Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 50014 del 26/11/2015


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 50014 Anno 2015
Presidente: PAOLONI GIACOMO
Relatore: SCALIA LAURA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CARUSO ANTONIO CARMELO N. IL 15/07/1984
avverso la sentenza n. 1377/2015 CORTE APPELLO di CATANIA, del
19/06/2015
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 26/11/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. LAURA SCALIA
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per /(9 ( 4,4,-,1L1,w\
4,4CoG4-.

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 26/11/2015

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza emessa in data 19.06.2015, la Corte di appello di
Catania ha rigettato l’impugnazione proposta da Antonio Carmelo Caruso,
così confermato la sentenza emessa dal Tribunale della medesima città in
data 28.08.2014, con cui l’imputato è stato condannato, all’esito di giudizio
abbreviato, alla pena di dieci mesi e venti giorni di reclusione oltre al
pagamento delle spese processuali e di mantenimento durante la custodia

Il Caruso è stato ritenuto colpevole del reato di evasione (art. 385 cod.
pen.) per essersi allontanato dalla propria abitazione ove si trovava ristretto
in regime di arresti domiciliari come applicati dal Tribunale di Catania in data
28.08.2014.

2. Avverso l’indicata sentenza propone ricorso per cassazione la difesa
dell’imputato, affidando l’introdotto mezzo ad un unico motivo.
Il ricorrente deduce la nullità per violazione di legge (art. 606, comma 1,
lett. b) cod. proc. pen.) in cui sarebbe incorsa la Corte territoriale per non
avere fatto applicazione della sentenza della Corte costituzionale n. 177 del
2009.
Quest’ultima ha infatti sancito l’ illegittimità costituzionale dell’art. 47 ter, commi 1, lettera a), seconda parte, e 8 della legge 26.07.1975 n. 354
(“Norme sull’ordinamento penitenziario e sull’esecuzione delle misure
privative e limitative della libertà”) laddove non limita la punibilità, ai sensi
dell’art. 385 del codice penale, al solo allontanamento dal domicilio che si
protragga per più di dodici ore, così come stabilito dall’art. 47-sexies,
comma 2, della medesima legge, sul presupposto di cui all’art. 47-quinquies,
comma 1, I. cit.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è inammissibile secondo la pluralità di letture a cui lo stesso si
presta.
La prima ragione di inammissibilità è nella circostanza che il motivo
articolato a sostegno del proposto mezzo è estraneo alle censure introdotte
in grado di appello e risulta quindi per la prima volta proposto dinanzì a
questa Corte.
Il motivo è altresì formulato con tecnica quasi perlustrativa che del primo
denuncia, ancora una volta, l’inammissibilità.

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cautelare.

Il ricorrente, infatti, a fronte della motivazione adottata dalla Corte di
appello, motivazione espressiva dell’orientamento di legittimità
sull’irrilevanza della durata dell’allontanamento e della distanza dal domicilio
quanto all’integrazione del reato di evasione (Sez. 6, 09/06/2015, n. 28118,
Rapino, Rv. 263977; Sez. 6, 21/03/2012, n. 11679, Fedele), avanza ricorso
proponendo «un quesito di diritto», argomentando da un principio che
avrebbe trovato applicazione in una pronuncia di merito genericamente
richiamata in ricorso.

motivo si fa portatore non è previsto dal nostro ordinamento e origina, esso
stesso, da una lettura manifestamente infondata della norma di riferimento.
La sentenza di declaratoria di illegittimità costituzionale adottata dalla
Corte delle leggi (sentenza n. 177 del 2009), sui cui contenuti il ricorrente
costruisce il dedotto vizio da violazione di legge (art. 606, comma 1, lett. b)
cod. proc. pen. in relazione all’art. 385 cod. pen.), è intervenuta sulla legge
n. 354 del 1975 di disciplina dell’ordinamento penitenziario.
Di quest’ultimo ha dichiarato l’illegittimità costituzionale relativamente
all’art. 47-ter, commi 1, lett. a), seconda parte, e 8 – in ragione del
parametro di cui all’art. 3 della Costituzione -, nella parte in cui non limita la
punibilità, ai sensi dell’art. 385 del codice penale, al solo allontanamento dal
domicilio che si protragga per più di dodici ore, come stabilito invece dall’art.
47-sexies, comma 2, della medesima legge.
L’indicata declaratoria di illegittimità per violazione del canone di
eguaglianza trova infatti applicazione nell’ambito della disciplina riservata secondo le citate previsioni dell’ordinamento penitenziario, che disegnano
una speciale figura del reato di evasione – ai condannati definitivi.
In siffatto ambito la pronuncia della Corte costituzionale estende in via
analogica il trattamento riservato a chi sia destinatario della misura
alternativa della detenzione domiciliare speciale, alla detenuta che sia madre
di prole di età inferiore ai dieci anni con la prima convivente.
Il precetto normativo colpito da censura di incostituzionalità (art. 47- ter
I. n. 354 del 1975) è quindi del tutto estraneo alla vicenda che ha attinto il
Caruso, imputato sottoposto alla misura cautelare degli arresti domiciliari
allorché maturarono ì fatti di evasione in contestazione, e come tale detto
precetto non può in alcun modo fungere da termine di raffronto per nuove
ed auspicate discipline.
Il ricorso è pertanto, per tutti i riportati suoi contenuti, inammissibile.

In ogni caso, poi, rileva ancora questa Corte, il principio di diritto di cui il

Consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese
processuali ed al pagamento della somma di C 1.000,00 in favore della
Cassa delle ammende.

P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 1.000,00 in favore della Cassa delle
ammende.

Il Consigliere estensore

Il Presi ente

Così deciso in Roma, il 26 novembre 2015

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