Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 4985 del 07/01/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 4985 Anno 2014
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: BLAIOTTA ROCCO MARCO

Data Udienza: 07/01/2014

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PEDULLA’ SERGIO N. IL 07/04/1963
PINTO TOMMASO N. IL 03/03/1948
avverso la sentenza n. 959/2010 CORTE APPELLO di REGGIO
CALABRIA, del 19/10/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 07/01/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ROCCO MARCO BLAIOTTA
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
Ce. S
che ha concluso per

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Udito, per la parte civileAAvv. t,e_._
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Pedullà e Pinto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.A seguito di giudizio abbreviato, il Tribunale di Palmi ha affermato la responsabilità

ha altresì condannati al risarcimento del danno nei confronti delle parti civili. La sentenza è
stata parzialmente riformata dalla Corte d’appello di Reggio Calabria che ha ridotto le pene.
Secondo quanto ritenuto dei giudici di merito, la paziente Scibilia che si trovava nel
terzo mese di gravidanza ed era assistita dal ginecologo dott. Pedullà manifestò malessere che
comunicò telefonicamente al sanitario ricevendo rassicurazioni. Il giorno 25 febbraio ebbe
luogo una visita cui seguirono gli esami ematologici e delle urine, che evidenziarono un valore
del glucosio molto superiore a quello normale. Il medico diede ulteriori rassicurazioni ma il
malessere, costituito da nausea e vomito, non cessò, sicché il terapeuta, il giorno seguente,
dispose il ricovero nella clinica privata nella quale prestava servizio. Il successivo 27 febbraio
furono eseguiti vari esami e fu ripetuta l’analisi del sangue che evidenziò valori della glicemia e
della glicosuria elevatissimi. Tali dati si coniugavano non con una sintomatologia marcata,
come sete, richiesta di bevande zuccherate e bisogno di urinare. Il Pedullà, anche in tale
contesto, diede assicurazioni. Sebbene la condizione della donna peggiorasse i diversi medici
che si alternarono tennero un atteggiamento noncurante. Il successivo 2 marzo la condizione
della paziente divenne drammatica, iniziò a delirare, entrò in stato comatoso e il test glicemico
indicò un valore altissimo. Fu disposto l’immediato ricovero presso l’ospedale di Polistena. Qui
fu immediatamente diagnosticato coma diabetico. Il giorno seguente la giovane donna venne
meno dopo aver perso spontaneamente il feto. Dall’indagine peritale è emerso che la morte è
stata determinata da disfunzione multisistemica da scompenso metabolico in soggetto in corna
dovuto a diabete gestionale del primo trimestre.
Alla stregua di tali acquisizioni è stata ritenuta la responsabilità colposa degli imputati
per non aver diagnosticato una patologia facilmente individuabile, omettendo così i trattamenti
medici necessari che sicuramente l’avrebbe salvata.
Ricorrono per cassazione gli imputati.

2. Pedullà propone due motivi.

2.1 Con il primo si censura la pronunzia per ciò che attiene al diniego delle attenuante
di cui all’art. 62 n. 6 cod. pen. Si espone che l’imputato ha versato nell’immediatezza dei fatti
la consistente somma di 500.000 euro in favore degli eredi della vittima. La Corte territoriale

degli imputati in epigrafe in ordine al reato di omicidio colposo in danno di Angela Scibilia; e li

ha escluso che tale offerta reale potesse essere ritenuta ristoratrice del danno, da intendersi
nel senso civilistico, considerata la non congruità della somma.
Senza alcuna motivazione la stessa Corte ha ritenuto sprovvista di prova l’altra opzione
prevista dalla norma richiamata, afferente al fatto di essersi adoperato spontaneamente ed
efficacemente per elidere o attenuare le conseguenze dannose del reato. Si è trascurato che il
ricorrente si è subito attivato per attenuare, per quanto possibile, le immediate conseguenze
derivanti dall’evento corrispondendo la somma indicata; ed ha altresì sollecitato le
assicurazioni a tal fine coinvolte. Tale comportamento appare finalizzato alle attenuazione delle

