Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 49827 del 07/12/2015


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 49827 Anno 2015
Presidente: D’ISA CLAUDIO
Relatore: MONTAGNI ANDREA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
MOCELLINI LUCIANO N. IL 10/03/1969
avverso la sentenza n. 5980/2014 CORTE APPELLO di MILANO, del
18/12/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 07/12/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ANDREA MONTAGNI
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Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

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Udito, per la,Parte civile, l’Avv
Uditi dife or Avv.

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Data Udienza: 07/12/2015

Ritenuto in fatto
1. La Corte di Appello di Milano, con sentenza in data 18.12.2014 confermava
la sentenza di condanna resa dal G.i.p. del Tribunale di Busto Arsizio il 17.06.2014,
all’esito di giudizio abbreviato, nei confronti di Mocellini Luciano, in ordine al reato
di cui all’art. 73, comma V, d.P.R. n. 309/1990. Al prevenuto si contesta la
detenzione a fine di spaccio di gr. 16 di eroina e di un grammo di cocaina.
2. Avverso la predetta sentenza della Corte di Appello ha proposto ricorso per

L’esponente, con il primo motivo, contesta l’affermazione di penale
responsabilità.
La parte osserva che dal verbale di arresto in flagranza risulta che Mocellini
venne intercettato dai militari subito dopo aver effettuato l’acquisto dello
stupefacente. Ciò posto, l’esponente osserva che Mocellini ebbe a recarsi nella zona
ove si svolgeva l’attività di spaccio in auto, unitamente a due amici; e considera che
le predette circostanze, unitamente al quantitativo lordo sequestrato, risultano
conferenti con le dichiarazioni rese dal prevenuto in sede di convalida, circa il fatto
che la droga era destinata all’intero gruppo. Osserva che la Zambellini Loredana,
che si trovava a bordo dell’auto, ebbe a riferire che la droga apparteneva
unicamente al Mocellini, solo per allontanare da sé ogni responsabilità. Il ricorrente
considera poi che difetta la prova circa la natura delle sostanze sequestrate; e
rileva che la Corte di territoriale ha omesso di soffermarsi sul relativo tema, che era
stato specificamente dedotto con l’atto di appello.
Con il secondo motivo l’esponente osserva che la Corte di Appello avrebbe
dovuto assolvere l’imputato, ai sensi dell’art. 530, comma II, cod. proc. pen.
Con il terzo motivo la parte deduce il vizio motivazionale, in riferimento alla
determinazione della pena.
Considerato in diritto
1. Il ricorso è destituito di fondamento.
2. Soffermandosi congiuntamente sul primo e sul secondo motivo di ricorso,
deve rilevarsi che, stante il consolidato orientamento della Suprema Corte, il vizio
logico della motivazione deducibile in sede di legittimità deve risultare dal testo
della decisione impugnata e deve essere riscontrato tra le varie proposizioni inserite
nella motivazione, senza alcuna possibilità di ricorrere al controllo delle risultanze
processuali; con la conseguenza che il sindacato di legittimità “deve essere limitato
soltanto a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo, senza
spingersi a verificare l’adeguatezza delle argomentazioni, utilizzate dal giudice del
merito per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni
processuali” (in tal senso, “ex plurimis”, Cass. Sez. 3, n. 4115 del 27.11.1995, dep.
10.01.1996, Rv. 203272).

cassazione l’imputato, a mezzo del difensore.

