Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 49847 del 13/03/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 49847 Anno 2013
Presidente: BEVERE ANTONIO
Relatore: MICHELI PAOLO

SENTENZA

sul ricorso proposto nell’interesse di
Grimaldi Maria Rosa, nata a Polistena il 22/04/1966

avverso l’ordinanza del 13/12/2012 del Tribunale di Reggio Calabria

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Paolo Micheli;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott.
Gioacchino Izzo, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
udito per la ricorrente l’Avv. Guido Contestabile, che ha concluso chiedendo
l’accoglimento del ricorso, e l’annullamento dell’ordinanza impugnata

RITENUTO IN FATTO

1. Il Tribunale di Reggio Calabria, su richiesta di riesame proposta
nell’interesse di Maria Rosa Grimaldi avverso un’ordinanza del G.i.p. dello stesso
Tribunale emessa il 07/03/2011, rigettava il gravame con provvedimento

Data Udienza: 13/03/2013

adottato il 04/04/2011, confermando così la misura della custodia cautelare in
carcere applicata nei confronti della medesima, sottoposta a indagini per il delitto
di cui all’art. 416-bis cod. pen.: la Grimaldi veniva in particolare ritenuta
partecipe della cosca “Longo-Versace”, operante – nell’ambito della c.d.
‘ndrangheta – nel territorio di Polistena e zone limitrofe, avendo ella assunto
all’interno di detta consorteria i compiti di «trasmettere i messaggi e le istruzioni
ricevute dal capo-cosca Longo Vincenzo, concernenti la gestione economica e
criminale del sodalizio all’esterno degli istituti penitenziari dove il predetto era in

confronti di terzi, sia in relazione all’attività di infiltrazione di attività economiche
pubbliche e/o private, sia in relazione all’attività criminale perpetrata sul
territorio».
Il collegio dava atto che l’esistenza della cosca sopra evidenziata, così come
il ruolo di vertice assuntovi da Vincenzo Longo (coniuge della Grimaldi),
costituivano fatti accertati in base alle risultanze di vari procedimenti penali,
anche all’esito di servizi di intercettazione e delle dichiarazioni rese da
collaboratori di giustizia, fra i quali veniva richiamato in particolare il contributo
di Girolamo Bruzzese: da quelle acquisizioni istruttorie emergeva come la cosca
Longo-Versace doveva intendersi «una ‘ndrina ben strutturata nella propria
compagine associativa di tipo familiare, radicata sul territorio di Polistena,
inquadrata in ranghi, ruoli e cariche, attribuiti dal capo mandamento Oppedisano
Domenico, conosciuta e rispettata da altri associati alla ‘ndrangheta di rango
elevato, appartenenti ad altre ‘ndrine dislocate sul territorio reggino».
Precisato quindi che il sodalizio risultava strutturato «in due distinte
consorterie, ciascuna dominante in un diverso ambito della zona indicata a
seguito di spartizione territoriale derivante da deliberati mafiosi (e in particolare
la cosca Longo nella zona della c.d. Polistena nuova, la cosca Spataro-Versace
operante nella zona della c.d. Polistena Vecchia)», il Tribunale si soffermava
sull’analisi dei risultati delle disposte intercettazioni telefoniche ed ambientali,
osservando che «i colloqui intercettati – nel corso dei quali i conversanti
discutono, in maniera sorprendentemente esplicita, dell’organizzazione dell’una o
dell’altra cosca, dei rapporti tra gli associati, delle cariche conferite, dell’attuale
assetto dei rapporti tra le cosche – si traducono, il più delle volte, in una vera e
propria ammissione dell’esistenza e della piena attualità dei sodalizi in oggetto,
rappresentando nel contempo una sorta di “confessione” da parte dei colloquianti
circa la propria appartenenza organica all’uno o all’altro sodalizio».

2. Il 06/06/2012, all’esito di ricorso per cassazione avanzato dalla difesa, la
Sezione I di questa Corte annullava l’ordinanza del Tribunale del riesame di

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stato di detenzione» e quello di «riscuotere crediti vantati dal predetto nei

