Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 49879 del 06/12/2013


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 49879 Anno 2013
Presidente: DI VIRGINIO ADOLFO
Relatore: APRILE ERCOLE

SENTENZA

sul ricorso presentato da
Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di appello di Firenze

nel procedimento nei confronti di
Leskaj Edmond, alias Hoxha Rakip, nato in Albania il 19/10/1974

avverso la sentenza del 12/07/2013 della Corte di appello di Firenze;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Ercole Aprile;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale
Gianluigi Pratola, che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio della
sentenza.
RITENUTO IN FArrco
E CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con la sentenza sopra indicata la Corte di appello di Firenze disponeva
procedersi alla consegna di Edmond Leskaj – tratto in arresto in Italia allo Stato

Data Udienza: 06/12/2013

di Albania in accoglimento della richiesta di estradizione per dare esecuzione alla
sentenza irrevocabile del 23/11/2009 con la quale la Corte di assise di Tirana
aveva condannato il prevenuto alla pena di anni venticinque di reclusione in
relazione ai reati di omicidio premeditato, partecipazione a banda armata, rapina
e detenzione illegale di armi.
Rilevava la Corte di appello come dovesse pronunciarsi su quella richiesta di
estradizione con sentenza, benché il Leskaj avesse dato il suo consenso,
trattandosi di soggetto arrestato in Italia e sottoposto alla misura della custodia

prevenuto nell’ambito del processo svoltosi, in sua assenza, dinanzi all’autorità
giudiziaria albanese.

2. Avverso tale sentenza ha presentato ricorso il Procuratore generale presso la
Corte di appello di Firenze il quale, formalmente con tre distinti punti, ha dedotto
i seguenti due motivi.
2.1. Violazione di legge, in relazione all’art. 708 cod. proc. pen., e difetto di
motivazione, per avere la Corte territoriale provveduto con sentenza sulla
richiesta di estradizione benché l’interessato avesse prestato il consenso alla sua
estradizione ed il Collegio si sarebbe dovuto, perciò, limitare a trasmettere il
relativo verbale al Ministro della giustizia, giusta la previsione dell’art. 202 disp.
att. cod. proc. pen.
2.2. Violazione di legge, in relazione agli artt. 704 e 708 cod. proc. pen., per
avere la Corte distrettuale erroneamente disposto la consegna dell’estradando
laddove si sarebbe dovuta limitare a riconoscere la sussistenza delle condizioni
per l’estradizione dell’interessato per l’estero, spettando al ministro della
giustizia ogni determinazione in ordine alla effettiva esecuzione della consegna.

3. Il primo motivo del ricorso è inammissibile per carenza di interesse.
E’ vero che, dal combinato degli artt. 701, comma 2, cod. proc. pen. e 202,
disp. att. cod. proc. pen., non si fa luogo al giudizio della Corte di appello sulla
richiesta di estradizione laddove l’interessato abbia prestato in udienza il suo
consenso all’estradizione medesima, dovendo, in siffatta ipotesi, essere
trasmesso al Ministero della giustizia esclusivamente il verbale di udienza, sicché
è evidente l’errore che, nella fattispecie, è stato commesso dalla Corte di appello
che ha deciso con sentenza sulla richiesta formulata nei riguardi del Leskaj
(essendo irrilevante il riferimento, contenuto nella motivazione del
provvedimento gravato, all’art. 717 cod. proc. pen., che attiene al differente
procedimento incidentale, per il quale è competente il Presidente della Corte,
conseguente all’applicazione di misure cautelari). E, tuttavia, si è trattato di una

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cautelare in carcere ed avendo dovuto verificare il rispetto dei diritti di difesa del

violazione di legge che si è tradotta in un ‘incremento’ di garanzie difensive in
favore dell’interessato, di talché è da escludere che il P.G. abbia un interesse
concreto alla rimozione della sentenza impugnata.
Costituisce ius receptum nella giurisprudenza di questa Corte il principio
secondo il quale nel sistema processuale penale la nozione di interesse ad
impugnare non può essere basata sul mero concetto di soccombenza – a
differenza delle impugnazioni civili che presuppongono un processo di tipo
contenzioso, quindi una lite intesa come conflitto di interessi contrapposti – e

piuttosto individuata in una prospettiva utilitaristica, ossia nella finalità negativa,
perseguita dal soggetto legittimato, di rimuovere una situazione di svantaggio
processuale derivante da una decisione giudiziale, e in quella, positiva, del
conseguimento di un’utilità, ossia di una decisione più vantaggiosa rispetto a
quella oggetto del gravame, e che risulti logicamente coerente con il sistema
normativo (così, di recente, Sez. U, n. 6624 del 27/10/2011, Marinaj, Rv.
251693). Dunque, l’interesse richiesto dall’art. 568, comma 4, cod. proc. pen.,
quale condizione di ammissibilità di qualsiasi impugnazione, deve essere
correlato agli effetti primari e diretti del provvedimento da impugnare e sussiste
soltanto se il gravame sia idoneo a costituire, attraverso l’eliminazione di un
provvedimento pregiudizievole, una situazione immediata più vantaggiosa per
l’impugnante rispetto a quella esistente (Sez. U, n. 42 del 13/12/1995, Rv.
203093; Sez. U, n. 10372 del 27/09/1995, Rv. 202269; Sez. U, n. 6563 del
16/03/1994, Rv. 197535).
E tale regola è valida anche per l’impugnazione del rappresentante della
pubblica accusa, atteso che non sussiste l’interesse richiesto dall’art. 568,
comma 4, cod. proc. pen. nel ricorso del P.M. volto ad ottenere solamente
l’esatta applicazione della legge, senza l’indicazione di come da tale rettificazione
possa derivare per l’impugnante un risultato praticamente e concretamente
favorevole (così, tra le molte, Sez. 5, n. 43983 del 15/07/2009, P.G. in proc.
D’Ingeo, Rv. 245100).

4. Anche alla luce di quanto esposto nel punto precedente, il secondo motivo
del ricorso del P.G. appare ammissibile e fondato, in quanto è pacifico che, a
norma degli artt. 704, comma 1, e 708 cod. proc. pen., la Corte di appello deve
limitarsi a verificare la sussistenza delle condizioni per l’accoglimento della
domanda di estradizione, spettando all’autorità governativa ogni determinazione
in merito all’effettivo accoglimento di quella domanda e alla conseguente
consegna dell’estradando. Ciò a differenza di quanto stabilito dalla legge n. 69
del 2005 che, con riferimento al differente sistema normativo del mandato di

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neppure identificarsi nel mero interesse al rispetto di una norma di legge, ma va

arresto europeo, ha sostituito il meccanismo estradizionale nei rapporti tra gli
Stati membri dell’Unione europea, prevede che a decidere sulla richiesta di
consegna sia l’autorità giudiziaria, senza alcuna ulteriore mediazione da parte del
Ministero della giustizia.
L’accertato erroneo dispositivo della sentenza gravata è, però, tale da non
giustificare l’annullamento della sentenza, bensì la mera rettificazione della
stessa a mente dell’art. 619 cod. proc. pen.

P.Q.M.

Rettifica la sentenza impugnata con la sostituzione, nel dispositivo, della frase
“Dispone procedersi alla consegna allo Stato di Albania” con quella “Dichiara
esistenti le condizioni per l’accoglimento della domanda di estradizione
presentata dalla Repubblica di Albania nei confronti”.
Rigetta nel resto il ricorso.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 203 disp. att. cod. proc.
pen.
Così deciso il 06/12/2013

Alla cancelleria vanno demandati gli adempimenti comunicativi di legge.

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