Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 49933 del 11/10/2013


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 49933 Anno 2013
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: MARINI LUIGI

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
RASHWAN AHMED FATHY SHOUKAL N. IL 08/04/1980
avverso la sentenza n. 617/2013 TRIBUNALE di MILANO, del
25/01/2013
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. LUIGI MARINI;

Data Udienza: 11/10/2013

Con sentenza in data 25/1/2013 del Tribunale di Milano al Sig. FtASHWAN AHMED FATHY
SHOUKAL è stata applicata la pena (condizionalmente sospesa quanto alla pena detentiva) di
1 anno e 8 mesi di reclusione e 630.000,00 euro di multa in relazione al reato previsto dagli
artt.110 cod. pen. e 291-bis, 291-ter del d.P.R. n.43 del 1973, commesso il 14/1/2013.
Avverso tale decisione è stato proposto ricorso col quale si lamenta la mancanza di
motivazione in ordine all’applicazione dell’art.129 cod. proc. pen. e alla estraneità dell’imputato
circa i fatti contestati.

I limiti che la giurisprudenza ha fissato circa l’interpretazione degli artt.129 e 444 cod. proc.
pen. e circa l’obbligo di motivazione del giudice sono costanti a far data dalla decisione delle
Sez.Un. Penali n.10732 del 27 settembre 1995, Serafino (rv 202270), secondo cui la motivazione può limitarsi a dare conto degli estremi del materiale probatorio dal cui esame il giudice
ha tratto la convinzione che non emergono gli estremi di non procedibilità ex art.129 cod. proc.
pen. così che in presenza dell’accordo delle parti non sono necessari ulteriori approfondimenti
(Sez.Unite Penali, sentenza n.3 del 1999, udienza 25 Novembre 1998, Messina, rv 212437).
A tali consolidati principi consegue che le parti che hanno sottoscritto e proposto l’accordo
sull’applicazione della pena accolto dal giudice non sono legittimate a mettere in discussione
con successiva impugnazione i presupposti dell’accordo medesimo (principio costantemente
affermato fin dalla sentenza della Sez.1, n.1549 del 1995, Sinfisi, rv 201160), con la
conseguenza che il controllo di legittimità in ordine alla sentenza di applicazione della pena può
avere ad oggetto la motivazione soltanto nel caso che dal provvedimento emerga l’evidenza
dell’esistenza di una delle condizioni indicate dall’art.129 c.p.p. (per tutte, sentenza della
Sez.3, Sezione n.2309 del 1999, Bonacchi, rv 215071) e che il ricorrente adempia all’onere di
fornire puntuale indicazione dell’errore compiuto dal giudicante. La non condivisione della
motivazione del Giudice delle indagini preliminari, che ha ritenuto le dichiarazioni rese
dall’imputato nella sostanza confessorie, non indica un palese errore ma solo una diversa
valutazione degli elementi di prova, non suscettibile di essere messa in discussione in questa
sede.
Sulla base delle considerazioni fin qui svolte il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con
conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell’art.616 c.p.p., di sostenere le spese del
procedimento.
Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data del 13 giugno 2000, n.186,
e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare
in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la
somma, determinata in via equitativa, di Euro 1.500,00 in favore della Cassa delle Ammende
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente
giudizio, nonché al versamento della somma di Euro‘00,00 alla Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 11/10/2011

D EITATA l

I motivi di ricorso sono manifestamente infondati e devono essere dichiarati inammissibili.

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