Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 49843 del 25/11/2014


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 49843 Anno 2015
Presidente: CHIEFFI SEVERO
Relatore: TARDIO ANGELA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
FORTUNA SACHA, nato il 01/03/1979
avverso la sentenza n. 4324/2013 CORTE APPELLO di BOLOGNA del
04/02/2014;

visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in pubblica udienza del 25/11/2014 la relazione fatta dal
Consigliere dott. Angela Tardio;
udito il Procuratore Generale in persona del dott. Paolo Canevelli,
che ha chiesto annullarsi con rinvio la sentenza impugnata;
udito per il ricorrente l’avv. Gabriele Bordoni, che ha chiesto
l’accoglimento del ricorso.

Data Udienza: 25/11/2014

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza dell’Il dicembre 2012 il Tribunale di Bologna ha dichiarato
Fortuna Sacha responsabile del reato di cui all’art. 2 legge n. 895 del 1967,
come modificato dall’art. 10 legge n. 497 del 1974, e all’art. 3 legge n. 110 del
1975 per avere illegalmente detenuto, all’interno dell’appartamento ubicato in

5,45 x 39, predisposto per il tiro a raffica e quindi arma da guerra, che aveva
alterato munendolo di silenziatore e di mirino ottico di precisione (capo a), e di
ulteriori violazioni dello stesso art. 2 legge n. 895 del 1967, come modificato, per
avere, nelle medesime circostanze, illegalmente detenuto anche sei caricatori,
tre dei quali non compatibili con la predetta arma, costituenti parti di armi da
guerra (capo b) , e centocinquantaquattro proiettili cal. 5,45 x 39, costituenti
munizioni per armi da guerra (capo c), e, ritenuta la continuazione tra tutti i
reati, lo ha condannato alla pena di anni sette di reclusione ed euro quindicimila
di multa.
Con la stessa sentenza il Tribunale ha assolto detto imputato dal delitto di
detenzione illecita di grammi 353,20 di sostanza stupefacente del tipo hashish
(capo d) per non avere commesso il fatto, e ha assolto con analoga formula la
moglie, Cutrullà Caterina, dai medesimi reati di cui ai capi

a), b) , c) e d) ,

ascrittile in concorso.

2. La Corte di appello di Bologna con sentenza del 4 febbraio 2014, in
parziale riforma della sentenza di primo grado, che ha confermato nel resto, ha
escluso la continuazione tra i fatti puniti ai sensi dell’art. 2 legge n. 895 del 1967
e successive modifiche, determinando la pena infitta all’appellante Fortuna in
anni cinque e mesi otto di reclusione ed euro dodicimilaseicento di multa.

3.

La vicenda cui attengono le imputazioni contestate è analiticamente

ricostruita nella sentenza di primo grado e ampiamente ripresa nella sentenza di
secondo grado, che, richiamando la deposizione del teste Pederzoli Alessandro,
ispettore superiore di P.S. in servizio presso la S.C.O. della Squadra Mobile di
Bologna, rappresentava che:
– l’origine del procedimento si inseriva in una più ampia attività di indagine
che detta Squadra Mobile aveva condotto nel 2011, in coordinamento con quella
di Vibo Valentia, su delega della D.D.A. di Catanzaro nei confronti dell’imputato e
del fratello Fortuna Davide, che, di origine calabrese, risiedevano a Rioveggio di
Monzuno in due attigue villette a schiera, che, con ingressi autonomi

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Monzuno nella sua disponibilità, un fucile mitragliatore kalashnikov AK74 cal.

contraddistinti dai n. 39 e 41, avevano sul retro un giardino comune, che, privo
di steccato divisorio, consentiva di accedere dall’una all’altra villetta senza
passare sulla pubblica via;
– nel contesto di tale attività di indagine, erano state eseguite intercettazioni
ambientali sonore e audiovisive nell’abitazione, sita al civico n. 41, di Fortuna
Davide, e attraverso la visione, avvenuta nella mattina del 28 giugno 2011, delle
immagini registrate dalla videocamera la sera precedente, non percepite in
diretta, era emerso che alle ore 22,50 erano entrati nella indicata abitazione tre

mentre un secondo era stato in seguito identificato in tale Sorrentino Pierluigi,
anche originario coimputato, e un terzo era rimasto non identificato;
– i tre uomini avevano estratto il contenuto dei sacchetti che avevano recato
con loro, consistente in armi, munizioni e parti di armi, che avevano appoggiato
sul tavolo e manipolato con guanti di lattice, parlando tra loro senza che, per un
disguido tecnico, la loro conversazione fosse registrata, e si erano allontanati
dall’appartamento alle ore 0,15, spegnendo la luce;
– dalle riprese video era anche emerso che alle ore 9,09 del 28 giugno 2011
erano entrati nell’appartamento la moglie dell’imputato Cutrullà Caterina, che
aveva aperto la porta finestra che dava sul cortile, e, attraverso detta porta,
prima lo stesso imputato e alle ore 10,04 Sorrentino Pierluigi, tutti con
abbigliamento succinto, mentre il sacchetto contenente il fucile mitragliatore era
ancora ben visibile sul tavolo;
– gli operanti, giunti sul posto per effettuare una perquisizione domiciliare
alle ore 10,30/11,00 della stessa mattina, erano rimasti in osservazione, in
assenza degli occupanti di entrambe le villette, fino alle ore 1,15 del 29 giugno
2011, quando avevano proceduto a perquisizione personale dell’imputato, della
moglie e di Sorrentino Pierluigi, appena giunti a bordo dell’autovettura di
quest’ultimo, trovando nel di lui marsupio grammi 400,88 di hashish, suddiviso
in ottantuno ovuli, e nel possesso della donna le chiavi delle due abitazioni dei
civici 39 e 41;
– nell’abitazione sita al civico 41, sottoposta a contemporanea perquisizione
domiciliare, erano stati rinvenuti un fucile mitragliatore, riposto in modo “molto
visibile”, fuoriuscendo parzialmente la sua canna in metallo, in un sacchetto di
carta dell’IKEA, poggiato sul tavolo come emerso dalle videoriprese; parti di armi
e munizioni e tre bicchieri di plastica che i tre uomini, ripresi dalla videocamera
mentre maneggiavano le armi nella notte tra il 27 e il 28 giugno 2011, avevano
utilizzato per bere, lasciandoli dove erano stati poi rinvenuti e subito prelevati
all’atto della perquisizione, senza che alcuno avesse potuto in tale occasione
farne uso;

