Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 49867 del 06/12/2013


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 49867 Anno 2013
Presidente: DI VIRGINIO ADOLFO
Relatore: APRILE ERCOLE

SENTENZA

sul ricorso presentato da
Errico Teodoro, nato a Brindisi il 04/07/1960

avverso la sentenza del 25/01/2013 della Corte di appello di Lecce;

visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Ercole Aprile;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale
Gianluigi Pratola, che ha concluso chiedendo l’inammisibilità del ricorso;
udito per l’imputato l’avv. Francesco Miraglia,in sostituzione dell’avv. Mauro
Masiello, che ha concluso chiedendo l’annullamento dell’impugnata sentenza.

RITENUTO IN FATTO
E CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con la sentenza sopra indicata la Corte di appello di Lecce confermava la
pronuncia di primo grado con la quale il Tribunale di Brindisi aveva condannato
alla pena di giustizia Teodoro Errico in relazione ai reati di cui agli artt. 393 cod.
pen. (capo A), così modificata l’originaria contestazione di rapina) e 56-610 cod.

Data Udienza: 06/12/2013

pen. (capo B), per essersi impossessato, in Brindisi il 01/02/2010, della somma
di 150 euro sottraendola a Giuseppe Marra, con violenza consistita nello sferrare
a questi un pugno, nonché per avere minacciato di morte lo stesso Marra,
compiendo così atti idonei e diretti in modo non equivoco a ottenere la
liberazione dell’immobile in precedenza datogli in locazione.
Rilevava la Corte come la colpevolezza dell’imputato fosse stata dimostrata
dalle attendibili dichiarazioni accusatorie rese dalla persona offesa; come i fatti
accertati avessero integrato gli estremi di entrambi i delitti considerati, in quanto

l’Errico, che aveva già beneficiato del riconoscimento delle attenuanti generiche,
non fosse meritevole della concessione dei richiesti benefici di legge.

2. Avverso tale sentenza ha presentato ricorso l’Errico, con atto sottoscritto dal
suo difensore avv. Mauro Masiello, il quale, pur articolandoli con un unico punto,
ha dedotto il vizio i motivazione, per mancanza e manifesta illogicità:
2.1. per avere la Corte di appello ingiustificatamente dato credito alla
narrazione della persona offesa Marra, soggetto scarsamente affidabile e con
problemi psichici, come pure dimostrato da una serie di emergenze processuali,
quale il lasso di tempo trascorso tra l’episodio e la denuncia presentata dalla
vittima e la fantomatica autoattribuzione del ruolo di regista cinematografico;
2.2. per avere la Corte territoriale erroneamente disatteso la richiesta difensiva
di ritenere il secondo reato, quello di minacce, assorbito in quello di esercizio
arbitrario delle proprie ragioni con violenza sulle persone;
2.3. per avere la Corte distrettuale rigettato l’istanza difensiva che era
finalizzata ad ottenere il riconoscimento delle già concesse circostanze attenuanti
generiche con giudizio di prevalenza, e non di mera equivalenza, sulla contestata
recidiva, anche considerato che i precedenti penali dell’imputato, che oggi svolge
una regolare attività lavorativa, sono lievi e lontani nel tempo.

3. Ritiene la Corte che il ricorso sia fondato, sia pure nei limiti di seguito
indicati.

3.1. Il primo motivo del ricorso è stato formulato per ragioni diverse da quelle
consentite dalla legge.
Il ricorrente, lungi dall’evidenziare reali lacune manifeste o incongruenze
capaci di disarticolare l’intero ragionamento probatorio adottato dai giudici di
merito, ha formulato censure che riguardano sostanzialmente la ricostruzione dei
fatti e che si risolvono in una diversa valutazione delle circostanze già valutate
dalla Corte di appello di Lecce: censure, come tali, non esaminabili dalla

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aventi ad oggetto condotte ontologicamente e finalisticamente diverse; e come