concessione della circostanza di cui si discute, essendosi sicuramente in presenza di persone
non connotata da capacità criminale.
2.2 Con il secondo motivo si deduce che erroneamente ed illogicamente sono state
negate le attenuanti generiche. La Corte ha posto enunciazioni di carattere negativo, che
tuttavia hanno portata generale e non sono focalizzate sulle peculiarità che caratterizzano
l’imputato ricorrente, determinando un appiattimento delle posizioni. Sono stati trascurati dati
di marcato positivo rilievo, come la immediata ammissione delle proprie responsabilità,
l’attingimento ai propri risparmi di una vita per sovvenire alle esigenze dei congiunti della
vittima, la sospensione del rapporto di lavoro con la struttura sanitaria nella quale avvennero i
fatti, quale esito di persistente stravolgimento emotivo, infine l’incensuratezza, oltre alla
parziale riparazione del danno. A fronte di tali significativi elementi di giudizio da prendere in
esame, la pronunzia viene ritenuta logicamente criticabile e non conforme alla portata della
disciplina legale.

3. Pinto propone, tramite i difensori, due ricorsi.
Il ricorso dell’avv. Scrivano propone diversi motivi.
3.1 Con il primo motivo si denunzia la mancata corrispondenza tra la contestazione ed il
fatto ritenuto ai fini dell’affermazione di responsabilità. In imputazione si fa riferimento a
condotta omissiva consistita nell’aver trascurato qualsiasi forma di controllo o di esame della
cartella clinica e qualsiasi tipo di visita nei confronti della paziente, mentre l’affermazione di
responsabilità è stata fondata su una distinta condotta di tipo commissivo, caratterizzata da
negligenza ed imperizia consistita nell’avere più volte visitato la paziente in maniera così
superficiale ed imperita da non avvedersi delle sue reali condizioni cliniche. Erroneamente la
corte di merito ha dilatato oltre misura la portata letterale dell’imputazione pervenendo così a
ritenere l’identità del fatto.
3.2 Con il secondo motivo si censura la pronunzia per ciò che attiene all’attribuzione
all’imputato di dichiarazioni sostanzialmente confessorie. La Corte d’appello ha apprezzato solo
parzialmente il contenuto dell’interrogatorio del ricorrente, estrapolandone poche frasi che
sono state frammentariamente valutate in modo avulso dall’apparato complessivo. Alcune delle

immediate sofferenze degli aventi causa e può dunque costituire ragione giustificatrice della

frasi riportate in sentenza sono state in realtà pronunziate dal giudice. Dal tenore complessivo
dell’interrogatorio emerge che il Pinto ha costantemente ribadito di non ricordare la paziente e
di averla vista e non visitata una sola volta durante i pochi giorni nei quali fu di turno in clinica.
Pertanto l’attribuzione all’imputato della presenza in reparto nei giorni 27, 28 e 29 febbraio è
erronea, giacché emerge che il ricorrente fu pressoché continuamente impegnato in sala
operatoria. Nè conforto alla tesi accusatoria perviene dalle testimoni indicate in sentenza, che
mai hanno fatto riferimento nominativo all’imputato.
3.3 Il terzo motivo deduce violazione di legge e vizio della motivazione in relazione al
pubblico ministero che compie una valutazione di carattere generale senza mettere a fuoco le
singole posizioni. Si è in particolare trascurato che l’imputato cessò il servizio intorno alle 13
del giorno 29 febbraio per un periodo di ferie, rientrando in servizio dopo che la vicenda
sanitaria si era tragicamente conclusa. I consulenti di parte hanno dimostrato che in tale
momento il quadro clinico della paziente non deponeva pacificamente per la patologia che
successivamente ne ha determinata la morte; e comunque al 29 febbraio le condizioni della
donna erano non gravi e perfettamente reversibili. Tale valutazione degli esperti di parte non
sono state minimamente prese in esame né dal tribunale né dal giudice d’appello che, in
particolare, con insanabile deficit motivazionale ha affermato che la consulenza tecnica
disposta dal pubblico ministero non risulta contraddetta da alcuno.
3.4 II quarto motivo attiene al diniego delle attenuanti generiche. Si lamenta che il
giudice di merito si è basato su valutazioni altamente negative in ordine al comportamento
terapeutico dei sanitari che sono tuttavia generiche e non focalizzate sui singoli agenti. In
particolare, per ciò che riguarda il ricorrente, non si è considerato che egli ebbe un ruolo
limitato nei fatti e lasciò la clinica in un’epoca in cui la condizione della paziente non era ancora
degenerata. Si è pure trascurato che il Pinto in quel periodo era coinvolto in numerose
urgenze sanitarie, tutte felicemente fronteggiate nella sua qualità di primario e con attività
tenuta prevalentemente in sala operatoria. Si è pure trascurato di valutare la personalità
dell’imputato, ultrasessantacinquenne, assolutamente incensurato, autore di innumerevoli
interventi chirurgici. È stata infine omessa la considerazione del favorevole comportamento
processuale, visto che la responsabilità è stata basata su dichiarazioni sostanzialmente
confessorie.
3.5 II quinto motivo attiene al diniego delle circostanze di cui all’art. 62 n. 6 cod. pen..
Nel giudizio di secondo grado è stata prodotta copia di quietanza di versamenti per complessivi
800.000 euro da parte delle società assicuratrici obbligate al risarcimento; e si è pure
trascurato il comportamento tenuto volontaristicamente dal ricorrente dopo il fatto.
4. L’altro difensore di Pinto propone a sua volta diversi motivi.