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uomini, uno dei quali era stato subito identificato dagli operanti nell’imputato,

- la consulenza tecnica sul DNA aveva consentito di rilevare che il bicchiere
8 reperto 3 presentava un profilo genetico maschile e misto, compatibile con la

mistura tra il profilo dell’imputato e di Sorrentino con prevalenza quantitativa per
“alcuni loci” del “typing” compatibile con il secondo, e che il bicchiere C dello
stesso reperto presentava un profilo genetico maschile unico compatibile, anche
per il cromosoma Y, con quello dell’imputato, mentre il bicchiere A del medesimo
reperto presentava un profilo maschile unico sconosciuto;
– dall’analisi dei tabulati del traffico telefonico delle utenze dell’imputato e di

nel periodo 1 giugno 2011-29 giugno 2011, data del loro arresto; quattro viaggi
di Sorrentino in andata e ritorno tra la Calabria e Monzuno, utilizzando la sua
autovettura, e almeno tre suoi pernottamenti a Rioveggio nella indicata
abitazione dell’imputato; il rientro in aereo a Monzuno dalla Calabria
dell’imputato e della moglie il 27 giugno 2011;
– l’arma, le parti di arma e le munizioni erano state sottoposte a perizia
balistica, i cui esiti erano specificamente descritti in atti.

4. La Corte di appello, riportate le considerazioni espresse dal primo Giudice
a fondamento della decisione di condanna e del rigetto delle eccezioni sollevate
dalla difesa, già oggetto di apprezzamento negativo con le pur richiamate
ordinanze dibattimentali, e illustrate diffusamente le ragioni di doglianza poste
dall’imputato a fondamento dei motivi di appello, principali e aggiunti:
– riteneva infondata l’eccezione di inutilizzabilità delle captazioni visive e
sonore realizzate all’interno dell’abitazione di Fortuna Davide sita al civico n. 41
di via del Borgo in Monzuno, sotto entrambi i profili prospettati, e afferenti,
rispettivamente, alla incompatibilità del differimento dell’avvio delle captazioni
con l’emissione di decreto autorizzativo emesso dal Pubblico Ministero sul
presupposto dell’urgenza, e alla inammissibilità, prima ancora che alla
inutilizzabilità, delle captazioni aventi a oggetto comportamenti di fatto e non
comunicativi;
– rilevava, quanto al primo profilo, la condivisibilità del principio affermato
da questa Corte (sez. 6 n. 11189 del 2012) circa il computo della durata delle
operazioni dal momento del loro inizio effettivo, e non da quello della emissione
del provvedimento autorizzativo, e circa il contenimento della durata dell’attività
di indagine invasiva, assicurato dal controllo giurisdizionale, e l’applicabilità di
tale principio alla ipotesi, verificatasi nella specie, di tardiva attuazione del
decreto del Pubblico Ministero, emesso in data 21 aprile 2011 e convalidato dal
Giudice per le indagini preliminari il 22 aprile 2011, da parte della Polizia
giudiziaria, che, per difficoltà di accesso all’abitazione di Fortuna Davide, vi
aveva dato attuazione pratica a partire dal 7 giugno 2011, apprezzandosi
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Sorrentino e delle celle agganciate erano risultati circa centodieci contatti tra loro

l’urgenza, secondo condivisa giurisprudenza, con riferimento al momento
dell’autorizzazione;
– rimarcava, quanto al secondo profilo, richiamando la decisione delle
Sezioni unite di questa Corte n. 26795 del 2006 e l’intervento della Corte
costituzionale con sentenza n. 135 del 2002, la inammissibilità come prove
atipiche delle videoregistrazioni di comportamenti “non comunicativi”, effettuati
in ambito domiciliare, nemmeno se autorizzate dall’Autorità giudiziaria, e,
procedendo alla disamina del tema relativo alla individuazione dei

delittuose in atto, evidenziava che, nel caso di specie, erano state certamente
intercettate immagini funzionali alla captazione di messaggi, tali intendendosi le
forme più varie di comunicazione tra presenti;
– ricordava che l’autorizzazione aveva riguardato intercettazioni visive e
sonore e che, per mero disguido tecnico, non si erano attuate per un certo
periodo le seconde; i filmati registrati avevano chiaramente intercettato forme di
comunicazione gestuale, essendo evincibile chiaramente che i tre soggetti ripresi
erano entrati nell’abitazione, avevano parlato e comunicato tra loro, avevano
insieme visionato e maneggiato armi e parti di esse, e ne avevano gestito
insieme la collocazione, in tal modo condividendo di concerto un’azione con
forme gestuali di comunicazione non disgiunte da quelle verbali non captate; i
comportamenti comunicativi erano assimilabili alle conversazioni tra presenti,
previste e ammesse dal codice di rito penale e rispettose dei principi
costituzionali e delle norme C.E.D.U.;

