Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 5 del 15/11/2016


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 5 Anno 2017
Presidente: FUMU GIACOMO
Relatore: RECCHIONE SANDRA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
BRUNO GIUSEPPE N. IL 12/01/1968
avverso la sentenza n. 3189/2015 CORTE APPELLO di TORINO, del
04/03/2016
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 15/11/2016 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. SANDRA RECCH1ONE
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per 2 ,1 A,

Udito, per la pavile, l’Avv
Udit i difensor Avv. S

Asj

3

e

Data Udienza: 15/11/2016

RITENUTO IN FATTO

1.La Corte di appello di Torino in parziale riforma della sentenza appellata
condannava il Bruno per due episodi di estorsione tentata e per uno di estorsione
consumata alla pena di anni tre, mesi 10 di reclusione ed euro 800 di multa.

2. Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione l’avvocato Gottero
che deduceva:

persone offese ed alla credibilità dei relativi contenuti accusatori; mancherebbe
la rilevazione di “riscontri” alle dichiarazioni accusatorie rese dalla persona
offesa;
2.2. vizio di motivazione in relazione alla omessa considerazione delle
argomentazioni esposte con l’atto di appello; segnatamente non sarebbe stato
valutato che le modalità della condotta erano rudimentali, né erano stati
considerati modi e tempi di presentazione delle querele;
2.3. vizio di motivazione della parte della sentenza che definiva il trattamento
sanzionatorio, laddove non si escludeva la recidiva e non si riconosceva la
prevalenza delle circostanze attenuanti generiche sulle aggravanti;

3. ricorreva per cassazione anche l’avvocato Ventura che deduceva:
3.1. vizio di legge e di motivazione in relazione al riconoscimento degli elementi
del delitto di estorsione; l’azione dell’imputato non avrebbe efficacia intimidatoria
in quanto diretta a cercare un lavoro; inoltre l’imputato non avrebbe
rappresentato in che modo si sarebbe svolta la vigilanza offerta e la condotta
asseritamente minatoria non sarebbe stata seguita da alcun atto dotato di
efficacia coercitiva; infine il male prospettato era sproporzionato alla somma
richiesta; con riguardo all’estorsione ai danni del Giusto e del Licciardi la carenza
di efficacia intimidatoria della condotta emergerebbe dalle stesse dichiarazioni
degli offesi che non si erano dichiarate intimorite;
3.2. vizio di motivazione per omessa considerazione delle doglianze proposte con
l’atto d’appello in ordine alla qualificazione giuridica dei fatti. Questi avrebbero
dovuto essere inquadrati nel reato di truffa agita attraverso la prospettazione di
un pericolo immaginario e non come estorsione. Per il corretto inquadramento
della condotta l’indagine circa la idoneità della condotta non dovrebbe essere
effettuata ex ante, valorizzando la percezione della persona offesa, ma piuttosto
ex post. Nel caso di specie, sarebbe emerso che l’imputato non era in grado di

porre concretamente in essere le azioni che aveva minacciato;

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2.1. vizio di legge e di motivazione in ordine alla valutazione di attendibilità delle

3.3. vizio di legge e di motivazione in relazione alla mancata concessione
dell’attenuante prevista dall’art. 62 n. 4 cod. pen., che avrebbe dovuto essere
riconosciuta in relazione alla modesta entità del danno cagionato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.1 ricorsi proposto dall’avv. Gottero nell’interesse del Bruno manifestamente
infondato.

valutazione di attendibilità delle dichiarazioni rese dalle persone offese.
La valutazione di attendibilità della testimonianza delle vittime, come risulta dal
compendio integrato delle sentenze di primo e secondo grado risulta effettuata
nel rispetto delle linee interpretative tracciate dalla Corte di cassazione in
materia. La Corte di legittimità ha chiarito, sul punto, che le regole dettate
dall’art. 192, comma terzo, cod. proc. pen. non si applicano alle dichiarazioni
della persona offesa, le quali possono essere legittimamente poste da sole a
fondamento dell’affermazione di responsabilità, previa verifica, corredata da
idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità
intrinseca del suo racconto, che in tal caso deve essere più penetrante e rigoroso
rispetto a quello a cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone;
la Corte ha altresì precisato come, nel caso in cui la persona offesa si sia
costituita parte civile, può essere opportuno procedere al riscontro di tali
sez. U, n. 41461 del 19/07/2012, Rv.

dichiarazioni con altri elementi (Cass.