Reggio Calabria con riguardo alla posizione della Grimaldi, osservando che «le
argomentazioni poste a fondamento della gravità indiziaria a carico della
ricorrente in relazione alla fattispecie contestata non risultano congruenti, e si
palesano prive della necessaria correlazione con gli elementi di fatto
oggettivamente valutabili emersi dall’attività di indagine, sia pure riguardati in
un compendio unitario. In particolare, deve essere rimarcata la insufficiente
motivazione in ordine alla interpretazione operata dal giudice della cautela del
contenuto delle conversazioni captate durante i colloqui in carcere ai quali

somme che si assume riferibili ad attività illecite, piuttosto che alla riscossione di
canoni di locazione, ovvero di crediti illeciti». Questa Corte riteneva pertanto
che il Tribunale non avesse «supportato con argomentazioni logiche e coerenti
con quanto emerso dai dialoghi registrati l’affermazione che la diversa lettura
delle conversazioni proposta dalla difesa rappresenta il tentativo di ricondurre i
dialoghi a normali rapporti personali e familiari, dai quali invece trascendevano
se considerati nel contesto mafioso nel quale si muove la famiglia Longo», e che
pertanto fosse «apodittico il ritenuto contributo fornito dalla ricorrente alla cosca
in maniera continuativa e sistematica, attraverso la trasmissione di messaggi, la
cura degli interessi economici del gruppo, con una compenetrazione con il
sodalizio criminoso tale da configurare una condotta di partecipazione connotata
dall’esistenza della affectio societatis».
Il provvedimento era così annullato, con rinvio per nuovo esame allo stesso
Tribunale.

3. Con ordinanza del 13/12/2012, conseguente allo svolgimento dell’udienza
di rinvio (in data 29/11/2012), il Tribunale di Reggio Calabria confermava
nuovamente la restrizione della libertà personale della Grimaldi, nel frattempo
posta agli arresti domiciliari per sopravvenuta incompatibilità delle sue condizioni
di salute con la detenzione in carcere.
Il collegio, richiamando numerosi precedenti di legittimità, affermava che in
sede di rinvio il giudice di merito «è vincolato dal divieto di fondare la nuova
decisione sugli stessi argomenti ritenuti illogici o carenti dalla Corte di
Cassazione, ma resta libero di pervenire, sulla scorta di argomentazioni diverse
da quelle censurate in sede di legittimità, ovvero integrando e completando
quelle già svolte, allo stesso risultato decisorio della pronuncia annullata […].
Non viola, pertanto, l’obbligo di uniformarsi al c.d. giudicato interno il giudice di
rinvio che, dopo l’annullamento per vizio di motivazione, pervenga nuovamente
all’affermazione di responsabilità dell’imputato sulla scorta di un percorso

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partecipavano i familiari del Longo; in specie con riferimento alla riscossione di

argomentativo in parte diverso ed in parte arricchito rispetto a quello censurato
in sede di legittimità».
Tanto premesso, il Tribunale segnalava che nei confronti della Grimaldi era
in effetti necessario rivedere la rilevanza indiziaria di alcune intercettazioni
ambientali captate in occasione di colloqui tra Vincenzo Longo ed i propri
familiari, da considerare espressive di mera solidarietà fra parenti; tuttavia, la
piattaforma indiziaria a suo carico doveva trovare conferma, emergendo ella
«non solo come soggetto impegnata a veicolare dall’esterno attestati di

criminali o come destinataria di contributi economici da parte dei sodali […], in
ragione di quello stretto vincolo solidaristico e di mutuo soccorso che lega gli
accoliti ad una identica “famiglia” mafiosa soprattutto in momenti di difficoltà
connessi alla carcerazione preventiva di alcuni dei suoi esponenti di vertice, ma
anche in generale come colei che, fungendo da trait d’union tra il marito ed altri
affiliati od esponenti di diverse consorterie, si impegna a recapitare a questi
ultimi messaggi promananti dal congiunto aventi rilevante importanza per gli
interessi illeciti della cosca, nonché ad eseguire in prima persona compiti non
agevolmente delegabili e più strettamente collegati ad interessi economici
patrimoniali ed aziendali, ed in specie coadiuvando il Longo nelle attività volte a
sottrarre i loro beni alle falcidie di sequestri e provvedimenti ablatori,
prosciugando la liquidità giacente nei conti correnti di “famiglia” onde metterla al
riparo dall’azione repressiva dello Stato e in tal guisa svolgendo al contempo il
delicato ruolo di cassiere della cosca, infine provvedendo alla riscossione
periodica di somme di denaro, verosimilmente provento di attività delittuosa».
A riprova dell’assunzione da parte della Grimaldi dei ruoli appena descritti, il
Tribunale del riesame riportava per ampi stralci alcune delle conversazioni
intercettate, nelle quali la ricorrente segnalava al marito come ci si era
determinati per intestare a terzi beni o locazioni finanziarie, oppure ne riceveva
indicazioni su come regolare cessioni di quote o costituzioni di nuove società,
ovvero azzerare conti correnti in modo da vanificare eventuali provvedimenti di
sequestro (indicazioni che colloqui successivi dimostravano essere state recepite
e messe in pratica). Da ulteriori intercettazioni poteva poi desumersi la
frequente richiesta di informazioni che il Longo rivolgeva alla moglie circa gli esiti
di pagamenti da ricevere a scadenze predeterminate, in particolare al 25 di ogni
mese: in proposito, il collegio escludeva che quei riferimenti potessero
riguardare canoni di locazione di immobili ad uso abitativo, sia perché i due
coniugi facevano uso di un frasario criptico da ritenere inspiegabile (laddove
l’oggetto della conversazione fosse stato pertinente ad argomenti leciti), sia
perché si era accertato che gli importi delle locazioni effettivamente in corso su