giudicava infondata l’eccezione di inutilizzabilità degli esiti della

perquisizione domiciliare, poiché eseguita legittimamente in presenza dei
presupposti di legge, e considerava legittimo l’eseguito sequestro, in quanto
rispettoso dei principi costituzionali ed europei, mentre era logico l’omesso
riferimento nel verbale di perquisizione alle captazioni eseguite e agli elementi
indiziari certi, essendo in corso le indagini della D.D.A., e in sede dibattimentale
era stato esplicitato dai testi escussi, in termini riscontrati e verificati, che la
perquisizione era stata eseguita in dipendenza delle emergenze delle riprese
visive;
– rappresentava anche l’infondatezza della eccezione relativa all’arbitrario
ritardo del sequestro ripercorrendo le fasi che avevano preceduto l’esecuzione
della perquisizione, ostative alla richiesta di autorizzazione al Pubblico Ministero;
– sottolineava che il giudizio di responsabilità dell’appellante trovava
fondamento nelle risultanze probatorie, correttamente valutate, senza necessità
di procedere a perizia antropometrica, e in particolare nel riconoscimento dello
stesso da parte degli operanti, nella visione dei filmati e dei fotogrammi,
nell’assenza di un alibi, negli esiti della consulenza tecnica esperita su incarico
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comportamenti non comunicativi, non registrabili neppure se integranti condotte

del P.M. sui bicchieri, nella univoca manipolazione e gestione di armi la notte tra
il 27 e il 28 giugno 2011 da parte dell’appellante e di Sorrentino, e nel
rinvenimento delle stesse il successivo 29 giugno senza intermedio intervento di
persone diverse;
– riteneva fondato il motivo di appello riguardante la dedotta erronea
applicazione dell’istituto della continuazione tra i reati, integrando la illegale
detenzione di armi nel medesimo contesto un unico reato, incidente sulla

5. Avverso la sentenza di appello Fortuna Sacha ha proposto ricorso per
cassazione, per mezzo del suo difensore avv. Gabriele Bordoni, chiedendone
l’annullamento sulla base di tre motivi.
5.1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione dell’art. 267,
comma 2, cod. proc. pen. con riferimento al termine di avvio e di durata delle
operazioni captative e alla conseguente legittimità, ammissibilità e utilizzabilità
dei loro esiti.
Secondo il ricorrente, che premette in fatto che la Procura della Repubblica
di Catanzaro ha emesso il 21 aprile 2011 decreto di intercettazione di urgenza
relativo all’abitazione di residenza di Forituna Davide in Rioveggio di Monzuno,
convalidato dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Catanzaro il 22
aprile 2011, e, rettificandolo parzialmente, ha fissato per la sua attuazione il 27
aprile 2011, e che l’intercettazione, attivata solo il 7 giugno 2011, è terminata il
4 dicembre 2011, la Corte di appello non ha compreso i termini della doglianza
difensiva, già rappresentata con l’atto di appello, svolgendo argomentazioni non
coerenti e richiamando giurisprudenza inconferente.
Il tema atteneva e attiene non al ritardo dell’avvio delle captazioni per
difficoltà tecniche incontrate dalla Polizia giudiziaria delegata alla loro
esecuzione, ma alla peculiarità del procedimento di urgenza.
Tale procedimento, ad avviso del ricorrente, si caratterizza rispetto a quello
ordinario per l’adozione da parte del pubblico ministero del decreto di
intercettazione, in presenza di situazioni eccezionali che impongono di avviare
immediatamente le captazioni e devono essere rilevantissime, straordinarie e
capitali per la sorte delle indagini, con contestuale richiesta di convalida al
giudice per le indagini preliminari, e soprattutto per la previsione che, ove tale
convalida non intervenga nel termine stabilito, l’intercettazione non può essere
proseguita, cui consegue che l’intercettazione deve essere stata già
immediatamente avviata, pena lo stravolgimento dell’istituto la cui ragione
fondante si rinviene nella massima urgenza, da apprezzare in rapporto all’arco
temporale entro il quale il decreto deve essere convalidato.

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quantificazione della pena finale, che era rideterminata.

L’avvio delle intercettazioni, fissato dallo stesso Pubblico Ministero per il 27
aprile 2011 con cinque giorni di ritardo rispetto alla convalida del 22 aprile 2011,
è stato quindi del tutto arbitrario, e tale differimento ha creato motivo di
inutilizzabilità dell’esito della intercettazione disposta per le date successive a
quella del 31 maggio 2011, corrispondente al quarantesimo giorno decorrente
dal 21 aprile 2011 in cui è stato disposto il suo avvio in via di urgenza.
5.2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione dell’art. 266,
comma 2, cod. proc. pen. in relazione alla inammissibilità e inutilizzabilità di

domicilio.
Secondo il ricorrente, il materiale captato è inutilizzabile per la sua stessa
natura, perché le immagini sono “senza sonoro” e sono rappresentative di
comportamenti non comunicativi, e come tali non utilizzabili per violazione della
norma indicata, che si riferisce solo a “comunicazioni tra presenti”.
L’affermazione della Corte di appello che tali immagini derivate dalle
captazioni hanno consegnato al processo comportamenti comunicativi, e quindi
utilizzabili, è priva di consistenza e di fondamento, poiché le comunicazioni, se
possono essere anche non verbali, devono comunque rendere percepibile e
comprensibile il trasferimento di un messaggio o di una informazione da un
soggetto a un altro, mentre nella specie è stata tratta dalle immagini solo la
condotta dei soggetti intenti a manipolare l’arma, e quindi la semplice relazione
tra le persone e l’oggetto illecito, nulla essendo evidenziato circa il contenuto e il
significato di ritenuti comportamenti comunicativi tra le stesse persone.
I meri comportamenti non comunicativi poiché non captabili, secondo i
principi espressi dalle Sezioni unite di questa Corte con sentenza n. 26795 del
2006, non sono utilizzabili processualmente, anche alla luce dell’art. 8 C.E.D.U.,
che, quale norma interposta tra la Costituzione e la legge ordinaria, prevede un
espresso diritto al rispetto della vita privata, al domicilio e alla corrispondenza, e
pure quando integrano condotte delittuose in atto, come precisato nella stessa
sentenza impugnata.
L’operante di RG. Pederzoli ha, inoltre, espresso apprezzamenti personali
non utilizzabili quanto alla rilevabilità del contenuto dei sacchetti posti sul tavolo
della casa di Fortuna Davide e in relazione alle sembianze dei soggetti ripresi,
trattandosi peraltro di immagini “di pessima qualità” e oggettivamente sfalsate
negli orari, senza che tale testimonianza possa ritenersi utilizzabile, essendo
rappresentativa di una intercettazione inutilizzabile e rivelandosi le affermazioni
del teste come inammissibili, empiriche e valutative.
In ogni caso, le immagini, se utilizzabili, dovevano essere oggetto di
apprezzamento secondo il metodo scientifico del c.d. raffronto dimensionale

