Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 4986 del 07/01/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 4986 Anno 2014
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: DELL’UTRI MARCO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
Novi Santolo n. il 15.11.1974
avverso la sentenza n. 936/2011 pronunciata dalla Corte d’appello di
Salerno il 4.10.2012;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita nell’udienza pubblica del 7.1.2014 la relazione fatta dal Cons.
dott. Marco Dell’Utri;
udito il Procuratore Generale, in persona del dott. A. Policastro, che
ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

Data Udienza: 07/01/2014

Ritenuto in fatto
1. – Con sentenza resa in data 11.12.2007, il giudice dell’udienza preliminare presso il tribunale di Nocera Inferiore ha condannato
Santolo Novi alle pene di giustizia (oltre al risarcimento dei danni in
favore della parte civile costituita) in relazione a due reati contravvenzionali concernenti la violazione di disposizioni per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, nonché in relazione al reato di omicidio
colposo commesso, in violazione della richiamata normativa antinfortunistica, ai danni di Lika Hider. Fatti commessi in Angri il
9.8.2006.
In particolare al Novi, in qualità di legale rappresentante della
ditta Tra Metal s.r.1., era stata contestata la violazione delle norme di
colpa specifica relative alla predisposizione di opere provvisionali
concernenti l’esecuzione di lavori a una quota superiore a oltre 2 metri dal suolo, in conseguenza delle quali la vittima, lavoratore impiegato presso la ditta dell’imputato, era precipitato al suolo trovando
così la morte.
Con sentenza in data 4.10.2012, la corte d’appello di Salerno,
dopo aver dichiarato non doversi procedere in ordine ai reati contravvenzionali contestati all’imputato, siccome estinti per prescrizione, ha confermato, nel resto, la sentenza di primo grado.
Avverso la sentenza d’appello, a mezzo del proprio difensore,
ha proposto ricorso per cassazione l’imputato censurando la sentenza
d’appello per aver omesso di rilevare l’erroneità della sentenza del
primo giudice nella parte in cui ha disposto l’ammissione della costituzione di parte civile, non avendo quest’ultima fornito in modo adeguato la prova del proprio rapporto di parentela con il lavoratore deceduto.
Sotto altro profilo, il ricorrente censura la sentenza impugnata
per aver dettato una motivazione incongrua in relazione alle doglianze avanzate dalla difesa circa la presenza delle misure di sicurezza
(funi di aggancio e cinture di sicurezza) rimaste inosservate da parte
del lavoratore deceduto: circostanza idonea a escludere la prova della
sussistenza di un nesso causale certo in ordine al rapporto tra le omissioni imputate al Novi e il decesso del lavoratore, atteso altresì
l’irriducibile contrasto di tale circostanza con le deposizioni rese dagli
altri lavoratori, richiamate dai giudici del merito a fondamento della
condanna pronunciata a carico dell’imputato.

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Considerato in diritto
2. – Il ricorso è infondato.
Dev’essere preliminarmente disattesa la doglianza avanzata
dal ricorrente in relazione alla pretesa mancata dimostrazione, ad
opera della parte civile costituita, del proprio rapporto di parentela
con la persona offesa, avendo la corte d’appello espressamente (e incontestatamente) rilevato come la ridetta parte civile altri non fosse
se non il figlio della moglie del lavoratore deceduto.
Ciò posto, deve ritenersi che la corte territoriale abbia correttamente riconosciuto la legittimazione della parte civile a costituirsi
in giudizio al fine di rivendicare il risarcimento dei danni sofferti per
effetto del decesso del marito della propria madre, in coerenza
all’insegnamento di questa corte di legittimità (che qui si condivide e
conferma, per la corretta applicazione dei principi giuridici da esso
richiamati) ai sensi del quale deve ritenersi legittima la costituzione
di parte civile nel processo penale di un soggetto non legato da rapporti di stretta parentela e non convivente con la vittima del reato
(nella specie figlio della moglie di quest’ultimo), al fine di ottenere il
risarcimento dei danni morali, considerato che la definitiva perdita di
un rapporto di affectio familiaris può comportare l’incisione dell’interesse all’integrità morale, ricollegabile all’art. 2 COSt., sub specie di
intangibilità della sfera degli affetti, la cui lesione comporta la riparazione ai sensi dell’art. 2059 c.c. (Cass., Sez. 4, n. 20231/2012, Rv.
252683).
Parimenti priva di pregio deve ritenersi la censura sollevata
dal ricorrente con riguardo alla pretesa incongruità della motivazione
relativa alle doglianze avanzate dalla difesa circa la presenza delle misure di sicurezza (funi di aggancio e cinture di sicurezza) rimaste inosservate da parte del lavoratore deceduto.
Sul punto, la corte territoriale ha dato atto degli accertamenti
condotti dagli ispettori della Asl, riscontrati dalle dichiarazioni rese
dagli altri lavoratori impegnati sul cantiere (in particolare, Xhetani
Alfred e Rosato Giovanni), secondo cui nessun esponente aziendale
aveva mai provveduto a informare i lavoratori sulle modalità d’uso
delle cinture di sicurezza fornite in dotazione, né erano state predisposte, nella specie, impalcature o ponteggi o altre opere provvisionali, obbligatorie per l’esecuzione dei lavori ad altezza superiore ai 2