253214).Come si evince dal tessuto motivazionale della richiamata pronuncia
delle Sezioni unite, la circostanza che l’offeso si sia costituito parte civile non
attenua il valore probatorio delle dichiarazioni

rendendo la testimonianza

omogenea a quella del dichiarante “coinvolto nel fatto”, che soggiace alla regola
di valutazione indicata dall’art. 192 comma 3 cod. proc. pen, ma richiede solo
un controllo di attendibilità particolarmente penetrante, finalizzato ad escludere
la manipolazione dei contenuti dichiarativi in funzione dell’interesse patrimoniale
vantato.
La Corte di legittimità, peraltro, anche quando prende in considerazione la
possibilità di valutare l’attendibilità estrinseca della testimonianza dell’offeso
attraverso la individuazione di precisi riscontri, si esprime in termini di
“opportunità” e non di “necessità”, lasciando al giudice di merito un ampio
margine di apprezzamento circa le modalità di controllo della attendibilità nel
caso concreto. Le sezioni unite hanno infatti affermato che «può essere
opportuno procedere al riscontro di tali dichiarazioni con altri elementi qualora la
persona offesa si sia anche costituita parte civile e sia, perciò, portatrice di una

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1.1. Manifestamente infondate sono le doglianze avanzate nei confronti della

specifica pretesa economica la cui soddisfazione discenda dal riconoscimento
della responsabilità dell’imputato» (nello stesso senso Cass. Sez. 1, n. 29372
del 24/06/2010, Stefanini, Rv. 248016; Cass. Sez. 6, n. 33162 del 03/06/2004,
Patella, Rv. 229755). Peraltro costituisce principio incontroverso che la
valutazione della attendibilità della persona offesa dal reato rappresenta una
questione di fatto che ha una propria chiave di lettura nel compendio
motivazionale fornito dal giudice e non può essere rivalutata in sede di
legittimità, salvo che il giudice non sia incorso in manifeste contraddizioni

(ex

22/01/2008, Finazzo, Rv. 239342; Sez. 6, n. 443 del 04/11/2004, dep. 2005,
Zamberlan, Rv. 230899; Sez. 3, n. 3348 del 13/11/2003, dep. 2004, Pacca,
Rv.227493; Sez. 3, n. 22848 del 27/03/2003, Assenza, Rv. 225232).
Nel caso di specie la valutazione di attendibilità dei contenuti testimoniali
oggetto di censura emerge dal compendio integrato delle due sentenze di merito
e risulta effettuata in coerenza con le richiamate indicazioni ermeneutiche.
Le dichiarazioni degli offesi offrivano elementi di conoscenza perfettamente
inquadrabili nella consumazione delle estorsioni consumate attraverso
l’evocazione del potere criminale di gruppi organizzati e si confermano a vicenda.
La motivazione emergente dalle due sentenze conformi di merito fondata sulle
dichiarazioni censurate non presenta alcuna frattura logica ma offre, al
contrario un percorso argomentativo coerente non solo con le emergenze
processuali, ma anche con le regole di valutazione codicistiche e con
l’interpretazione delle stesse fornita dalla Corte di legittimità
1.2. Anche il secondo motivo di ricorso che denuncia la mancata valutazione
delle doglianze proposte con l’atto d’appello è manifestamente infondato.
Contrariamente a quanto dedotto, la Corte territoriale valutava le modalità
della condotta estorsiva come affatto rudimentali ma invece riconducibili alle
figure ormai classiche della estorsione «parte della comune conoscenza» (pag. 9
tempi di presentazione delle querele