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videoregistrazioni di condotte non comunicative effettuate all’interno del

antropometrico al fine di pervenire a un giudizio di identità e non di mera
compatibilità tra esse.
5.3. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia violazione degli att. 41
T.U.L.P.S. e 352 cod. proc. pen., in relazione ai diritti fondamentali in tema di
inviolabilità del domicilio e libertà personale, garantiti dagli artt. 13 e 14 Cost. e
dall’art. 8 C.E.D.U.
Secondo il ricorrente, la Squadra Mobile della Questura di Bologna,
limitandosi a dare atto nel verbale di perquisizione domiciliare del 29 giugno

attività istituzionale la notizia che vi erano fondati motivi per ritenere che
nell’abitazione indicata si trovassero occultate armi e/o munizioni non
denunciate, non consegnate o comunque abusivamente detenute, non aveva
precisato meglio la fonte dell’informazione, indicandola solo al dibattimento nella
visione di immagini captate all’interno dell’abitazione in oggetto, invece non
utilizzabili e inidonee a innescare legittimamente un’attività invasiva.
La perquisizione, inoltre, non è avvenuta nella immediatezza, ma a distanza
di ore dall’acquisizione della notizia come indicata, a ciò conseguendo che era
necessario per gli operanti munirsi di autorizzazione del Pubblico Ministero
competente, una volta che non vi era l’urgenza massima per una deviazione
dalle regole comuni, con conseguente illegittimità dell’eseguita attività di ricerca
della prova e della inutilizzabilità del sequestro, quale suo interdipendente esito.
Tale conclusione è confortata, ad avviso del ricorrente, dalla giurisprudenza
che, contrapponendosi a quella che ritiene apprensibili “i frutti della pianta
avvelenata”, sottolinea il rapporto tra i due momenti (perquisizione e sequestro)
ed estende al sequestro la nullità della perquisizione quale suo antecedente
cronologico, logico e funzionale, in evidente rapporto di funzionalità tra loro.
Il tema, che si correla con la distinzione tra inutilizzabilità patologica e
fisiologica degli elementi probatori, deve anche fare i conti con la regola europea
tratta dall’art. 6 C.E.D.U., alla cui stregua le prove acquisite in violazione dei
diritti costituzionali sono incostituzionali, e con l’interpretazione estensiva del
principio codicistico, di cui all’art. 191 cod. proc. pen., della inutilizzabilità delle
prove assunte in violazione della legge, comprendendovi anche la Costituzione, e
quindi rientrandovi anche le prove acquisite in violazione dei diritti da essa
tutelati, come affermato in più occasioni nelle richiamate sentenze della Corte
costituzionale, delle Sezioni unite di questa Corte e della Corte E.D.U.
Nella specie, la illegittimità della perquisizione, operata in violazione dell’art.
6 C.E.D.U., ha inciso sul sequestro insanabilmente viziato come rilevato con
condivise considerazioni in situazione sovrapponibile dal Tribunale di Lecce con
sentenza n. 33 del 2013, ampiamente riportata per stralci testuali e condivisa
nelle sue riflessioni e conseguenti considerazioni.
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2011 che l’intervento era stato eseguito perché l’Ufficio aveva acquisito da

Espungendo dal processo le prove inutilizzabili, ad avviso del ricorrente,
nulla resta a suo carico con conseguente sua necessitata assoluzione da tutte le
imputazioni.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. La censura avanzata con il primo motivo riguarda la inutilizzabilità degli
esiti delle intercettazioni visive e sonore, eseguite all’interno dell’abitazione di

1.1. Detta eccezione è dedotta sotto il profilo, in diritto, della incorsa
violazione dei principi che attengono all’utilizzo della procedura di urgenza, che si
articola nella emissione, sul presupposto della urgenza, del decreto autorizzativo
da parte del pubblico ministero, e nella sua motivata convalida, entro il previsto
termine di quarantotto ore, da parte del giudice per le indagini preliminari, la cui
mancanza, ai sensi dell’art. 267, comma 2, cod. proc. pen., è ostativa alla
prosecuzione della intercettazione e preclusiva della utilizzazione dei suoi esiti, e
sotto il profilo, in fatto, dell’avviamento da parte del Pubblico Ministero delle
captazioni, convalidate il 22 aprile 2011, solo il 27 aprile 2011 e in concreto il
successivo 7 giugno 2011, dopo la scadenza del quarantesimo giorno fissato con
il decreto del 21 aprile 2011.
1.2. La questione, già posta dal ricorrente a oggetto del suo atto di appello e
coerentemente interpretata dalla Corte di appello in correlazione alla
rappresentata inammissibilità del differimento dell’avvio delle captazioni,
autorizzate dal Pubblico Ministero sul presupposto dell’urgenza, in contrasto con
detto stesso presupposto, è priva di fondamento.
1.3. Questa Corte, pronunciandosi sul tema delle intercettazioni disposte in
via di urgenza con decreto del pubblico ministero, successivamente convalidato
dal giudice per le indagini preliminari, ha ricordato, con orientamento
sostanzialmente uniforme, che la inutilizzabilità degli esiti di tali intercettazioni è
prevista dall’art. 267 cod. proc. pen. solo nel caso di mancata convalida e che,
pertanto, una volta che la stessa intervenga assorbendo integralmente il
provvedimento originario, resta preclusa ogni discussione sulla sussistenza del
requisito dell’urgenza, rimessa, peraltro, alla valutazione dell’organo procedente
(tra le altre, Sez. 1, n. 23513 del 22/04/2004, dep. 19/05/2004, Termini, Rv.
228245; Sez. 2, n. 215 del 04/12/2006, dep. 09/01/2007, Figliuzzi, Rv. 235859;
Sez. 6, n. 35930 del 16/07/2009, dep. 16/09/2009, lana, Rv. 244872; Sez. 5, n.
16285 del 16/03/2010, dep. 26/04/2010, Baldissin, Rv. 247266; Sez. F, n.
32666 del 24/08/2010, dep. 02/09/2010, Crupi, Rv. 248253).
1.3.1. Sotto concorrente profilo, si è anche osservato che, ai fini
dell’esercizio, da parte del pubblico ministero, della facoltà di disporre, nel
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Fortuna Davide, sita al civico n. 41 di Via del Borgo di Rioveggio di Monzuno.