Tale principio, più volte ribadito dalle varie sezioni di questa Corte, è stato
altresì avallato dalle stesse Sezioni Unite le quali hanno precisato che esula dai
poteri della Corte di Cassazione quello di una “rilettura” degli elementi di fatto, posti
a sostegno della decisione, il cui apprezzamento è riservato in via esclusiva al
giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera
prospettazione di una diversa, e per i ricorrenti più adeguata, valutazione delle
risultanze processuali (Cass. Sez. U, Sentenza n. 6402 del 30/04/1997,

modifica dell’art. 606 lett. e) cod. proc. pen., per effetto della legge 20 febbraio
2006 n. 46, resta immutata la natura del sindacato che la Corte di Cassazione può
esercitare sui vizi della motivazione, essendo rimasto preclusa, per il giudice di
legittimità, la pura e semplice rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento
della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione o
valutazione dei fatti (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 17905 del 23.03.2006,
dep. 23.05.2006, Rv. 234109). Pertanto, in sede di legittimità, non sono consentite
le censure che si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione delle
circostanze esaminate dal giudice di merito (ex multis Cass. Sez. 1, Sentenza n.
1769 del 23/03/1995, dep. 28/04/1995, Rv. 201177; Cass. Sez. 6, Sentenza n.
22445 in data 8.05.2009, dep. 28.05.2009, Rv. 244181).
Deve pure considerarsi che la Corte regolatrice ha da tempo chiarito che non
è consentito alle parti dedurre censure che riguardano la selezione delle prove
effettuata da parte del giudice di merito. A tale approdo, si perviene considerando
che, nel momento del controllo di legittimità, la Corte di cassazione non deve
stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore possibile
ricostruzione dei fatti, né deve condividerne la giustificazione, dovendo limitarsi a
verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune e con “i
limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento”, secondo una formula
giurisprudenziale ricorrente (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 1004 del 30/11/1999,
dep. 31/01/2000, Rv. 215745; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 2436 del 21/12/1993,
dep. 25/02/1994, Rv. 196955). Come già sopra si è considerato, secondo la
comune interpretazione giurisprudenziale, l’art. 606 cod. proc. pen. non consente
alla Corte di Cassazione una diversa “lettura” dei dati processuali o una diversa
interpretazione delle prove, perché è estraneo al giudizio di legittimità il controllo
sulla correttezza della motivazione in rapporto ai dati processuali. E questa
interpretazione non risulta superata in ragione delle modifiche apportate all’art.
606, comma primo lett. e) cod. proc. pen. ad opera della Legge n. 46 del 2006; ciò
in quanto la selezione delle prove resta attribuita in via esclusiva al giudice del
merito e permane il divieto di accesso agli atti istruttori, quale conseguenza dei
limiti posti all’ambito di cognizione della Corte di Cassazione. Ebbene, si deve in

dep. 02/07/1997, Rv. 207945). E la Corte regolatrice ha rilevato che anche dopo la

questa sede ribadire l’insegnamento espresso dalla giurisprudenza di legittimità, per
condivise ragioni, in base al quale si è rilevato che nessuna prova, in realtà, ha un
significato isolato, slegato dal contesto in cui è inserita; che occorre
necessariamente procedere ad una valutazione complessiva di tutto il materiale
probatorio disponibile; che il significato delle prove lo deve stabilire il giudice del
merito e che il giudice di legittimità non può ad esso sostituirsi sulla base della
lettura necessariamente parziale suggeritagli dal ricorso per cassazione (Cass. Sez.