della sentenza impugnata). Anche i

venivano valutati dalla Corte di merito che evidenziava

come «le vittime

avessero sporto denuncia solo successivamente ai fatti, e quando la cittadinanza
aveva preso posizione contro altre attività intimidatorie che si erano disvelate nel
territorio» (pag. 9 della sentenza impugnata). Si tratta di argomenti coerenti
con le emergenze processuali e privi di illogicità manifeste che si sottraggono ad
ogni censura.
1.3. Infine è manifestamente infondato anche il motivo che deduce l’illegittimità
del trattamento sanzionatorio. Il collegio ribadisce che la determinazione in
concreto del trattamento sanzionatorio è frutto di una valutazione di merito
insindacabile in sede di legittimità. Al riguardo si condivide la giurisprudenza

4

plurimis Sez. 6, n. 27322 del 2008, De Ritis, cit.; Sez. 3, n. 8382 del

secondo cui la graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle
diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nella
discrezionalità del giudice di merito, che la esercita, così come per fissare la pena
base, in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen.; ne
discende che è inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad
una nuova valutazione della congruità della pena la cui determinazione non sia
frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e sia sorretta da sufficiente
motivazione (Cass. sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, dep. 2014, Rv. 259142).

valutazione di uno (o più) dei criteri indicati nell’articolo 133 cod. pen., assolve
adeguatamente all’obbligo della motivazione; infatti, tale valutazione rientra
nella sua discrezionalità e non postula un’analitica esposizione dei criteri adottati
per addivenirvi in concreto (Cass. Sez. 2, sent. n. 12749 del 19/03/2008, dep.
26/03/2008, Rv. 239754; Sez. 4, sent. n. 56 del 16/11/1988, dep. 5/1/1989 rv
180075). Nel caso di specie, la Corte territoriale in coerenza con tali linee
ermeneutiche riteneva non escludibile la recidive in quanto il nuovo episodio
criminoso evidenziava l’accrescimento della capacità criminale e la maggiore
colpevolezza (pag 12 della sentenza impugnata). Anche il bilanciamento in
equivalenza viene giustificato sulla base della incongruenza di un trattamento
sanzionatorio di maggior favore con il profilo soggettivo dell’imputato e con la
gravità delle condotte (pag. 12 della sentenza impugnata). Si tratta di una
motivazione che non presenta illogicità manifeste, coerente con le emergenze
processuali che non si presta ad alcuna censura in questa sede.

3.Anche il ricorso proposto dall’avv. Ventura nell’interesse del Bruno

è

manifestamente infondato;
3.1. manifestamente infondato è il motivo che denuncia la carenza di capacità
intimidatoria della condotta contestata.
In materia il collegio ribadisce che la connotazione di una condotta come
minacciosa e la sua idoneità ad integrare l’elemento strutturale del reato vanno
valutate in relazione a concrete circostanze oggettive, quali la personalità
sopraffattrice dell’agente, le circostanze ambientali in cui lo stesso opera,
l’ingiustizia della pretesa e le particolari condizioni soggettive della vittima,
poichè più marcata è la vulnerabilità di quest’ultima, maggiore è la potenzialità
coercitiva di comportamenti anche “velatamente” minacciosi (Cass. sez. 2 n.
2702 del 18/11/2015, dep. 2016, Rv. 265821).
Nel caso di specie la idoneità coercitiva della minaccia è insita nel ricorso a
modalità intimidatorie evocative della esistenza di pericolosi gruppi criminali
organizzati e nella chiara indicazione della volontà di esplicare il controllo sugli
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Pertanto il giudice di merito, con la enunciazione, anche sintetica, della eseguita