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metri, al fine di proteggere il lavoratore in ogni momento della sua
attività, così scongiurando il pericolo di caduta dall’alto.
Sotto altro profilo, la corte d’appello ha evidenziato come le
stesse cinture di sicurezza rinvenute in loco non fossero in ogni caso
idonee a garantire la sicurezza del lavoratore, in quanto non conformi
a tutte le prescrizioni di legge che ne impongono il collegamento con
bretelle a fune di trattenuta e l’assicurazione a parti stabili delle opere
fisse, direttamente o mediante anello scorrevole.
Peraltro, con motivazione corretta sul piano logico e giuridico,
la corte territoriale ha evidenziato come l’imputato avesse nel caso di
specie comunque omesso di vigilare sull’osservanza, da parte del lavoratore, delle misure di sicurezza nella specie predisposte, trascurando di esigere l’utilizzo effettivo della cintura di sicurezza allo stesso consegnata.
In thema, la corte d’appello ha correttamente richiamato il
consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimità ai sensi
del quale il datore di lavoro è comunque costituito garante
dell’incolumità fisica e della salvaguardia della salute dei prestatori di
lavoro nel caso in cui il lavoratore trascuri l’uso delle protezioni predisposte a sua tutela, atteso che un comportamento anomalo del lavoratore può acquisire valore di causa sopravvenuta da sola sufficiente a cagionare l’evento (si dà escludere la responsabilità del datore di
lavoro) solo quando esso sia assolutamente estraneo al processo produttivo o alle mansioni attribuite, solo in tal caso risolvendosi in un
comportamento del tutto esorbitante e imprevedibile rispetto al lavoro posto in essere, logicamente avulso da ogni ipotizzabile intervento
e prevedibile scelta del lavoratore; risultato non collegabile al comportamento, ancorché avventato, disattento, imprudente, negligente
del lavoratore, posto in essere nel contesto dell’attività lavorativa
svolta, come tale in nessun caso eccezionale e imprevedibile (cfr., da
ultimo, Cass., Sez. 4, n. 37986/2012, Rv. 254365).
Nel caso di specie, entrambi i giudici del merito hanno escluso
che la condotta dell’infortunato avesse integrato alcunché di esorbitante o di imprevedibile, tale da poter rilevare i fini dell’interruzione
del nesso causale, in ogni caso essendosi svolta nel quadro dell’area
di rischio inerente l’attività in esecuzione (cfr. pag. 7 della sentenza
d’appello).

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3. – Al riscontro dell’infondatezza delle ragioni di doglianza
avanzate dal ricorrente segue il rigetto del ricorso e la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Per questi motivi
la Corte Suprema di Cassazione, rigetta il ricorso e condanna il
ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 7.1.2014.

La motivazione così compendiata dalla corte territoriale deve
ritenersi completa ed esauriente, immune da vizi d’indole logica o
giuridica, come tale idonea a sottrarsi integralmente alle censure in
questa sede sollevate dall’odierno ricorrente.

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