Delineato nei superiori termini l’orizzonte del presente scrutinio di legittimità,
si osserva che il ricorrente invoca, in realtà, una riconsiderazione alternativa del
compendio probatorio, con riguardo all’affermazione di penale responsabilità.
Invero, il deducente non solleva censure che attingono il percorso argomentativo
sviluppato dalla Corte di Appello, ma si duole della mancata valorizzazione di
determinati elementi di fatto, omettendo di confrontarsi con il percorso
argomentativo sviluppato dalla Corte di Appello. E preme evidenziare che i giudici
del gravame si sono soffermati sul complessivo compendio probatorio,
sottolineando: che l’auto condotta dal prevenuto si era allontanata velocemente,
una volta che i Carabinieri erano sopraggiunti sul posto; che la passeggera
Zambonini aveva pure riferito che era stato proprio Mocellini a gettare la droga dal
finestrino, prima che i militari intimassero l’Alt”; che i Carabinieri avevano in effetti
rinvenuto, ad alcuni metri di distanza dall’auto, due involucri di cellophane,
contenenti rispettivamente gr. 16 di eroina e d un grammo di cocaina; e che la tesi
sostenuta dall’imputato, circa il preteso uso di gruppo della droga sequestrata, non
trovava alcun riscontro nell’accertato contesto fattuale. Del resto, come noto il c.d.
consumo di gruppo di sostanze stupefacenti, sia nell’ipotesi di acquisto congiunto,
che in quella di mandato all’acquisto collettivo ad uno dei consumatori, non è
penalmente rilevante, ma integra l’illecito amministrativo sanzionato dall’art. 75
stesso d.P.R., a condizione che: a) l’acquirente sia uno degli assuntori; b) l’acquisto
avvenga sin dall’inizio per conto degli altri componenti del gruppo; c) sia certa sin
dall’inizio l’identità dei mandanti e la loro manifesta volontà di procurarsi la
sostanza per mezzo di uno dei compartecipi, contribuendo anche finanziariamente
all’acquisto (cfr. Cass. Sez. U, Sentenza n. 25401 del
31/01/2013, dep. 10/06/2013, Rv. 255258); e si tratta di elementi di fatto che non
emergono altrimenti dal censito quadro probatorio.
E’ poi appena il caso di rilevare che l’esponente nell’atto di appello aveva solo
incidentalmente richiamato la diversa questione relativa all’esatto numero di dosi
droganti ricavabili dalla sostanza detenuta dal Mocellini, di talché neppure sussiste
la dedotta lacuna motivazionale. Del resto, si deve osservare che il contesto
fattuale sopra descritto – non contestato dalla difesa – e la stessa tesi sostenuta
4

5, Sentenza n. 16959 del 12/04/2006, dep. 17/05/2006, Rv. 233464).

dall’imputato, circa la sussistenza della fattispecie del così detto consumo di
gruppo, inducono a rilevare che la natura drogante della sostanza detenuta (e di cui
Mocellini ebbe precipitosamente a disfarsi, alla vista dei militari), costituisce un
tema non controverso, nell’ambito della vicenda processuale che occupa, definita
nelle forme del rito abbreviato.
3. Il terzo motivo è infondato.
Si osserva che la decisione impugnata risulta sorretta da conferente apparato

concerne la determinazione del trattamento sanzionatorio. E’ appena il caso di
considerare che in tema di valutazione dei vari elementi per la concessione delle
attenuanti generiche, ovvero in ordine al giudizio di comparazione e per quanto
riguarda la dosimetria della pena ed i limiti del sindacato di legittimità su detti
punti, la giurisprudenza di questa Suprema Corte non solo ammette la c.d.
motivazione implicita (Cass. sez. VI 22 settembre 2003 n. 36382 n. 227142) o con
formule sintetiche (tipo “si ritiene congrua” vedi Cass. sez. VI 4 agosto 1998 n.
9120 Rv. 211583), ma afferma anche che le statuizioni relative al giudizio di
comparazione tra circostanze aggravanti ed attenuanti, effettuato in riferimento ai
criteri di cui all’art. 133 cod. pen., sono censurabili in cassazione solo quando siano
frutto di mero arbitrio o ragionamento illogico (Cass. sez. III 16 giugno 2004 n.
26908, Rv.•229298). Si tratta di evenienza che non sussiste nel caso di specie. La
Corte di Appello ha infatti evidenziato: che il primo giudice aveva contenuto la pena
in mesi nove di reclusione oltre la multa; e che i plurimi precedenti penali a carico
dell’imputato non consentivano di mitigare ulteriormente il trattamento
sanzionatorio.
4. Al rigetto del ricorso, che si impone, segue la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma il 7 dicembre 2015.

argomentativo, che soddisfa appieno l’obbligo motivazionale, anche per quanto

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