Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 4989 del 07/01/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 4989 Anno 2014
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: DELL’UTRI MARCO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
Rillo Fabio n. il 27.8.1982
avverso la sentenza n. 1499/2010 pronunciata dalla Corte d’appello
di Lecce il 20.12.2012;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita nell’udienza pubblica del 7.1.2014 la relazione fatta dal Cons.
dott. Marco Dell’Utri;
udito il Procuratore Generale, in persona del dott. A. Policastro, che
ha concluso per il rigetto del ricorso.

Data Udienza: 07/01/2014

I\

Ritenuto in fatto
i. – Con sentenza resa in data 20.12.2012, la corte d’appello di
Lecce ha integralmente confermato la sentenza in data 18.2.2010 con
la quale il tribunale di Brindisi ha condannato Fabio Rillo alla pena di
un anno di reclusione ed euro 103,00 di multa in relazione al reato di
furto con destrezza di un motociclo, dallo stesso commesso, in data
28.3.2006, ai danni di Luigi Cuppone che detto motociclo esponeva
in vendita per conto del proprietario.
Avverso la sentenza d’appello, a mezzo del proprio difensore,
ha proposto ricorso per cassazione l’imputato sulla base di due motivi
di impugnazione.
Con il primo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione di legge e vizio di motivazione, avendo la corte
territoriale erroneamente confermato la condanna del Rillo sulla base
di elementi di prova nel loro complesso del tutto insufficienti a giustificare l’accertamento della responsabilità penale dell’imputato oltre
ogni ragionevole dubbio, avuto riguardo alle incertezze dell’avvenuto
riconoscimento personale dell’imputato e della minata attendibilità
dei testimoni escussi nel corso del giudizio in relazione al relativo
personale interesse all’affermazione delle circostanze inerenti
l’esclusiva responsabilità del Rillo.
Con il secondo motivo, il ricorrente si duole della riconosciuta
sussistenza della circostanza aggravante della destrezza del furto contestato (di cui all’art. 625, n. 4, c.p.), atteso il mancato riscontro dei
presupposti in fatto indispensabili ai fini dell’integrazione
dell’aggravante in esame.
Considerato in diritto
2. – Il ricorso è infondato.
Con riguardo al primo motivo d’impugnazione, rileva il collegio come l’elaborazione del complesso degli elementi di prova critica
indicati dalla corte territoriale a fondamento della ritenuta responsabilità dell’imputato, in relazione alla furtiva sottrazione del motociclo,
risulti caratterizzata da innegabile coerenza logica e da una conseguente piena linearità argomentativa, avendo la corte d’appello coerentemente valorizzato le dichiarazioni rese dai testi Corallo e Tosi
della Questura di Brindisi (ch’ebbero a fermare due giovani, tali Leccese e Baglivo, sul motociclo rubato); le dichiarazioni di detti due gio-

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vani (concordi nel riferire le affermazioni dell’imputato, personalmente e direttamente apprese, circa l’appartenenza a sé della moto
rubata); la circostanza dell’avvenuto riconoscimento delle fattezze
dell’imputato da parte del teste Cuppone, al quale il motociclo fu direttamente sottratto dall’imputato.
In tema di prova critica, è peraltro appena il caso di richiamare
l’insegnamento delle sezioni unite di questa corte di legittimità, ai
sensi del quale l’apprezzamento unitario degli indizi per la verifica
della confluenza verso un’univocità indicativa che dia la certezza logica dell’esistenza del fatto da provare, costituisce un’operazione logica
che presuppone la previa valutazione di ciascun indizio singolarmente considerato, onde saggiarne la valenza qualitativa individuale. Acquisita la valenza indicativa (sia pure di portata possibilistica e non
univoca) di ciascun indizio deve allora passarsi al momento metodologico successivo dell’esame globale e unitario, attraverso il quale la
relativa ambiguità indicativa di ciascun elemento probatorio può risolversi, perché nella valutazione complessiva ciascun indizio si
somma e s’integra con gli altri, di tal che l’insieme può assumere quel
pregnante e univoco significato dimostrativo che consente di ritenere
conseguita la prova logica del fatto; prova logica che non costituisce
uno strumento meno qualificato rispetto alla prova diretta (o storica),
quando sia conseguita con la rigorosità metodologica che giustifica e
sostanzia il principio del cosiddetto libero convincimento del giudice
(cfr. Cass., Sez. Un., n. 6682/1992, Rv. 191230).
Sul punto, converrà inoltre ribadire, in coerenza al consolidato
insegnamento della giurisprudenza di legittimità, come il sindacato
demandato alla corte di cassazione sia necessariamente limitato – per
espressa volontà del legislatore – al riscontro dell’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata,
senza possibilità di verificare l’adeguatezza delle argomentazioni di
cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento. Esula, infatti, dai poteri della corte di cassazione quello di una
`rilettura’ degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione,
la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito,
senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione
di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (cfr. Cass., Sez. Un., n. 6402/1997, Rv. 207944, e
altre di conferma).

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In altri termini, una volta accertata la coerenza logica delle argomentazioni seguite dal giudice di merito, non è consentito alla corte di cassazione prendere in considerazione, sub specie di vizio motivazionale, la diversa valutazione delle risultanze processuali prospettata dal ricorrente sulla base del proprio differente soggettivo punto
di vista (Cass., Sez. 1, n. 6383/1997, Rv. 209787; Cass., Sez. 1, n.
1083/1998, Rv. 210019), sempre che sia da escludere con evidenza
(come nel caso di specie) la prospettazione di un ragionevole dubbio
circa l’effettivo raggiungimento dell’accertamento della responsabilità penale dell’imputato.
L’assenza di alcuna manifesta illogicità nella motivazione così
compendiata dalla corte territoriale induce pertanto a ritenere destituiti di alcun fondamento il motivo di doglianza sollevato
dall’imputato con riferimento all’ascrizione a suo carico del reato di
furto oggetto di giudizio.
Del pari priva di pregio deve ritenersi la doglianza avanzata dal
ricorrente con riguardo alla pretesa insussistenza dei presupposti per
il riconoscimento della circostanza aggravante della destrezza di cui
all’art. 625, n. 4, c.p., avendo la corte territoriale nella specie correttamente richiamato l’insegnamento della giurisprudenza di legittimità, ai sensi del quale, in tema di furto, deve ritenersi sussistente l’aggravante della destrezza quando l’agente approfitti di una condizione
contingentemente favorevole o di una frazione di tempo in cui la parte offesa ha momentaneamente sospesa la vigilanza sul bene perché
impegnata, nello stesso luogo di detenzione della cosa o in luogo immediatamente prossimo, a curare attività di vita o di lavoro (Cass.,
Sez. 6, n. 23108/2012, Rv. 252886), essendo incontestatamente emerso come, in occasione della fattispecie oggetto dell’odierno esame, l’odierno imputato, approfittando della temporanea distrazione
del detentore del motociclo durante l’esposizione del mezzo, ebbe repentinamente a impossessarsene, allontanandosi in fuga dal luogo
della sottrazione furtiva.
La motivazione così compendiata dalla corte territoriale deve
ritenersi completa ed esauriente, immune da vizi d’indole logica o
giuridica, come tale idonea a sottrarsi integralmente alle censure in
questa sede sollevate dall’odierno ricorrente.

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Per questi motivi
la Corte Suprema di Cassazione, rigetta il ricorso e condanna il
ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 7.1.2014.

3. — Al riscontro dell’infondatezza delle ragioni di doglianza
avanzate dal ricorrente segue il rigetto del ricorso e la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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