Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 49895 del 13/02/2013


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 49895 Anno 2013
Presidente: D’ISA CLAUDIO
Relatore: VITELLI CASELLA LUCA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
WASLATI AIMEN N. IL 12/12/1988
BATRI MOHAMED N. IL 11/01/1984
avverso la sentenza n. 2416/2011 GIP TRIBUNALE di PERUGIA, del
10/11/2011
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. LUCA VITELLI
CASELLA;

Data Udienza: 13/02/2013

n.79 ricorrenti BATRI MOHAMED – WASLATI AIMEN

Motivi della decisione

Gli imputati ricorrono personalmente per cassazione, con due distinti ricorsi
(d’identico contenuto), avverso la sentenza di cui in epigrafe emessa dal GIP
del Tribunale di Perugia ex art. 444 cod. proc. pen. sul presupposto della

artt. 110 cod. pen., 73, comma 1 – bis d.P.R. n. 309/1990, commesso in
Perugia il 19 marzo 2011.
I gravami sono manifestamente infondati.
Questa Corte ha ripetutamente affermato il principio secondo il quale l’obbligo
della motivazione della sentenza di patteggiamento non può non essere
conformato alla particolare natura giuridica della stessa: lo sviluppo delle linee
argomentative è necessariamente correlato all’esistenza dell’atto negoziale con
cui l’imputato dispensa l’accusa dall’onere di provare i fatti dedotti
nell’imputazione. Ciò implica, tra l’altro, che il giudizio negativo circa la
ricorrenza di una delle ipotesi di cui al richiamato art. 129 cod.proc.pen. deve
essere accompagnato da una specifica motivazione solo nel caso in cui dagli atti
o dalle deduzioni delle parti emergano concreti elementi circa la possibile
applicazione di cause di non punibilità, dovendo invece ritenersi sufficiente, in
caso contrario, una motivazione consistente nella enunciazione , anche implicita,
che è stata compiuta la verifica richiesta dalla legge e che non ricorrono le
condizioni per la pronunzia di proscioglimento ex art. 129 (S. U. 27 marzo 1992,
Di Benedetto ; S. U. 27 dicembre 1995, Serafino). Nel caso di specie il Giudice
di prime cure, sottolineando la correttezza della formulazione del capo di
imputazione e la congruità della pena, ha altresì escluso la ricorrenza di
qualsivoglia causa di proscioglimento degli imputati, a’ sensi dell’art. 129 cod.
proc. pen. come dimostrato dal contenuto dei verbali di arresto e di sequestro

riconosciuta responsabilità dei predetti in ordine al reato loro ascritto di cui agli

dello stupefacente nonché dall’esito dell’analisi dello stesso. Né questi possono
aver interesse a lamentare una siffatta motivazione censurandola come
insufficiente e sollecitandone una più analitica, dal momento che la statuizione
del giudice coincide esattamente con la volontà pattizia del giudicabile.
D’altra parte, attesa la natura pattizia del rito, chi chiede la pena pattuita
rinuncia ad avvalersi della facoltà di contestare l’accusa. Ne consegue, come
questa Corte ha più volte avuto modo di affermare, che l’imputato non può
prospettare con il ricorso per cassazione censure che coinvolgono il patto dal
medesimo accettato.

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I ricorsi sono quindi inammissibili. Segue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen.,
la condanna di ciascuno del ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento
e della somma di euro 1.500,00 a favore della cassa delle ammende, a titolo di
sanzione pecuniaria, trattandosi di causa di inammissibilità riconducibile alla
volontà, e quindi a colpa, degli stessi (cfr. Corte Costituzionale sent. n. 186 del
7 – 13 giugno 2000).

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti singolarmente al
pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di euro
1.500,00 a favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma,lì 13 febbraio 2013.

PQM

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