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solidarietà al coniuge provenienti da appartenenti ad altri locali aggregati

beni appartenenti alla famiglia Longo erano assai modesti, sì da non giustificare
il particolare interesse dei due interlocutori.
Riteneva altresì il Tribunale che la Grimaldi avesse avuto un ruolo concreto
anche nell’intestazione fittizia del 50% delle quote di una società operante nel
settore dell’edilizia, cedute da Vincenzo Longo ai figli durante la di lui detenzione
(visto che il marito le aveva rilasciato apposita procura notarile a quel fine): a
riguardo, non poteva ritenersi dirimente la circostanza che, trasferendo beni a
prossimi congiunti, il Longo non avrebbe potuto eludere alcun accertamento,

patrimoniale – sarebbero state estese ex lege a moglie e figli. Infatti,
l’intestazione di un bene a soggetti diversi dal potenziale destinatario diretto
della misura ne avrebbe reso comunque più difficile il recupero, stante il regime
di presunzione soltanto relativa, e suscettibile di prova contraria, di riferibilità del
bene medesimo al proposto.
In definitiva, la Grimaldi doveva intendersi «pienamente inserita nei
meccanismi del contesto associativo», conclusione che sarebbe stato doveroso
raggiungere già in base alla sua indubbia funzione di “nunzia mafiosa” per le
notizie da far pervenire al marito, o che questi mirava a veicolare all’esterno del
carcere; in ogni caso, il Tribunale affermava che «anche a non voler ritenere la
condotta dell’indagata integrante gli estremi tout court della partecipazione al
sodalizio investigato, la stessa, tuttavia, potrebbe dar luogo ad un’ipotesi di
partecipazione a titolo di concorso esterno nell’attività dell’associazione
contestata». Sul punto, l’ordinanza riportava i contributi della giurisprudenza
delle Sezioni Unite di questa Corte, sulla necessità della prova di una effettiva
attivazione del presunto concorrente esterno in favore del sodalizio criminoso,
prova da intendere sicuramente raggiunta nel caso di specie.
Quanto alle esigenze cautelari, ed ancora una volta richiamando precedenti
giurisprudenziali di legittimità, il Tribunale faceva proprie le considerazioni a suo
tempo espresse dal giudice di prime cure, reputando comunque pienamente
operante la presunzione ex art. 275, comma 3, cod. proc. pen. e segnalando che
la difesa si era semplicemente limitata a dedurre in via generica l’insussistenza di
pericoli di fuga e di inquinamento probatorio. Secondo il collegio, peraltro, la
presunzione sopra ricordata doveva trovare applicazione non solo al momento
genetico dell’applicazione della misura ma anche in corso di esecuzione della
stessa.
Confermava quindi gli arresti domiciliari in atto, in ragione del documentato
stato di salute della ricorrente.

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visto che le indagini – anche ai fini di misure di prevenzione di carattere

4. Ha proposto nuovo ricorso per cassazione il difensore della Grimaldi,
deducendo – con unico ed articolato motivo – violazione dell’art. 627 cod. proc.
pen., nonché contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione
dell’ordinanza impugnata.
La difesa, avuto riguardo al tenore della sentenza emessa da questa Corte a
seguito del primo ricorso, ritiene censurabile il percorso argomentativo adottato
dal Tribunale del riesame nel giudizio di rinvio, atteso che questo risulta fondato
in larga misura (quanto alla presunta gravità indiziaria) sul contenuto delle