ritenuto rapporto causale. Il giudizio si basa sulla consulenza dell’esperto nominato dal

4.1 Con il primo motivo si lamenta che i giudici di merito hanno omesso di valutare la
vicenda alla luce del principio di affidamento ripetutamente affermato sia in giurisprudenza che
in dottrina. Alla luce di tale principio erroneamente il ricorrente è stato ritenuto responsabile
delle inadempienze ed omissioni poste in essere dai colleghi, basandosi solo sul suo ruolo
apicale all’interno della struttura sanitaria. La pronunzia è contraddittoria in quanto si afferma
che il sanitario non ha visitato la paziente per sottostima della patologia e che egli non può
richiamarsi al principio di affidamento perché versava in una situazione di colpa avendo
confidato che altro collega subentrato nella posizione di garanzia ponesse rimedio alle

4.2 Altro motivo attiene al nesso causale. Si evocano i principi in materia e si lamenta
che non si è tenuto conto della causa alternativa prospettata dalla difesa, connessa alla
somministrazione di un farmaco denominato Largactil. A fronte di tali deduzioni difensive,
senza ragione si è rifiutata la riapertura dell’istruttoria dibattimentale per il conferimento di un
nuovo, necessario incarico peritale.
4.3 Ulteriore censura attiene alle deposizioni testimoniali valorizzate dalle pronunzie di
merito in ordine all’attività svolta dall’imputato, trascurando che nessuna delle testi ha mai
fatto chiaro ed espresso riferimento al nominativo del dr. Pinto. In sostanza, non risultano
comportamenti realmente omissivi e la causalità non è dimostrata oltre il ragionevole dubbio,
anche con riguardo alla ricostruzione alternativa in ordine all’evento cui si è fatto prima cenno.
4.4 Distinto motivo censura il diniego delle attenuanti generiche. Si è trascurato che
l’imputato ha tenuto un corretto comportamento processuale.
4.5 Si lamenta infine il diniego della circostanza attenuante di cui all’art. 62 n. 6 cod.
pen. La Corte territoriale ha completamente trascurato un dato fattuale di notevole importanza
costituito dall’avvenuto risarcimento del danno e cioè dal pagamento di una cospicua somma ai
familiari della vittima da parte delle società assicuratrice, risarcimento di cui si è data prova
documentale. Tale somma è da ritenersi sicuramente congrua e costituisce l’epilogo di una
complessa procedura liquidativa che l’imputato ha fattivamente e direttamente seguito e
determinato proprio per elidere o attenuare le conseguenze del reato. D’altra parte, il
comportamento riparatorio, come ritenuto dalla giurisprudenza di legittimità, può anche
concretarsi nell’aver stipulato un’assicurazione per salvaguardare la copertura dei danni
derivanti dall’attività pericolosa.

5. I ricorsi sono infondati.
Le pronunzie di merito esprimono un giudizio altamente negativo nei confronti del
Pedullà evidenziandone la totale assenza di perizia e prudenza.
Analogo addebito viene mosso nei confronti del Dott. Pinto, responsabile della struttura
sanitaria in questione, sia per aver omesso la doverosa supervisione del caso clinico in esame,
sia per aver mancato ai suoi doveri professionali nel corso dei suoi turni di servizio nei giorni
27 28 e 29 febbraio.

precedenti omissioni.

