Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 49839 del 22/11/2013


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Penale Sent. Sez. 2 Num. 49839 Anno 2013
Presidente: CAMMINO MATILDE
Relatore: DI MARZIO FABRIZIO

Data Udienza: 22/11/2013

SENTENZA
Sul ricorso proposto da Colace Nazzareno, nato il 28.1.1964avverso la
ordinanza del GIP del Tribunale di Vibo Valentia del 6.3.2013.Sentita la
relazione della causa fatta dal consigliere Fabrizio Di Marzio; lette le
conclusioni del sostituto procuratore generale Alfredo Montagna, il quale ha
concluso chiedendo che l’ordinanza sia annullata senza rinvio.
OSSERVA
Colace Nazzareno ricorre contro il provvedimento in epigrafe con cui il G.I.P.
presso il Tribunale di Vibo Valentia ha revocato il decreto di archiviazione in
data 14 giugno 2012. Il ricorrente lamenta l’abnormità di tale provvedimento
di revoca, del tutto esulante dai poteri riconosciuti al giudice nel nostro
sistema processuale penalistico.
La persona offesa, con memoria depositata ai sensi dell’art. 611 cod. proc.
pen. in data 21.11.2013ha argomentato al contrario la ritualità del
provvedimento impugnato, richiamando giurisprudenza di legittimità,
segnalando ulteriormente la tempestività dell’integrazione dell’atto di
opposizione all’archiviazione.

1

La categoria dell’abnormità (sulla quale v. in particolare le pronunce delle
Sezioni Unite 25957 del 26 marzo 2009 e della Cass. sez. VI, 12 novembre
2009, n. 2945) si definisce, invero, in rapporto al tema della tassatività, che
impronta il regime delle impugnazioni in generale e del ricorso per cassazione
in particolare. Essa individua propriamente uno sviamento della funzione
giurisdizionale, la quale non rispecchia più il modello previsto dalla legge, ma
si colloca al di là del perimetro entro il quale è riconosciuta dall’ordinamento.

positivamente disciplinati, quanto che si versi in una ipotesi di atto
normativamente previsto e disciplinato, ma “utilizzato” al di fuori dell’area che
ne individua la funzione e la stessa ragione di essere nell’iter procedimentale,
ciò che segnala la relativa abnormità è proprio l’esistenza o meno del “potere”
di adottarlo.
In questa prospettiva, dunque, abnormità strutturale e funzionale si saldano
all’interno di un “fenomeno” unitario. Ove sia proprio l'”attribuzione” a far
difetto – e con essa, quindi, il legittimo esercizio della funzione giurisdizionale
– la conseguenza non potrà essere altra che quella dell’abnormità, cui
consegue l’esigenza di rimozione. Se invece all’autorità giudiziaria può
riconoscersi “attribuzione” circa l’adottabilità di un determinato
provvedimento, i relativi, eventuali vizi saranno solo quelli previsti dalla legge.
Non importa e non basta dunque, per la sussistenza dell’abnormità, che il
potere, esistente, sia solo stato male esercitato, giacché in tal caso esso
sfocia in un atto illegittimo ma non abnorme.
Nel caso in esame, il GUP ha indubbiamente esercitato un potere non
riconosciuto dall’ordinamento.
In passato, questa Corte ha ritenuto che non è affetta da abnormità
l’ordinanza con cui il g.i.p., accertata l’omessa notifica della richiesta di
archiviazione alla persona offesa che aveva chiesto di essere avvisata, revochi
il decreto di archiviazione precedentemente emesso, in quanto tale
provvedimento non determina alcuna stasi processuale, rientra nei poteri di
riapertura delle indagini spettanti al g.i.p. ed è coerente col principio generale
volto all’eliminazione dell’atto viziato (Cass. Sez. V, 28.9.2010, n. 45161;
prima ancora, cfr. Cass. pen., sez. II, 28 settembre 2005 n. 40229, Cass.
pen. n. 41994 del 2004).
Si tratta tuttavia di un orientamento minoritario, da disattendere considerato
che la revoca del decreto di archiviazione è estranea al vigente sistema
processuale ed, in quanto tale, atto abnorme. Recentemente questa Corte

Tanto che si tratti di un atto strutturalmente “eccentrico” rispetto a quelli

(cfr. Cass. Sez. VI, 9.190.2012, n. 41393) ha avuto modo di argomentare
diffusamente sul punto rilevando che “l’opzione interpretativa volta a dirimere
la questione devoluta debba essere ricercata attraverso il criterio del
superamento o meno del “ragionevole limite” dell’esercizio del potere da parte
del giudice, ribadito nella sentenza Battistella. A tale scopo non è sufficiente,
tuttavia, il solo richiamo del principio di ragionevole durata del processo, per
l’economia processuale che si conseguirebbe attraverso la revoca