ritenute insufficienti ai fini indicati dall’art. 273 del codice di rito. In sostanza, il
difensore ritiene che la nuova ordinanza costituisca inammissibilmente mera
riproposizione di quella annullata.
Nel ricorso si evidenzia altresì che non risulta in alcun modo chiarito quali
siano le condotte lecite poste in essere dalla Grimaldi, quali le condotte
semplicemente da lei conosciute, quale coniuge del presunto capo-cosca, senza
tuttavia aver contribuito a realizzarle, e quali in ipotesi i comportamenti illeciti
ascrivibili all’indagata: soprattutto tenendo presente che della donna non aveva
parlato alcun collaboratore di giustizia, e che la stessa era rimasta estranea a
tutti i procedimenti menzionati nell’ordinanza, da cui sarebbe stata tratta la
conclusione dell’esistenza di un sodalizio criminoso nel territorio di Polistena,
organico alla ‘ndrangheta.
Stando invece alle intercettazioni, ad avviso della difesa la ribadita
ricostruzione accusatoria non potrebbe essere in alcun modo condivisa, essendo
stato già provato (a mezzo di indagini ex artt. 391-bis e segg. cod. proc. pen.)
che la Grimaldi percepiva effettivamente, con cadenza mensile, canoni di
locazione di beni immobili, e non assumendo alcun valore indiziario la
circostanza che la donna recava al marito i saluti di questo o quel conoscente, al
contempo non risultando che ella portasse invece all’esterno gli ordini del
presunto vertice del sodalizio. Né poteva intendersi significativa di alcunché la
paventata cessione di quote di una s.a.s. dal Longo ai figli, realizzata alla luce
del sole e del tutto inidonea ad impedire che quei beni potessero essere aggrediti
ai sensi della legge n. 575 del 1965: tant’è che all’indagata non era stata mossa
alcuna contestazione ex art. 12-quinquies della legge n. 356 del 1992.
Censurabile sarebbe altresì la prospettata qualificabilità della condotta
ascrivibile alla Grimaldi in termini di concorso esterno nel reato associativo,
fattispecie criminosa comunque nettamente distinta rispetto all’ipotesi di una
partecipazione al sodalizio: essendo le risultanze delle intercettazioni insufficienti
ed aleatorie, non vi sarebbero infatti tracce del necessario contributo che

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stesse intercettazioni già valutate integralmente dal giudice di legittimità e

l’indagata avrebbe apportato per il rafforzamento o la conservazione
dell’associazione di riferimento.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso non può trovare accoglimento.
1.1 L’impianto motivazionale del provvedimento impugnato appare infatti

della Grimaldi non fosse stato qualificabile come espressivo della sua
partecipazione al sodalizio criminale – la configurabilità a carico dell’indagata
della ben diversa fattispecie del concorso esterno nel reato associativo, ben
difficilmente ravvisabile già sul piano logico in un caso di stabilità di rapporti
parentali come quello che emerge nella fattispecie concreta: non vi è infatti nulla
di occasionale od eventuale, in vista del perseguimento degli scopi di una
associazione ex art. 416-bis cod. pen., nel ruolo di chi (coniuge di un ritenuto
capo-cosca ristretto in carcere) si assuma di portare a costui le informazioni
necessarie, sulla base delle quali impartire le direttive volte alla gestione della
cosca medesima, e veicoli poi all’esterno gli ordini ricevuti. Una volta affermato,
all’esito della valutazione del materiale indiziario acquisito, che quel ruolo si
attaglia alla figura presa in esame, non sembra esservi spazio per soluzioni
diverse da un addebito di partecipazione piena; ergo, qualora non vi sia gravità
indiziaria per ascrivere il ruolo in questione al soggetto considerato, si dovrebbe
concludere per l’irrilevanza penale della condotta, senza ricorrere a mere ipotesi
dialettiche.
1.2 Per il resto, l’ordinanza si sottrae alle doglianze mosse nell’interesse
della ricorrente: come correttamente osservato dal P.g. nel rassegnare le proprie
conclusioni in udienza, deducendo su quanto lamentato in via principale dalla
difesa, l’identità del materiale portato all’esame della Corte di Cassazione (nel
momento in cui intervenne il ricordato annullamento) rispetto a quello oggetto di
disamina nel giudizio di rinvio non incide sulla tenuta della gravità indiziaria oggi
ribadita dal Tribunale di Reggio Calabria.
La giurisprudenza di legittimità ha da tempo affermato, infatti, che «a
seguito di annullamento per vizio di motivazione, il giudice di rinvio è vincolato
dal divieto di fondare la nuova decisione sugli stessi argomenti ritenuti illogici o
carenti dalla Corte di Cassazione, ma resta libero di pervenire, sulla scorta di
argomentazioni diverse da quelle censurate in sede di legittimità ovvero
integrando e completando quelle già svolte, allo stesso risultato decisorio della
pronuncia annullata. Ciò in quanto spetta esclusivamente al giudice di merito il

