Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 49856 del 20/11/2013


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 49856 Anno 2013
Presidente: DI VIRGINIO ADOLFO
Relatore: GRAMENDOLA FRANCESCO PAOLO

Data Udienza: 20/11/2013

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CALECA GIOVANNI N. IL 12/10/1965
BARRALE SILVANA N. IL 07/04/1970
SALAMONE ANGELO N. IL 08/08/1967
avverso la sentenza n. 366/2009 CORTE APPELLO di PALERMO, del
03/10/2011
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 20/11/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. FRANCESCO PAOLO GRAMENDOLA
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. PUL RADche ha concluso per .À /k-ky.Atv (0.

Udito, per la rte civile, l’Avv

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Udit i difensor Avv. tfg.it ex)
GsP 14C

Lege

Osserva in:
FATTO E DIRITTO

Con sentenza in data 3/10/2011 la Corte di Appello di Palermo
confermava la decisione del G.U.P. in data 18/7/2008, che aveva
condannato Caleca Giovanni, Barrale Silvana e Salomone Angelo
alla pena di giustizia, siccome ritenuti colpevoli di falsa
testimonianza, perché senititi come testi dinanzi alla Corte di

all’omicidio di Riina Salvatore, all’udienza del 18/2/2005,
riferivano contrariamente al vero che la sera del 20/6/1998, in
cui era stato commesso l’omicidio, Vitale Giuseppa e il marito
Caleca Angelo si erano recati presso la Pizzeria Mirage e si
erano ivi trattenuti per tutta la serata, andando via verso le
ore 1,15-1,30 circa.

In motivazione la corte distrettuale condivideva la ricostruzione
della vicenda operata in prime cure e i rilievi e le
argomentazioni del giudice di primo grado a conferma del giudizio
di colpevolezza, valorizzando le dichiarazioni della Vitale
Giuseppa, responsabile dell’azione omicidiaria insieme con altri,
divenuta nelle more collaborante, che smentivano quanto
dichiarato dai testi, ritenute altamente attendibili, siccome
confermate dal di lei marito Caleca Angelo, fratello
dell’imputato Caleca Giovanni e da una perizia tecnica, che aveva
accertato che le telefonate fatte da costei al cellulare durante
la serata del 20/6/1998 non potevano provenire dalla Pizzeria, ma
dall’abitazione, ove la stessa si era recata insieme con il
marito per dare corso al piano delittuoso.

Contro tale decisione ricorrono gli imputati con tre distinti
atti a mezzo del comune difensore, il quale denuncia nell’unico
motivo a sostegno della richiesta di annullamento il vizio di
Motivazione e la mancata assunzione di prova decisiva, censurando
l’error in iudicando nel giudice del gravame nell’ignorare che

2

Appello di Palermo nel processo che si celebrava in ordine

gli imputati avevano dichiarato che la Vitale non si era
allontanata dalla Pizzeria, non essendosi accorti che costei per
circa una mezzora, giusto il tempo di recarsi presso la propria
abitazione per consegnare l’arma del delitto al complice Seidita,
dalla Pizzeria per poi farvi ritorno e nell’omettere di
considerare che la Vitale nelle sue dichiarazioni auto ed eteroaccusatorie non aveva mai fatto riferimento ad un piano ordito
con gli imputati al fine di costituire un valido alibi in suo
favore e nel disattendere la richiesta di rinnovazione del
dibattimento per escutere la collaborante su tale punto.

I ricorsi sono inammissibili,
Le censure proposte esulano dai casi di ricorso, disciplinati
dall’art.606/1 cpp., profilandosi come doglianze non consentite
ai sensi del comma terzo cit.art., volte, come esse appaiono, a
introdurre, come “thema decidendum” una rivisitazione del
“merituma causae”, preclusa, come tale, in sede di scrutinio di
legittimità.
In realtà nel caso in esame la corte distrettuale ha dato conto
con puntuale e adeguato apparato argomentativo, di cui in
precedenza si è fatto cenno, delle ragioni della conferma del
giudizio di colpevolezza, esponendo analiticamente gli elementi e
le circostanze di fatto convergenti e rilevanti a tal fine, non
scalfite dalle considerazioni esposte nei motivi di ricorso, le
stesse già apprezzate e respinte dal giudice del gravame. La
circostanza che la Vitale si sia voluta procurare un alibi,
recandosi in pizzeria con l’intento di allontanarsi di nascosto,
il tempo necessario per adempiere al suo ruolo attivo nella
vicenda omicidiaria, non scagionava i testi, attuali imputati, i
quali, anziché negare decisamente il vero, ben avrebbero potuto
dichiarare di non ricordare, in tal modo dando prova evidente
della difformità tra quanto deposto e guanto effettivamente era a
loro conoscenza.

3

%

Segue alla declaratoria di inammissibilità la condanna dei
ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno al
versamento in favore della cassa delle ammende della somma,
ritenuta di giustizia ex art.616 cpp, di C 1.000,00.

P.

Q.

M.

pagamento delle spese processuali e ciascuno della somma di E
1.000,00 in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma 20/11/2013
Il

siglier est.

residente

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al

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