Cassazione, tenuto conto che il controllo in sede di legittimità preclude una
“incursione nei fatti”, avendo lo stesso lo scopo di permettere un controllo della
congruenza logica della motivazione della sentenza oggetto del ricorso.
Alla luce di tale principio, bisogna riconoscere come, nella fattispecie, con
motivazione completa e priva di vizi di logicità, i Giudici di merito abbiano dato
contezza degli elementi probatori sui quali si era fondata l’affermazione di
colpevolezza dell’Errico, rilevando come, a fronte della totale assenza di
documentazione atta a riscontrare le affermazioni difensive circa una notoria

lineare, genuina e non caratterizzata da toni di acrimonia, con spunti di sincerità
apprezzabili anche nella parte in cui lo stesso aveva riconosciuto di non aver
visto l’Errico nel mentre si stava appropriando della somma di denaro (importo
esattamente corrispondente a quello del canone di locazione che avrebbe dovuto
consegnare all’imputato) che egli aveva in casa e che, dopo l’irruenta visita del
padrone di casa, aveva notato essergli stata sottratta; e come le lamentate
discrasie nel racconto del Marra non erano affatto emerse durante l’esame
dibattimentale, non essendo state formulate contestazioni al teste a norma
dell’art. 500 cod. proc. pen. (v. pagg. 3-4 sent. impugn.).

3.2. Il secondo motivo del ricorso è, invece, fondato.
Premesso che, benché nella rubrica del capo B) siano stati indicati gli artt. 56 e
610 cod. pen., l’Errico è stato condannato per avere minacciato di morte il Marra
allo scopo di ottenere che questi lasciasse l’abitazione, dunque per il delitto di cui
all’art. 612 cod. pen., va ricordato come, per la pacifica giurisprudenza di questa
Corte, il reato di minaccia è assorbito interamente in quello di esercizio arbitrario
delle proprie ragioni con violenza alle persone, tanto da perdere la sua
autonomia e diventarne elemento costitutivo, tenuto conto che l’art. 393 cod.
pen. prevede che l’illecito in questione possa essere commesso indifferentemente
con violenza o minaccia alla persona (così, da ultimo, Sez. F, n. 34538 del
04/09/2012, Bennardi, Rv. 253429).
Il discorso sarebbe stato diverso se l’imputato fosse stato riconosciuto
colpevole di rapina, reato caratterizzato dalla presenza di elementi costitutivi
differenti: ma dal momento che il Giudice di primo grado aveva già derubricato il
contestato reato di rapina in quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, e
considerato che – come emerge dalla motivazione della sentenza gravata – la
condotta dell’Errico era stata tenuta in un unico contesto spaziale e temporale,
concretizzandosi tanto nella minaccia di morte quanto nel pugno sferrato alla
persona offesa, non vi è ragione per non ritenere la condotta ascritta all’imputato

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inattendibilità del Marra, la deposizione di questi fosse risultata credibile perché

con il capo d’imputazione B) interamente assorbita nella fattispecie di cui all’art.
393 cod. pen. riconosciuta con riferimento al capo d’imputazione A).
Tanto comportato l’annullamento senza rinvio della sentenza gravata con
l’eliminazione della pena stabilita per la continuazione con il reato sub capo B).

3.3. Manifestamente infondato è, infine, l’ultimo motivo del ricorso presentato
nell’interesse dell’Errico.
Il ricorrente pretende che in questa sede si proceda ad una rinnovata

potere discrezionale a lui concesso dall’ordinamento ai fini del riconoscimento
delle circostanze attenuanti generiche e del relativo giudizio di comparazione con
le aggravanti: esercizio che deve essere motivato nei soli limiti atti a far
emergere in misura sufficiente il pensiero del giudice in ordine all’adeguamento
della pena concreta alla gravità effettiva del reato ed alla personalità del reo.
Nella specie, del tutto legittimamente la Corte di merito ha ritenuto ostativo
all’accoglimento delle doglianze difensive il fatto che l’imputato risultasse già
gravato da altri precedenti penali, parametro considerato dall’art. 133 cod. pen.
e rilevante anche ai fini dell’applicazione dell’art. 62 bis cod. pen.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al reato di cui agli
artt. 56 e 610 cod. pen., che dichiara assorbito nel reato di cui all’art. 393 cod.
pen., ed elimina la relativa pena di mesi due di reclusione.
Rigetta nel resto il ricorso.
Così deciso il 06/12/2013

valutazione delle modalità mediante le quali il giudice di merito ha esercitato il

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