concorso di grave pregiudizio alle indagini, intercettazioni in via d’urgenza, l’arco
cronologico in riferimento al quale va apprezzata l’eventualità di tale pregiudizio
(che consente, in deroga alla procedura ordinaria della richiesta di
autorizzazione, l’adozione del decreto del pubblico ministero) si identifica, in
mancanza di espressi riferimenti normativi, con lo stesso lasso di tempo
(quarantotto ore) riservato al giudice per la convalida del decreto dell’organo
inquirente (Sez. 1, n. 21923 del 30/01/2007, dep. 06/06/2007, Cirillo, Rv.
236693), e si è rimarcato che “non possono di per sé influire sulla validità e

nell’attivazione delle intercettazioni, risultando tali ritardi, afferenti la fase
esecutiva, inidonei a dimostrare ex post il difetto del requisito dell’urgenza che
va apprezzata avendo riferimento al momento dell’autorizzazione”,

anche

chiarendosi che il pubblico ministero, qualora ritenga di procrastinare l’inizio
delle operazioni rispetto alla data del decreto per ragioni connesse alle indagini,
non è tenuto a fornire in proposito alcuna motivazione, in quanto l’art. 267,
comma 3, cod. proc. pen. riserva alla parte “le modalità e la durata delle
operazioni” (tra le altre, Sez. 1, n. 20568 del 15/04/2011, dep. 24/06/2011,
Pelle, non massimata; Sez. 1, n. 33500 del 15/04/2011, dep. 09/09/2011, Pelle,
non massimata).
1.3.2. Si è anche rilevato, con ribadita enunciazione, che, in tema di
intercettazione di conversazioni o comunicazioni, è principio generale che la
durata delle operazioni deve computarsi dal momento di inizio effettivo delle
stesse, e, cioè, dal momento iniziale dell’esecuzione, e non da quello in cui viene
emesso il provvedimento che le autorizza (Sez. U, n. 6 del 23/02/2000,
dep. 08/05/2000, D’Amuri, Rv. 215842; tra le successive, Sez. 1, n. 3631 del
17/05/2000, dep. 13/06/2000, P.M. in proc. Dessi, Rv. 216178; Sez. 6, n. 22501
del 18/03/2011, dep. 07/06/2011, P.M. in proc. Battaglia, Rv. 250495),
rappresentandosi, sotto il profilo descrittivo e funzionale, che “l’art. 267 cod.
proc. pen., comma 3, prevede come oggetto di indefettibile previsione nel
decreto di autorizzazione un termine di durata preordinato ad assicurare il
controllo giurisdizionale sul contenimento nei limiti temporali strettamente
necessari per l’esecuzione di un’attività di indagine, invasiva ed incidente sul
diritto alla riservatezza nelle comunicazioni personali” (Sez. 5, n. 21047 del
11/03/2011, dep. 26/05/2011, D’Alfonso, Rv. 250416), sottolineandosi che su
tali premesse è ininfluente il “ritardo nell’adozione del decreto esecutivo (…)
oppure nella materiale esecuzione del provvedimento per ragioni connesse alla
complessiva attività di polizia giudiziaria”, e ulteriormente evidenziandosi che
“ciò che conta è solo il controllo giurisdizionale sul contenimento nei limiti
temporali strettamente necessari per l’esecuzione di un’attività di indagine
invasiva e non il momento dell’esecuzione stessa ad opera della polizia
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utilizzabilità dei risultati delle operazioni gli eventuali ritardi intervenuti

giudiziaria, condotta che implica la soluzione di problemi pratici, non conoscibili
da parte dell’autorità giudiziaria che procede” (Sez. 6, n. 11189 del 08/03/2012,
dep. 22/03/2012, Asaro, Rv. 252189, in motivazione).
1.4. Di questi principi, che il Collegio condivide e riafferma, la Corte di
appello dopo, e il Tribunale prima, hanno fatto esatta interpretazione e corretta
applicazione nella fattispecie concreta.
Le sentenze di merito, invero, hanno logicamente tenuto conto del provato
dato fattuale che il decreto del 21 aprile 2011, con il quale il Pubblico Ministero