dell’archiviazione. Il richiamo al principio non ha valenza autosufficiente per la
generale considerazione in tema di interpretazione secondo la quale non vi è
regola che possa essere ricavata da un principio con un ragionamento
puramente deduttivo senza l’aggiunta di ulteriori premesse di qualche genere.
L’eccesso deduttivistico dell’impostazione che fonda direttamente le sue
conclusioni sul principio invocato si rende palese ove si consideri che, nella
vicenda esaminata dalle S.U. Battistella, il principio è stato considerato in uno
alla struttura e funzione dello specifico contesto processuale, dando luogo al
giudizio circa la indebita regressione del procedimento ed alla sua
conseguente abnormità (“la soluzione ermeneutica prospettata sembra la più
aderente all’impianto strutturale e funzionale dell’udienza preliminare, attesa
la dimostrata centralità dell’atto imputativo, nonchè alle esigenze di economia
della giurisdizione, poichè, sulla base di una rilettura rigorosa e
costituzionalmente orientata della categoria dell’abnormità nell’elaborazione
giurisprudenziale di questa Corte, ogni fattispecie di indebita regressione
costituisce un serio vulnus all'”ordoprocessus”, inteso come sequenza logicocronologica coordinata di atti, in spregio dei valori di rilievo costituzionale (art.
111 Cost., comma 2: regola precettiva e interpretativa, a un tempo)
dell’efficienza e della ragionevole durata del processo”). Nella vicenda in
esame, invece, il richiamo al principio – privo della considerazione delle
connotazioni strutturali e funzionali del momento procedimentale in cui si
inserisce – è proposto, questa volta, a fondamento della tesi più restrittiva
della nozione di abnormità, svalutando il profilo della regressione della fase
procedimentale che si verifica con la revoca del decreto. Secondo il Collegio è
più consono al richiamato criterio discretivo il secondo degli orientamenti
richiamati poggiato su una più completa considerazione della razionalità del
sistema, oltre la quale, appunto, non è consentito andare.
Il sistema processuale vigente è stato voluto secondo una precisa e rigida
distinzione dei ruoli di ogni soggetto che vi partecipa e preclude al giudice
qualsiasi potere di impulso dell’azione penale, espressamente riservato alla

3

pubblica accusa, anche nel procedimento di archiviazione: il legislatore del
1988 ha espressamente subordinato la possibile riapertura delle indagini ad
una specifica richiesta del pubblico ministero indirizzata al vaglio del giudice
per le indagini preliminari – che per sua natura ha funzioni “intermittenti”
attivate di volta in volta in base a specifiche previsioni di legge. Ebbene, già
per queste fondamentali connotazioni di sistema non trova giustificazione un
provvedimento di revoca del decreto di archiviazione, dato che il potere di

esercitare l’azione penale si è già consumato, e può essere ripristinato solo
con il verificarsi di specifiche circostanze previste dallo stesso codice di rito.
Infine, non può mancarsi di considerare che con l’esercizio di una sorta di
jutoenitendi il giudice si autoattribuisce la tutela di posizioni soggettive, nella
specie della parte offesa, a fronte di una contrastante posizione – quella
dell’indagato – che, anche in ragione della sua tutela costituzionale, non deve
dipendere da imprevisti ripensamenti.
Cosicchè, priva dei richiamati riferimenti di sistema, non persuade
l’individuazione dei supporti sistematici che sorreggono l’orientamento che
nega la sussistenza dell’abnormità; i quali supporti appaiono, peraltro,
tutt’altro che intrinsecamente solidi.
La possibilità di riapertura delle indagini non implica affatto la revoca del
precedente decreto di archiviazione ma solo l’autorizzazione a nuove indagini,
tanto che si procede ad una nuova iscrizione nell’apposito registro da parte
del P.M. (v. art. 414 c.p.p., comma 2). Quanto al potere-dovere di rinnovare
l’atto nullo attribuito al giudice dall’art. 185 c.p.p. esso non può essere
interpretato espansivamente in base al principio costituzionale di efficienza
processuale e della ragionevole durata del processo, fino a ricomprendere
situazioni definite. Come non è revocabile dal giudice che l’ha emessa una
sentenza a causa di una nullità del processo / così non è revocabile il decreto di
archiviazione, posto che esso – come detto – non è oggetto di revoca ex art.
414 c.p.p. ed ha un suo contenuto decisorio e preclusivo, sia pur rebus sic
stantibus.
Il decreto di archiviazione costituisce atto dotato di sia pur limitata stabilità e
di effetto (limitatamente) preclusivo e può venir meno solo quando venga
annullato a seguito di impugnazione con ricorso per cassazione, a causa della
violazione del contraddicono;mentre i suoi effetti preclusivi essere
neutralizzati quando, su istanza del p.m., venga decretata la riapertura delle
indagini ai sensi dell’art. 414 c.p.p.. Tale caratterizzazione strutturale e
funzionale dell’istituto verrebbe meno se fosse consentito al giudice che h

4

adottato il decreto di caducarlo, per qualunque ragione, che solleciti il riesame
dell’adottata statuizione”.
Pertanto il provvedimento di revoca gravato è abnorme ed il rimedio per
annullarlo è l’azionato ricorso per cassazione.
Per conseguenza, il provvedimento deve essere annullato con trasmissione
degli atti al Tribunale di Vibo Valentia per l’ulteriore corso.
PQM

atti al Tribunale di Vibo Valentia.

Così deliberato il 22.11.2013
Il Consigliere estensore
Fabrizio Di Marzio

Il Presidente
Matilde Cammino

Annulla senza rinvio il provvedimento impugnato e dispone trasmettersi gli

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA