Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 49985 del 12/05/2015


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 49985 Anno 2015
Presidente: MANNINO SAVERIO FELICE
Relatore: GENTILI ANDREA

SENTENZA
Sul ricorso proposto da:

SCALLA Roberto, nato a Camerino (Mc) il 20 aprile 1966;

avverso la sentenza n. 1323 della Corte di appello di Ancona del 15 aprile 2014;

letti gli atti di causa, la sentenza impugnata e il ricorso introduttivo;

sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. Andrea GENTILI;

sentito il PM, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Alberto CARDINO,
il quale ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
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Data Udienza: 12/05/2015

RITENUTO IN FATTO
Adita dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Camerino, la
Corte di appello di Ancona in data 15 aprile 2014 ha integralmente riformato
la sentenza con la quale il Tribunale di Camerino, il precedente 31 maggio
2011, aveva mandato assolto, perché il fatto non è previsto dalla legge come
reato, Scalla Roberto, imputato del reato di cui all’art. 256, comma 2, del digs
n. 152 del 2006, per avere, nella qualità di responsabile dell’impianto dì cava

metri cubi di fanghi derivanti dalla chiarificazione delle acque utilizzate per il
lavaggio degli inerti, condannandolo, pertanto, alla pena di giustizia.
Diversamente da quanto ritenuto dal giudice di prime cure, la Corte di
appello ha ritenuto che i predetti fanghi costituissero rifiuto e che ad essi,
pertanto, non fosse applicabile la disciplina derogatoria contenuta nel dlgs n.
117 del 2008.
In particolare la Corte territoriale ha rilevato che il prodotto in questione,
essendo stato ottenuto attraverso la miscelazione di esso, onde favorire la
precipitazione dei fanghi, di sostanze flocculanti, non poteva considerarsi
derivante da una mera attività di lavaggio degli inerti ma era il prodotto di
una lavorazione conseguente alla reazione chimica innescata dalla
miscelazione con i flocculanti.
Ha proposto ricorso per cassazione, tramite il proprio difensore, lo Scalla
deducendo la violazione dì legge sia sotto il profilo della ritenuta inapplicabilità
alla fattispecie della particolare disciplina dettata dal richiamato dlgs n. 117
del 2008 per i rifiuti derivanti dallo sfruttamento delle cave, sia sotto quello
della immotivata esclusione della natura di sottoprodotto attribuibile ai fanghi
in questione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso, essendo risultati manifestamente infondati i motivi posti a
suo sostegno, deve essere dichiarato inammissibile.
Rileva la Corte che, diversamente da quanto parrebbe ritenere il
ricorrente, i fanghi derivanti dal lavaggio di inerti provenienti dalla
coltivazione di una cava non rientrano dal campo dì applicazione della
disciplina sui rifiuti solo quando essi rimangono entro il ciclo produttivo
dell’estrazione e della connessa pulitura, mentre nel caso in cui gli stessi
siano sottoposti ad una successiva e diversa attività di lavorazione, i
medesimi debbono essere considerati alla stregua di ordinari rifiuti,
sottoposti pertanto, alla disciplina generale circa il loro smaltimento,
ammasso deposito e discarica (Corte dì cassazione, Sezione III penale, 18
giugno 2013, n. 26405; idem Sezione III penale, 11 marzo 2009, n. 10711).
2

della ditta Cava Mancini Sas, realizzato un deposito incontrollato di circa 200

Nel caso in esame è pacifico che, al fine di ottenere una più rapida
chiarificazione delle acque di lavaggio degli inerti, il prevenuto, nella propria
qualità di responsabile della cava in uso dalla Società Mancini Cava Sas,
disponeva che esse fossero addizionate e miscelate con prodotti, cosiddetti
flocculanti, consistenti in reagenti chimici aventi la capacità di catalizzare il
processo di aggregazione dei materiali in sospensione e determinarne la
precipitazione nel fluido che li contiene, onde consentirne la più agevole e

E’ di tutta evidenza che un siffatto procedimento, esulando sia dalla
attività di estrazione e lavorazione degli inerti che dalla connessa loro
pulitura, non può ritenersi ricadente nell’ambito del ciclo produttivo della
cava, appartenendo, invece, ad una successiva fase volta al più agevole e
rapido smaltimento dei residui di lavorazione.
Deve, altresì, escludersi, così evidenziando la manifesta infondatezza
anche del secondo motivo di impugnazione, che il materiale fangoso
residuante all’esito della utilizzazione delle predette sostanze chimiche possa
essere qualificato come un sottoprodotto.
Rileva, infatti, il Collegio che la attribuzione della detta qualificazione
presuppone che il materiale che abbia siffatta natura origini da un processo
di produzione di cui sia parte integrante, sebbene non ne costituisca la
finalità, e che sia immediatamente destinato ad un altro uso legittimo, non
nocivo per la salute e l’ambiente, senza necessità di un ulteriore trattamento
(Corte di cassazione, Sezione III penale, 23 febbraio 2015, n. 7899), la cui
certezza ed effettività, e non la sola mera eventualità, debbono essere
oggetto di prova da parte del soggetto interessato a detta qualificazione
(Corte di cassazione Sezione III penale, 23 gennaio 2015, n. 3202).
Invero, nel caso in questione, non solo, come si è in precedenza
illustrato, è chiaramente risultato che i fanghi ammassati dallo Scalla erano il
frutto di una lavorazione a base di prodotti chimici delle acque di lavaggio
della cava in discorso, elemento che già di per sé, comportando l’esecuzione
di una ulteriore lavorazione dei residui della coltivazione della cava, esclude
che a questi possa essere attribuita la qualificazione di sottoprodotti, ma non
è neppure risultata – né tantomeno né è stata offerta la relativa prova da chi
vi era tenuto – l’esistenza concreta ed attuale di una successiva legittima
riutilizzazione degli stessi, elemento come visto indispensabile ai fini della
individuazione di un scarto di produzione come sottoprodotto, risultando,
viceversa i fanghi in questione essere stati definitivamente ammassati in
modo incontrollato e senza alcuna protezione sul terreno.

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rapida separazione fisica dal medesimo.

Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso segue la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1000
in favore della Cassa delle ammende
PQM
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1000,00 in favore della Cassa delle
ammende.

Il Consigliere estensore

Il Presi ente

Così deciso in Roma, il 12 maggio 2015

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