dell’art. 267, comma 2, cod. proc. pen., è stato ritualmente convalidato con
decreto del 22 aprile 2001 del competente Giudice per le indagini preliminari,
che ha in tal modo esercitato il controllo sull’attività del Pubblico Ministero,
apprezzando, tra l’altro e per l’effetto, l’urgenza in relazione alla possibilità della
verificazione del “grave pregiudizio per le indagini”, e si sono ragionevolmente
fatte carico dell’emerso dato fattuale che l’indicato decreto ha trovato attuazione
pratica solo con decorrenza dal 7 giugno 2011, coerentemente collegando il
ritardo ai problemi tecnici, chiariti dal Pubblico Ministero, legati alle difficoltà di
accesso della Polizia giudiziaria nell’abitazione di Fortuna Davide, dove dovevano
essere collocati gli apparecchi funzionali alle operazioni di captazione.
In tal modo, l’apprezzamento conclusivo della utilizzabilità delle
intercettazioni è congruente, in diritto, con il ribadito rilievo che il vaglio
giurisdizionale del Giudice per le indagini preliminari in ordine al decreto di
urgenza del Pubblico Ministero è avvenuto, con riferimento al momento
dell’autorizzazione, nel rispetto del termine perentorio previsto dalla legge; con
la riaffermata esclusiva pertinenza dell’inizio delle operazioni alla fase esecutiva
rimessa all’organo investigativo, senza incidenza negativa del ritardo afferente a
tale fase (per la presenza di determinate esigenze tecniche e/o investigative) sul
già ritenuto requisito dell’urgenza, e con la condivisa decorrenza del termine di
validità dell’autorizzazione dalla data di effettivo inizio delle operazioni.
1.5. Nella indicata prospettiva sono destituiti di fondamento i rilievi difensivi,
che oppongono una lettura del testo normativo di cui all’art. 267, comma 2, cod.
proc. pen., che, fondato sulla rappresentazione del dato letterale riguardante la
impossibilità di “prosecuzione”, e non di “avvio”, delle captazioni in caso di
diniego della convalida, non trova riscontro nella giurisprudenza di questa Corte
e segnatamente nella decisione richiamata in ricorso (Sez. 1, n. 21923 del
30/01/2007, citata), che, nella massima ufficiale e nella motivazione, non si
riferisce all’avvio delle captazioni quale condizione di legittimità della richiesta di
convalida del pubblico ministero, ma al dato temporale dell’apprezzamento della
urgenza, identificato con lo spazio riservato al giudice per la convalida.

11

della D.D.A. di Catanzaro ha disposto le intercettazioni in via di urgenza, ai sensi

Neppure induce a diversa riflessione il riferimento, peraltro aspecifico in
mancanza di supporto documentale che lo attesti, al disposto avvio delle
captazioni da parte del Pubblico Ministero, funzionalmente deputato alla
indicazione delle loro modalità esecutive, il successivo 27 aprile 2011, mentre
sono contraddittori e comunque manifestamente infondati i rilievi difensivi
attinenti alla esclusa e, contestualmente, ammessa rilevanza dell’avvio effettivo
delle operazioni soltanto il successivo 7 giugno 2011, con riferimenti generici a
diverse emergenze di altro, pure generico, procedimento, e con la eccezione di

nel decreto, fatto decorrere dal 21 aprile 2011, e non fondatamente dal 7 giugno
2011.

2. Privo di fondatezza è anche il secondo motivo che attiene alla contestata
ammissibilità e utilizzabilità del materiale captato all’interno dell’abitazione di
Fortuna Davide, perché consistente, per ragioni tecniche attuative, in riprese
video “senza sonoro” rappresentative di comportamenti non comunicativi e,
pertanto, non apprezzabili come consentite comunicazioni tra presenti.
2.1. Secondo la tesi del ricorrente -già dedotta dinanzi al Tribunale, che l’ha
esaminata e valutata, giudicandola infondata, con l’ordinanza del 9 ottobre 2012
e successivamente con la sentenza dell’Il dicembre 2012, che ha definito il
primo grado del giudizio, e sottoposta, con i motivi di appello alla Corte di
appello, che ha confermato anche sul punto la prima sentenza- le captazioni che,
indipendentemente dal provvedimento autorizzativo, si sono risolte in riprese
video, né potevano proseguire dal momento dello “svanimento dell’audio”, né
potevano e possono ritenersi utilizzabili, in quanto attinenti a mere condotte,
ossia a meri comportamenti non comunicativi.
La tesi, che muove dal concetto di comunicazione e di comportamenti
comunicativi e trae ragione della non captabilità di detti comportamenti
all’interno della dimora privata e della loro conseguente non utilizzabilità
processuale da arresti di questa Corte e dai principi fissato dalle Sezioni unite
con la indicata decisione (n. 26795 del 2006), oltre che dai principi costituzionali
e sovranazionali, investe anche la inammissibilità, a commento di materiale
inutilizzabile, delle prove dichiarative, di contenuto, peraltro, empirico e
valutativo, non altrimenti e tecnicamente riscontrato.
2.2. I vari profili dedotti a conforto della eccezione sono privi di giuridico
pregio.
2.2.1. Le Sezioni unite di questa Corte, con la predetta decisione (Sez. U, n.
26795 del 28/03/2006, dep. 28/07/2006, Prisco, Rv. 234270), che, richiamata
dal ricorrente anche nel suo atto di appello e dai Giudici dei due gradi del giudizio
di merito, è stata già oggetto del dibattito giudiziario, hanno affermato che le
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inutilizzabilità delle intercettazioni successive alla scadenza del termine fissato

riprese video di comportamenti “non comunicativi” non possono essere eseguite
all’interno del “domicilio”, in quanto lesive dell’art. 14 Cost., e che, trattandosi di
prova illecita, non può trovare applicazione la disciplina dettata dall’art. 189 cod.
proc. pen.
Alla stregua dei principi sanciti da detta sentenza, che ha illustrato
l’intervento della Corte costituzionale con sentenza n. 135 del 2002 ed evocato,
sul punto della tutela del diritto alla riservatezza, i riferimenti all’art. 8 C.E.D.U. e
all’art. 17 Patto internazionale sui diritti civili e politici, deve, in particolare,