esercizi commerciali del territorio di Piossasco, attraverso la richiesta di una
sorta di prezzo riferibile alla “protezione” offerta dagli imputati.
3.2. Manifestamente infondata è anche la censura rivolta nei confronti della
qualificazione giuridica.
Il

collegio ribadisce che il criterio distintivo tra il reato di truffa e quello di

estorsione, quando il fatto è connotato dalla minaccia di un male, è
rappresentato dalla concreta efficacia coercitiva, e non meramente manipolativa,
della condotta minacciosa rispetto alla volontà della vittima, da valutarsi con

(Cass. sez. 2 n. 11453 del 17/02/2016, Rv. 267124).
Più precisamente si ritiene che, quando il fatto è connotato dalla minaccia di un
male, il criterio distintivo tra il reato di truffa e quello di estorsione, va ravvisato
nel diverso modo di atteggiarsi della condotta lesiva e della sua incidenza sulla
sfera soggettiva della vittima: ricorre la prima ipotesi delittuosa se il male viene
ventilato come possibile ed eventuale e comunque non proveniente direttamente
o indirettamente da chi lo prospetta, in modo che la persona offesa non è
coartata, ma si determina alla prestazione perché tratta in errore dalla
esposizione di un pericolo inesistente; mentre si configura l’ estorsione se il male
viene indicato come certo e realizzabile ad opera del reo o di altri, poichè in tal
caso la persona offesa è posta nella ineluttabile alternativa di far conseguire
all’agente il preteso profitto o di subire il male minacciato (Cass. sez. 2 n.
46084 del 21/10/2015 Rv. 265362)
Nel caso di specie l’attività intimidatoria rientra pacificamente nella fattispecie
estorsiva essendo diretta a piegare la volontà delle vittime facendo intendere
che era in atto una attività criminale, controllata dagli imputati, volta a
danneggiare gli esercizi commerciali del territorio che poteva essere fermata
solo con il pagamento di somme di denaro. Non viene evocato un pericolo
inesistente,

ma seri atti di danneggiamento che

sicuramente in essere in assenza

sarebbero stati posti

del pagamento (pag 10 della sentenza

impugnata).
3.3. Manifestamente infondato è,

infine, il motivo di ricorso che deduce

l’illegittimità del mancato riconoscimento dell’attenuante prevista dall’art. 62 n. 4
cod. pen.
In materia il collegio ribadisce che per la configurabilità dell’attenuante del
danno di speciale tenuità (art. 62, n. 4, cod. pen.) in relazione al delitto di
estorsione, non è sufficiente che il bene mobile sottratto sia di modestissimo
valore economico, ma occorre valutare anche gli effetti dannosi connessi alla
lesione della persona contro la quale è stata esercitata la violenza o la minaccia,
atteso che il delitto ha natura di reato plurioffensivo perché lede non solo . il

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verifica “ex ante”, che prescinde dalla effettiva realizzabilità del male prospettato

patrimonio ma anche la libertà e l’integrità fisica e morale aggredite per la
realizzazione del profitto; ne consegue che solo ove la valutazione complessiva
del pregiudizio sia di speciale tenuità può farsi luogo all’applicazione
dell’attenuante in questione (Cass. sez. 2 n. 12456 del 04/03/2008 Rv.
239749).
In coerenza con tali linee ermeneutiche la Corte di appello escludeva la
concedibilità dell’attenuante tenuto conto degli effetti che il paventato intervento
della criminalità organizzata aveva prodotto sulle vittime (pag 11 della sentenza

4.Alla dichiarata inammissibilità dei ricorsi consegue, per il disposto dell’art. 616
cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali
nonché al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che
si determina equitativamente in C 1500,00.

P.Q.M.
Dichiara inammissibile i ricorsi e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1500.00 alla Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il giorno 15 novembre 2016

L’estensore

Il Ptesidente

impugnata).

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