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meritevole di censura soltanto laddove viene ipotizzata – laddove il contributo

compito di ricostruire i dati di fatto risultanti dalle emergenze processuali e di
apprezzare il significato e il valore delle relative fonti di prova, senza essere
condizionato da valutazioni in fatto eventualmente sfuggite al giudice di
legittimità nelle proprie argomentazioni, essendo diversi i piani su cui operano le
rispettive valutazioni e non essendo compito della Corte di Cassazione di
sovrapporre il proprio convincimento a quello del giudice di merito in ordine a tali
aspetti. Del resto, ove la Suprema Corte soffermi eventualmente la sua
attenzione su alcuni particolari aspetti da cui emerga la carenza o la

investito del nuovo giudizio sui soli punti specificati, poiché egli conserva gli
stessi poteri che gli competevano originariamente quale giudice di merito
relativamente all’individuazione ed alla valutazione dei dati processuali,
nell’ambito del capo della sentenza colpito da annullamento» (Cass., Sez. IV, n.
30422 del 21/06/2005, Poggi, Rv 232019).
Vero è che, come più recentemente precisato da questa stessa Sezione, «la
Corte di Cassazione risolve una questione di diritto anche quando giudica
sull’adempimento del dovere di motivazione, sicché il giudice di rinvio, pur
conservando la libertà di decisione mediante un’autonoma valutazione delle
risultanze probatorie relative al punto annullato, è tenuto a giustificare il proprio
convincimento secondo lo schema implicitamente o esplicitamente enunciato
nella sentenza di annullamento, restando in tal modo vincolato a una
determinata valutazione delle risultanze processuali» (Cass., Sez. V, n. 7567 del
24/09/2012, Scavetto, Rv 254830); tuttavia, nel caso oggi in esame era stato
segnalato semplicemente un difetto di motivazione rispetto ad allegazioni che
risultavano non esaminate, non già la fondatezza tout court di quegli argomenti
difensivi, ed è pertanto ineccepibile il percorso seguito dal Tribunale nel
momento in cui – preso atto della dedotta riferibilità di alcuni dei colloqui
intercettati ad attività lecite della coppia, con riguardo a presunti canoni di
locazione da incassare – ha inteso colmare la precedente lacuna, spiegando
perché quello non potesse essere il tema delle conversazioni de quibus.
E’ in effetti indicativa, a tacer d’altro, la circostanza segnalata dai giudici del
riesame secondo cui un simile argomento di colloquio non avrebbe giustificato il
ricorso ad un linguaggio assai ermetico (peraltro, con tanto di invito esplicito del
marito della Grimaldi a non parlare troppo).
1.3 Inerente a profili di merito, e dunque non sindacabile in questa sede,
appare poi il riferimento che l’ordinanza impugnata opera con riguardo ad
ulteriori profili del contenuto delle anzidette intercettazioni, sottolineando come
la Grimaldi manifestasse interesse, facendosi parte attiva, per la vendita di
autovetture della famiglia Longo, al fine di evitare possibili sequestri, come pure

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contraddittorietà della motivazione, ciò non comporta che il giudice di rinvio sia

per garantire al marito – attraverso l’intermediazione di soggetti compiacenti,
disponibili ad intestarsi i relativi contratti – l’utilizzo di macchinari da acquisire in
leasing. La stessa viene descritta «attiva nella gestione e nell’occultamento del
denaro della famiglia, assecondando il detenuto che consigliava di azzerare i
conti correnti affinché figurassero esclusivamente debiti con le banche locali»:
non a caso, dopo avere ricevuto istruzioni in tal senso, al colloquio successivo
rappresentava al coniuge di avere “prosciugato il conto”, lasciandovi soltanto
500,00 euro.

l’intervenuta autorizzazione del G.i.p. competente all’ingresso in carcere di un
notaio per raccogliere la procura che il Longo doveva formalizzare per il
passaggio ai figli delle quote di una società: l’autorizzazione in parola non poteva
certamente comportare un anticipato avallo circa la legittimità dell’operazione
che successivamente la Grimaldi, in forza di quella procura, avrebbe realizzato.

2. Il rigetto del ricorso comporta la condanna della Grimaldi al pagamento
delle spese del presente giudizio di legittimità.

P. Q. M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso il 13/03/2013.

Non appare rilevante infine il richiamo che la difesa rinnova circa

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