non comunicativi acquisite in ambito domiciliare, in quanto contrastanti con l’art.
14 Cost.; deve riconoscersi l’utilizzabilità delle videoregistrazioni di
comportamenti non comunicativi se avvenute in luoghi pubblici, aperti o esposti
al pubblico; deve riconoscersi l’utilizzabilità delle videoregistrazioni, pur
effettuate in ambito domiciliare, se aventi ad oggetto comportamenti a carattere
comunicativo, risultando in tal caso applicabile, in via interpretativa, la disciplina
legislativa della intercettazione ambientale in luoghi di privata dimora, cui
possono essere assimilate.
2.2.2. Tali principi, che questa Corte ha condiviso in successive decisioni (tra
le altre, Sez. 6, n. 44936 del 23/10/2012, dep. 16/11/2012, Evangelisti, Rv.
254116; Sez. 6, n. 16595 del 12/03/2013, dep. 12/04/2013, Evangelisti, Rv.
256145), sono stati esattamente interpretati dalla Corte di appello, che,
congruamente illustrandoli, e rilevando che, in coerenza con essi, le captazioni
visive in ambito domiciliare ripetevano la loro legittimità dalla presenza di più
persone comunicanti tra loro, ha non solo evidenziato la debita intervenuta
autorizzazione delle intercettazioni visive e sonore, ma ha anche rimarcato che,
pur nella temporanea assenza per disguido tecnico delle captazioni sonore,
quelle visive hanno consegnato al processo chiare rappresentazioni di condotte di
natura comunicativa, che, tenute dai tre soggetti entrati insieme nell’abitazione
(oggetto di intercettazione), si sono sostanziate nel costante dialogo tra essi
intercorso, anche non captato, nella concertata condivisione dei loro movimenti e
nella congiunta visione e gestione delle armi o di parti di esse.
Le indicate condotte sono state, poi, correlate, nell’iter valutativo delle
decisioni di merito e con diffuse e ragionevoli argomentazioni, con il successivo
ritrovamento nell’abitazione di Sasha Davide -avvenuto senza soluzione di
continuità nella prospettata evoluzione degli eventi- del fucile mitragliatore
kalashnikov, delle parti di armi e delle munizioni in sequestro, e con i pertinenti
riferimenti alle emergenze processuali di natura dichiarativa e tecnica
riconducenti, senza alcuna necessità di ulteriori verifiche peritali, alla presenza
del ricorrente in detto luogo.

13

escludersi l’ammissibilità, come prove, delle videoregistrazioni di comportamenti

2.2.3. Consegue agli svolti rilievi -non oggetto di critica specifica da parte
del ricorrente che, riproponendo le sue deduzioni, si è limitato a contestare la
ritenuta natura comunicativa del materiale captato e la sufficienza delle
emergenze disponibili e utilizzate, in contrapposizione argomentativa rispetto
all’operato apprezzamento fattone in diritto e in fatto- la correttezza dell’analisi
svolta che, valorizzando la chiara rappresentazione, tratta dalle captazioni, della
presenza dei tre soggetti, tra cui il ricorrente, in effettiva comunicazione tra loro,
e delle armi nello stesso luogo del loro successivo, ma non discontinuo,

le armi, in via concorsuale, allo stesso ricorrente.

3. Destituito di fondamento è anche il terzo motivo, relativo alla utilizzabilità
a fini probatori degli esiti della perquisizione domiciliare del 29 giugno 2011, che
il ricorrente contesta sotto i concorrenti profili afferenti alla fonte della
informazione che l’ha determinata, ai tempi differiti della sua esecuzione e alla
sua inutilizzabilità patologica anche in relazione alla violazione della regola tratta
dall’art. 6 C.E.D.U., refluente sulla utilizzabilità del successivo sequestro.
3.1. La Corte di appello, a fronte di analoghe eccezioni sottoposte alla sua
valutazione dall’imputato appellante, che le ha testualmente riproposte a
sostegno del motivo in esame, ha rimarcato sia la legittimità della perquisizione,
eseguita ritualmente e nel concorso dei presupposti di legge, sia la legittimità
dell’intervenuto sequestro, seguito a rituale perquisizione e rispettoso dei principi
costituzionali ed europei, dando conto, sì come sintetizzato sub 4) del “ritenuto
in fatto”, della infondatezza delle deduzioni difensive attraverso richiami fattuali
alle emergenze processuali, apprezzate come dimostrative dell’espresso
convincimento.
3.2. La correttezza di tale conclusivo giudizio deve essere confermata, ad
avviso del Collegio, alla luce della esplicitazione di un percorso argomentativo,
che, pure sotteso alle considerazioni della sentenza impugnata, assorbe in diritto
le questioni poste, che nei termini dedotti si atteggiano come sub valenti.
3.2.1. Le Sezioni unite di questa Corte hanno, invero, fissato da tempo il
principio di diritto, qui condiviso e riaffermato, alla cui stregua, allorquando la
perquisizione sia stata effettuata senza l’autorizzazione del magistrato e non nei
“casi” e nei “modi” stabiliti dalla legge, come prescritto dall’art. 13 Cost., si è in
presenza di un mezzo di ricerca della prova che non è compatibile con la tutela
del diritto di libertà del cittadino, estrinsecabile attraverso il riconoscimento della
inviolabilità del domicilio, cui consegue che, non potendo essere qualificato come
inutilizzabile un mezzo di ricerca della prova, ma solo la prova stessa, la
perquisizione è nulla e il sequestro eseguito all’esito di essa non è utilizzabile
come prova nel processo, salvo che ricorra l’ipotesi prevista dall’art. 253, comma
14

ritrovamento, è pervenuta, in termini di congruente inferenza logica, a collegare

1, cod. proc. pen., nella quale il sequestro del corpo del reato o delle cose
pertinenti al reato, costituendo un atto dovuto, rende del tutto irrilevante il modo
con cui ad esso si sia pervenuti (Sez. U, n. 5021 del 27/03/1996, dep.
16/05/1996, Sala, Rv. 204643).
3.2.2. Il principio che l’eventuale vizio della perquisizione non ha riflessi
invalidanti sul sequestro (che costituisce un atto dovuto a norma dell’art. 253,
comma 1, cod. proc. pen.) del corpo del reato, che venga ritrovato nel corso
della perquisizione in quanto dimostrativo in via immediata del collegamento

