nel cui interesse il termine è stato
previsto dal legislatore.
Analoga ratio non può che governare l’ipotesi in cui, in fattispecie analoga
a quella dianzi descritta, la difesa del ricorrente in sede di riesame chieda il
differimento dell’udienza di discussione del proprio ricorso, dovendosi in tale
frangente ritenere che il termine di cui all’art. 309, comma 10, cod. proc. pen,
debba intendersi sospeso, in caso di accoglimento della istanza di differimento,
a far data dalla presentazione della istanza in questione e sino a quella di rinvio
della udienza camerale.
Ma la peculiarità del caso di specie suggerisce anche altre ragioni per
effetto delle quali gli argomenti dedotti dal ricorrente onde far rilevare la
pretesa abnormità funzionale del provvedimento impugnato sono prive di
pregio.
Lo stesso ricorrente, infatti, precisa che il difensore del Morri, nell’atto di
attestare la sua presa visione del provvedimento con il quale era stata differita,
come da lui richiesto, l’udienza per la trattazione del ricorso da lui stesso
presentato ha espressamente dichiarato la sua rinunzia ai termini.
Ciò posto deve ritenersi che, essendo il predetto termine di cui all’art.
309, comma 10, cod. proc. pen. in quanto richiamato anche per il
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ricorso de quo abbia richiesto di essere sentito, dal momento della ricezione, da

procedimento del riesame dei provvedimenti cautelari a carattere reale, posto
nell’esclusivo interesse del ricorrente esso deve intendersi pacificamente
rinunziabile; né vale osservare che tale rinunzia è stata postuma rispetto alla
adozione del provvedimento ora impugnato, atteso che la tempestività o meno
della rinunzia ad un termine deve essere valutata con esclusivo riferimento alla
scadenza di quest’ultimo; pertanto, posto che, a tutto voler concedere, nel caso
ora in questione il termine entro il quale, a pena di inefficacia del

avrebbe dovuto decidere su di esso (laddove non ci fosse stato il differimento
dell’udienza) andava a scadere il 10 marzo 2015, sicuramente tempestiva è
stata la rinunzia ad esso formulata dal difensore del ricorrente in data 9 marzo
2015; parimenti irrilevante è che tale rinunzia non sia stata fatta spendendo la
qualità di procuratore speciale del Morri, atteso che la rinunzia ad un termine
del processo non rientra fra quelli per i quali è necessaria la manifestazione di
volontà diretta dell’interessato e di un suo procuratore speciale (Corte di
cassazione, Sezione III penale, 18 aprile 2013, n. 17717).
Sulla base dei argomenti ampiamente esposti, in ragione della erroneità
del presupposto interpretativo da cui il ricorrente ha preso le mosse, può,
quindi, escludersi anche sotto il profilo funzionale la abnormità del
provvedimento impugnato, non comportando esso alcuna stasi del
procedimento, potendo, ed anzi dovendo, lo stesso riprendere, senza
pregiudizio alcuno per la sua funzionalità, il proprio regolare corso attraverso
la celebrazione della udienza camerale nella data a tal fine rifissata dal
Presidente del Collegio investito della trattazione del riesame cautelare.
Va, da ultimo, osservato, che, come evidenziato dalla difesa del Morri di
fronte a questa Corte, ed in conformità coi principi dianzi affermati, in data 19
marzo 2015 il Tribunale di Tempio Pausania ha regolarmente discusso la
istanza di riesame presentata il precedente 28 febbraio 2015 dal Morri avverso
il più volte ricordato decreto di sequestro preventivo disposto dal locale Gip nei
suoi confronti, in tale occasione rigettando con l’ordinanza allora emessa, la
eccezione – presentata, con singolare coerenza, non dalla difesa del ricorrente
ma dalla stessa pubblica accusa – di sopravvenuta inefficacia del provvedimento
cautelare stante la ritenuta inutile decorrenza del termine ex art. 309, comma
10, per provvedere sulla richiesta di riesame.
In tal modo il Tribunale ha, definitivamente, fatto venir meno, se mai
fosse stato necessario, l’interesse dell’odierno ricorrente alla coltivazione del
presente giudizio.
Conclusivamente il ricorso introduttivo del presente giudizio deve, per
tutte le ragioni che sono state dianzi illustrate, essere dichiarato inammissibile
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provvedimento cautelare oggetto di riesame, il Tribunale di Tempio Pausania

PQM
Dichiara inammissibile il ricorso del Pubblico ministero.
Così deciso in Roma, il 26 maggio 2015
Il Presidente

Il Consigliere estensore

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