A proposito di tale ultimo imputato, rispondendo alle deduzioni, difensive la Corte di
merito afferma che il sanitario nel corso dell’interrogatorio ha confermato di aver effettuato
turni di servizio nelle mattinate del 27 28 e 29 febbraio. Tali dichiarazioni costituiscono un
riscontro a quanto dichiarato da diversi testimoni i quali, pur non facendo il nome del medico,
hanno fatto riferimento al sanitario presente al giro delle visite. In sostanza, da tali deposizioni
emerge che l’imputato ha visto la paziente, è entrato in relazione con costei ma non ha
ritenuto di sottoporla a visita approfondita o comunque a valutarne il quadro diagnostico. È lo
stesso medico ad ammettere di non aver visionato la cartella clinica. Dunque, non è vero che il

per una sua scelta professionale dovuta alla evidente sottostima della sintomatologia riferita
dal paziente. In tale situazione la Corte d’appello ritiene che non vi sia stata alcuna irregolarità
nella contestazione che fa riferimento alla mancanza di controllo della paziente e di esame
della cartella clinica; e che perfettamente corrispondente ai fatti come accertati dal primo
giudice.
Tali valutazioni si coniugano con quelle, severe, espresse dal primo giudice a proposito
del non corretto esercizio del ruolo apicale da parte del Pinto, per ciò che attiene
all’organizzazione del reparto di ostetricia e ginecologia. La Cartella clinica ed i rilievi
anamnestici furono istituiti solo il 2 marzo, quando la situazione era precipitata. Prima di allora
nessuna annotazione, nessuna documentazione che potesse servire per orientare l’attività
terapeutica. Il reparto non costituiva di fatto una compagine di sanitari ma il luogo di
copresenza di medici che erano delle monadi; senza, quindi che avvenisse alcun consulto o si
esplicasse alcuna cooperazione. Questo, secondo il Tribunale, spiega il fatto che la paziente sia
stata lasciata in balia delle cure inappropriate del Pedullà, mentre gli altri sanitari ed il primario
in particolare si disinteressarono del caso.
Quanto al nesso eziologico la Corte considera che già all’esito degli accertamenti
effettuati il 27 febbraio i medici erano in possesso di tutti gli elementi di giudizio che
consentivano il corretto inquadramento diagnostico e conseguentemente terapeutico del
diabete gestazionale da cui la paziente era affetta. Il caso era di modesta difficoltà
interpretativa, richiedeva una qualificazione scientifica minima, sono stati esclusi altri fattori
che potessero influire in qualche misura sul determinismo causale, la terapia appropriata era
agevole ed efficiente ed avrebbe assicurato la certa sopravvivenza della gestante. La diagnosi
in questione sarebbe stata possibile anche semplicemente attraverso un colloquio con la
paziente, che avrebbe consentito di cogliere sintomi non equivoci come il senso di sete e la
ricorrente diuresi.
Quanto alla posizione del Pinto, la circostanza che gli sia stato assente dal servizio a
decorrere dal giorno 29 febbraio viene ritenuta priva di rilievo. La sintomatologia era presente
già all’inizio del ricovero e qualunque comportamento terapeutico appropriato avrebbe
consentito la diagnosi e la terapia appropriata; sicché pure la condotta di tale sanitario rileva
sotto ogni punto di vista.

ricorrente non ha materialmente visto la paziente: egli non la ha esaminata approfonditamente