indispensabili per l’accertamento dei fatti e della responsabilità penale ipotizzati
a carico dell’indagato, espresso nella immediatezza dell’indicato intervento
compositore del precedente rilevato contrasto giurisprudenziale (Sez. 3, n. 3879
del 14/11/1997, dep. 10/01/1998, Bigazzi B., Rv. 209400), è stato
costantemente ribadito da questa Corte, tanto da costituire ius receptum (tra le
altre, Sez. 1, n. 2791 del 27/01/1998, dep. 04/03/1998, Beltrami, Rv. 210002;
Sez. 5, n. 6712 del 07/12/1998, dep. 16/02/1999, Bartoli M., Rv. 212896; Sez.
4, n. 8052 del 02/06/2000, dep. 07/07/2000, Griggio, Rv. 216865; Sez. 1, n.
41449 del 02/10/2001, dep. 17/11/2001, Mini, Rv. 220082; Sez. 1, n. 497 del
05/12/2002, dep. 09/01/2003, Dammagio, Rv. 222799; Sez. 2, n. 26683 del
14/05/2003, dep. 19/06/2003, Ciccarone, Rv. 225175; Sez. 1, n. 18438 del
28/04/2006, dep. 25/05/2006, Proietti, Rv. 234672; Sez. 2, n. 40833 del
10/10/2007, dep. 07/11/2007, Lonoce, Rv. 238114; Sez. 6, n. 37800 del
23/06/2010, dep. 25/10/2010, M’Nasri, Rv. 248685; Sez. 1, n. 42010 del
28/10/2010, dep. 26/11/2010, Raso, Rv. 249021), di recente ulteriormente
riaffermato in applicazione del principio “male captum bene retentum” (Sez. 2, n.
31225 del 25/06/2014, dep. 16/07/2014, Mykhailo, Rv. 260033).
3.2.3. Tale condiviso approccio interpretativo risponde anche a esigenze di
coerenza del sistema, che, a fronte di un obbligato sequestro e di una obbligata
confisca di un oggetto costitutivo del corpo del reato, come tale da introdurre
sempre obbligatoriamente nel contesto del procedimento, sarebbe in sé
contraddittorio ove si ammettesse che lo stesso oggetto non potrebbe essere
utilizzato ai fini della prova (Sez. 1, n. 42010 del 28/10/2010, citata, in
motivazione).
3.2.4. E’ consequenziale alle svolte considerazioni il rilievo che, nel caso di
specie, versandosi in ipotesi di sequestro del corpo del reato, costituito da arma,
parti di arma e munizioni, l’eseguito sequestro, in quanto atto dovuto, è
utilizzabile probatoriamente nel processo in qualsiasi modo si sia ad esso
pervenuti, e quindi prescindendo da ulteriori valutazioni afferenti alla legittimità
della eseguita perquisizione.

15

della cosa stessa con l’illecito penale, o delle cose pertinenti al reato, che siano

Tale legittimità è, peraltro e in ogni caso, anche sussistente, trovando il suo
fondamento normativo nella disposizione di cui all’art. 41 T.U.L.P.S., che,
espressamente mantenuta in vigore dall’art. 225 norme coord. cod. proc. pen.,
prevede la possibilità per la polizia giudiziaria di compiere perquisizioni di
iniziativa quando abbia comunque notizia, anche se per indizio, della presenza in
un determinato luogo di armi e munizioni abusivamente detenute, prevalendo in
tal caso le esigenze di difesa sociale e di accertamento dei reati sulla tutela dei
diritti dei privati, che subiscono un affievolimento nel superiore interesse

Rv. 195189; Sez. 4, n. 30313 del 17/05/2005, dep. 10/08/2005, Cicerone, Rv.
232021; Sez. 1, n. 18438 del 28/04/2006, citata; Sez. 1, n. 42010 del
28/10/2010, citata).
3.3. Nel descritto contesto non possono trovare accoglimento le
argomentazioni del ricorrente, che, aspecifiche nella operata riproposizione dei
contenuti dell’atto di appello (tra le altre, Sez. 5, n. 11933 del 27/01/2005, dep.
25/03/2005, Giagnorio, Rv. 231708; Sez. 6, n. 20377 del 11/03/2009,
dep. 14/05/2009, Arnone, Rv. 243838), sono prive di fondatezza nella eseguita
reiterazione dei principi giurisprudenziali che, in tema di rapporti tra i momenti
della perquisizione e del sequestro, hanno preceduto l’intervento suindicato delle
Sezioni unite (Sez. U, n. 5021 del 27/03/1996, citata), e come espressivi del
rilevato contrasto sono stati richiamati sia in detta sentenza sia nella collegata
relazione dell’Ufficio del Massimario penale (Rel. 9694), e che, con riguardo al
tema della inutilizzabilità della prova, hanno ricevuto risposta nello stesso
intervento delle Sezioni unite, che richiamando le categorie della nullità e
inutilizzabilità in tema di patologia della prova e i diversi presupposti cui sono
correlate, in fattispecie relativa a perquisizione illegittima e a successivo
sequestro di cose pertinenti al reato, ritenuto in sentenza atto dovuto, hanno
sottolineato, come da massimazione ufficiale, che la inosservanza delle formalità
prescritte dalla legge ai fini della legittima acquisizione della prova nel processo
non è, di per sé, sufficiente a rendere quest’ultima inutilizzabile, per effetto di
quanto disposto dal primo comma dell’art. 191 cod. proc. pen. (Sez. U, n. 5021
del 27/03/1996, dep. 16/05/1996, Sala, Rv. 204644).
Né induce a diversa conclusione il richiamo fatto dal ricorrente nel suo
ricorso alla sentenza n. 33 del 7 febbraio 2013 del Tribunale di Lecce, che ha
svolto riflessioni e sostenuto sue considerazioni in contrasto con i predetti
principi di diritto, reiterando rilievi oppositivi, che il ricorrente ha affermato di
condividere, già oggetto di apprezzamento negativo nella coerente condivisa
lettura e interpretazione dei dati normativi sviluppate nel tempo da questa Corte.

4. Il ricorso deve essere, pertanto, rigettato.

16

pubblico (tra le altre, Sez. 4, n. 8919 del 04/06/1993, dep. 28/09/1993, Kila,

Al rigetto del ricorso segue per legge, in forza del disposto dell’art. 616 cod.
proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.

Il Consigliere estensore

Il Presidente

Così deciso in Roma, il 25 novembre 2014

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