Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 49855 del 20/11/2013
Penale Sent. Sez. 6 Num. 49855 Anno 2013
Presidente: DI VIRGINIO ADOLFO
Relatore: GRAMENDOLA FRANCESCO PAOLO
Data Udienza: 20/11/2013
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
FILIPPI STEFANIA N. IL 05/07/1965
avverso la sentenza n. 1625/2011 CORTE APPELLO di VENEZIA, del
26/03/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 20/11/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. FRANCESCO PAOLO GRAMENDOLA
RgLem.
Udito il Procuratore Generale in e sona del ppm.
che ha concluso per A’
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Udito, per la part civile, l’Avv
Uditi difensor Avv. 5 , kitup
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i 'Osserva in:
FATTO E DIRITTO Con sentenza in data 17/12/2010 il G.U.P. del Tribunale di
Treviso dichiarava Filippi Stefania colpevole del reato ex
art.380/2 cp e la condannava alla pena di giustizia. Il processo scaturiva da una denuncia di Oancea Costel, che reclusione si doleva che, nonostante avesse proceduto alla nomina
dell'avv.Stefania Filippi per la proposizione dell'appello e
avesse ricevuto in carcere la visita del sostituto della
predetta, la quale gli aveva confermato l'accettazione
dell'incarico, e nonostante le assicurazioni ricevute dal suo
tutore Campagnolo Pio, aveva ricevuto in data 9/10/2008 la
notifica dell'avviso di irrevocabilità della condanna, segno
evidente che il nuovo difensore aveva lasciato decorrere i
termini dell'impugnazione omettendo di proporre appello e in tal
modo venendo meno ai suoi doveri professionali. A sostegno del giudizio di responsabilità il primo giudice
valorizzava la denuncia e le conferme provenienti dalle
dichiarazioni del Campagnolo e del sostituto avv.Gemin Alessandra, A seguito di gravame dell'imputata la Corte di appello di Venezia
con la sentenza indicata in epigrafe, in riforma della sentenza
di primo grado, assolveva perché il fatto non costituisce reato
l'imputata, ritenendo che non fosse stata raggiunta la prova che
i fatti si fossero svolti nei sensi indicati nella denuncia,
giacché la nomina, benché certificata nel registro del carcere,
non era mai pervenuta all'autorità giudiziaria e l'avv Gemin non
aveva affatto assicurato l'Oancea dell'assunzione della difesa da
parte del legale, ma si era limitata a consigliare l'imputato di
incaricare il citato Campagnolo a fornire al legale gli elementi
necessari per proporre impugnazione; osservava infine che in ogni 2 detenuto per espiazione di una pena di anni 15 e mesi 4 di caso era deprecabile la condotta del legale, che, avendo ricevuto
la nomina, ed essendosi esposta al punto da inviare la collega al
colloquio con l'imputato e avendo per di più ricevuto anche un
fondo spese, sia pure attribuibile ad un diverso procedimento,
non aveva poi prestato la massima diligenza nel seguire il suo
assistito. Mancava, ad avviso del giudice del gravame, in
definitiva la prova della piena consapevolezza di danneggiare il
cliente in assenza peraltro di un plausibile movente. Ricorre l'imputata contro tale decisione a mezzo del suo
difensore, il quale nell'unico motivo a sostegno della richiesta
di annullamento denuncia il vizio di motivazione, censurando la
illogicità della motivazione sia nella parte in cui, pur avendo
escluso la prova della ricezione della nomina da parte
dell'autorità procedente, requisito questo indispensabile al fine
di impegnare l'avvocato nell'esercizio del suo incarico, non
aveva poi dato atto del venir meno dell'elemento oggettivo del
reato e assolvere l'imputato perché il fatto non sussiste, sia
nella parte in cui si dubitava della buona fede della ricorrente,
nonostante la prova che l'anticipo versato dall'Oancea si
riferisse ad un diverso procedimento e che alla data del 3/7
l'avv. Filippi avesse già comunicato all'Oancea e al Campagnolo
che non intendeva accettare l'incarico. Il ricorso è inammissibile per mancanza di interesse.
Osserva il collegio che la facoltà di attivare i procedimenti di
gravame non è assoluta e indiscriminata, ma è subordinata alla
presenza di una situazione, in forza della quale il provvedimento
del giudice risulti idoneo a produrre la lesione della sfera
giuridica dell'impugnazione e l'eliminazione o la riforma della
decisione renda possibile il conseguimento di un risultato
vantaggioso. Di conseguenza la legge processuale non ammette
l'esercizio del diritto di impugnazione, avente di mira la sola
esattezza teorica della decisione, senza che alla posizione
giuridica del soggetto derivi alcun risultato pratico favorevole, 3 >
nel senso che miri a sollecitare una posizione giuridicamente
rilevante e non un mero interesse di fatto.
Nel casso in esame è pur vero che la lettura della sentenza
impugnata rileva una palese incoerenza della decisone assolutoria
con la motivazione, laddove pur escludendo la prova dell’elemento
oggettivo del reato, assolve l’imputata ritenendo carente il
profilo psicologico, ma proprio per questo è escluso ogni teorico
Gli artt.652 e 654 cpp. attribuiscono efficacia vincolante nel
giudizio civile o amministrativo alla sentenza penale di
assoluzione pronunciata a seguito di dibattimento, ma compete pur
sempre al giudice civile il potere di accertare autonomamente con
pienezza di cognizione i fatti dedotti in giudizio e di pervenire
a soluzioni e qualificazioni non vincolate all’esito del processo
penale (Cass.Civ.3/4/1999 n.3268 CED 524937; 9/10/2000 n.13425;
16/7/02 n.10287).
Alla stregua di tale regola di diritto la ricorrente potrà
svolgere ogni opportuna difesa nella eventuale sede
amministrativa o disciplinare, allegando la motivazione della
sentenza impugnata al fine di far valere la sua posizione.
Segue alla declaratoria di inammissibilità la condanna della
ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento
in favore della cassa delle ammende della somma, ritenuta di
giustizia ex art.616 cpp, di C 500,00.
P.
Q.
M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al
pagamento delle spese processuali e della somma di C 500,00 in
favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma 20/11/2013
esidente
pregiudizio all’imputata.