La chiarezza del quadro clinico, d’altra parte, esclude la necessità di riapertura
dell’istruttoria dibattimentale per il conferimento di un incarico peritale, essendosi in presenza
di valutazioni esaustive e non contraddette. La stessa causa alternativa adombrata dalla
difesa, costituita dalla somministrazione di un farmaco denominato Largactil non risulta munita
di alcun appiglio scientifico. E sarebbe comunque un dato irrilevante posto che tale farmaco è
stato somministrato solo 2 marzo, cioè quando la situazione era ormai precipitata e
l’innalzamento dei valori del gruppo era giunto ad oltre 1600.
La Corte d’appello ritiene pure prive di pregio le deduzioni che invocano il principio di
responsabilità confidando che altri provveda a correggere il proprio errore. Pertanto la
circostanza che la paziente fosse affidata al dottor Pedullà non esonerava il dr. Pinto dal
prendersene a sua volta cura soprattutto in considerazione del fatto che egli, nella qualità di
primario, aveva avuto modo, durante il giro delle visite, di prendere cognizione del suo stato
di salute e di agire di conseguenza.
Quanto al trattamento sanzionatorio, la Corte territoriale considera in primo luogo che
non vi sono i presupposti per la concessione delle attenuanti generiche alla luce della condotta
tenuta durante il ricovero della paziente, il disinteresse manifestato in quel frangente, la
presunzione palesata di fronte ai dati riferiti, il mancato ascolto e la sottovalutazione dei
sintomi, lo spregio manifestato all’indirizzo dei familiari che sollecitavano l’intervento dei
terapeuti. La condotta in questione viene valutata in termini assolutamente negativi proprio
perché posta in essere da professioni che erano tenuti a rapportarsi alla paziente con
particolare benevolenza.
E’ pure esclusa la possibilità di concedere l’attenuante del risarcimento del danno. Il
primo giudice ha correttamente individuato le distinte due situazioni evocate dall’art. 62 n. 6
cod. pen. e cioè l’integrale riparazione del danno mediante il suo risarcimento o l’essersi
adoperato spontaneamente ed efficacemente per elidere o attenuarne le conseguenze dannose
del reato. Per quel che concerne l’offerta reale di 500.000 euro da parte del dottor Pedullà, si
ritiene che essa non sia stata satisfattiva considerato che l’evento riguarda una donna di soli
24 anni che portava in grembo il figlio e che ha lasciato marito e prossimi congiunti.
Parimenti sprovvista di prova è l’altra opzione, posto che il giudice di prime cure dà atto
della circostanza che vi sono state varie riunioni tra le parti, che non hanno sortito alcun
effetto tanto che all’atto della pronunzia della sentenza d’appello l’integrare risarcimento nei
confronti delle parti civili non è stato corrisposto. E tuttavia la pena inflitta dal primo giudice è
stata ritenuta eccessiva ed è stata conseguentemente ridotta.
6. Tale complessa, articolata, puntuale e razionale giustificazione della decisione si
sottrae alle indicate censure.

affidamento. Si afferma che è principio che costante che nessuno può invocare l’esonero da

6.1 Vanno in primo luogo esaminate le censure di Pinto che direttamente o
indirettamente impingono nel tema della responsabilità.
Orbene, correttamente la Corte di merito spiega che non vi è stata alcuna immutazione
dell’imputazione: al Pinto è stato sempre contestato di non essersi dedicato alla paziente, di
non averla esaminata, di averla solo osservata di sfuggita, nonostante egli fosse tenuto, nella
sua duplice veste di medico di turno e di responsabile del reparto, ad esercitare pienamente la
funzione terapeutica nei confronti della paziente. Tale trascuratezza ha correttamente fondato

6.2 Pure immune da censure è l’apprezzamento sul ruolo del Pinto. La Corte spiega
correttamente che diversi testi, sia pure non nominativamente, hanno riferito della presenza
distratta dei medici di turno e quindi anche del ricorrente. Il Pinto tenta impropriamente di
sollecitare questa Corte alla riconsiderazione del merito: operazione non consentita e neppure
utile nel caso in esame, posto che, come è stato accennato e sarà ancora esposto nel
prosieguo, la veste di primario del reparto giustifica da sola la ritenuta responsabilità.
6.3 Palesemente priva di pregio è, poi, l’argomentazione in ordine al nesso causale. In
base ai più consolidati principi in tema di causalità condizionalistica è agevole considerare,
ribadendo l’argomentazione della Corte d’appello, che la patologia si rivelava in modo
conclamato già al’atto del ricovero e poi, in modo crescente, nei giorni seguenti. Ne discende
che se il Pinto avesse fatto fronte ai suoi doveri professionali, ben avrebbe potuto
correttamente diagnosticare la patologia, trattarla ed evitare il coma letale. Null’altro occorre
aggiungere per dimostrare il nesso causale.
6.4. Pure inconferente appare il richiamo al principio di affidamento. Il primario era
tenuto a ruolo di supervisione nei confronti degli altri terapeuti presenti nel reparto, anche
quando i pazienti erano ad essi affidati. E’ evidente, che dovendo supervisionare, non ci si può
passivamente affidare ma occorre instaurare un rapporto critico-dialettico con gli altri sanitari,
tanto più quando il caso si rivela per qualunque ragione di problematica risoluzione.
6.5. Davvero singolare è poi l’argomento afferente alla somministrazione del Largactil.
Ciò è avvenuto, forse, come spiegato in sentenza, quando già la paziente era allo stremo e si
era in vista del corna: ipotizzare che tale contingenza spieghi l’evento significa travolgere
arbitrariamente le ponderose acquisizioni probatorie, anche autoptiche, che hanno ricondotto
la morte alla macroscopica iperglicemia. In tale evidente situazione, del tutto razionalmente i
giudici di merito hanno rifiutato, perché inutili, gli approfondimenti istruttori proposti.

la responsabilità.

6.f quanto alla questione afferente all’attenuante di cui all’art. 62 n. 6 cod. pen.,
proposta da ambedue gli imputati, è sufficiente evocare la costante condivisa giurisprudenza di
questa Suprema corte. La circostanza attenuante dell’attivo ravvedimento di cui all’art. 62,
comma primo, n. 6, seconda parte, cod. pen. – che contempla l’ipotesi dell’essersi prima del
giudizio ed al di fuori del caso preveduto dall’ultimo capoverso dell’art. 56, adoperato
spontaneamente ed efficacemente per elidere o attenuare le conseguenze dannose o
pericolose del reato – si riferisce a conseguenze del reato che non consistano in un danno
patrimoniale o non patrimoniale, economicamente risarcibile, ai sensi dell’art. 185 cod. pen.,.
premio dell’attenuante nel caso di tempestivo, integrale risarcimento del danno e poi
concedere lo stesso beneficio a chi si sia solo adoperato con esito non risolutivo sul piano
patrimoniale.
64 Infine, quanto al diniego delle attenuanti generiche, i giudici di merito compiono un
apprezzamento in fattofreciso, che costituisce esplicazione della discrezionale ponderazione
loro demandata dalla legge. Essi hanno rimarcato con accenti inusualmente severi la
straordinaria gravità della colpa. Tale valutazione è perfettamente adeguata alla condotta del
Pedullà di cui si è detto sopra. Occorre considerare a tale riguardo che le sentenze di merito
mettono in luce non solo la gravissima imperizia rivelatasi nel non diagnosticare una banale,
ricorrente patologia in presenza di chiari referti analitici e di sintomatologia conclamata e non
equivoca. Si aggiunge qualcosa di più: il disinteresse sostanziale nei confronti della sorte della
vittima, un atteggiamento distratto, distaccato oltre misura, che rompe l’alleanza insita nella
relazione terapeutica. Qui, più che la perizia è in questione la diligenza che, per chi esercita
una funzione tanto alta /deve essere massima. Ciò spiega il giudizio di implicita prevalenza
dell’indicato tratto negativo della vicenda, pur a fronte di comportamenti non privi di note
positive, come il parziale e quasi immediato ristoro del danno patrimoniale dei congiunti della
vittima. Ne discende che tale ponderazione non viola la legge e non è neppure illogica, sicché
non può essere posta in discussione nella presente sede di legittimità.
Discorso non dissimile può esser fatto per Pinto. Egli pure, nella veste di supervisore del
reparto, era tenuto ad interessarsi al dramma della donna che nel giro di pochi giorni si andò
spegnendo in un coma irreversibile. Anche qui la trascuratezza, la negligenza travolge le note
positive, con apprezzamento in fatto immune da errori metodologici e quindi non più
sindacabile. A ciò possono pure aggiungersi le severe note negative, cui si è sopra fatto cenno,
in ordine alla criticabile gestione del reparto.
I ricorsi vanno quindi rigettati. Segue per legge la condanna al pagamento delle spese
processuali ed alla rifusione delle spese delle parti civili che appare congruo liquidare come in
dispositivo.

(da ultimo Sez. V, 16/04/2009, Rv. 245137). Ed in effetti sarebbe irrazionale promettere il

P qm

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali nonché alla
rifusione delle spese sostenute dalle parti civili per questo giudizio di cassazione liquidate in
euro 2500,00 oltre accessori come per legge in favore della parte civile Cutrì Domenico; e in
euro 3.500,00 oltre accessori come per legge in favore dell’altra parte civile costituita in

Roma 7 gennaio 2014

IL CONSIGLIERE ESTENSORE

IL PRESIDENTE

(Rocco Marco BLAIOTTA)

(Gaetanino ZECCA)

CORTE SUPREMA, DI CASSAzIONE
IV Sezione Penale
DEPOSITATO IN CANCELLERIA

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
IV Sezione Penale

persona di Scibilia Giuseppe, Morgante Giulia, Scibilia Rosa e Scibilia Saverio.

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