Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 49824 del 15/10/2013


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 49824 Anno 2013
Presidente: CAMMINO MATILDE
Relatore: VERGA GIOVANNA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
DIANO NICOLA N. IL 12/05/1965
avverso la sentenza n. 1520/2010 CORTE APPELLO di REGGIO
CALABRIA, del 28/06/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 15/10/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GIOVANNA VERGA
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. A , rtet.71.
che ha concluso per .e 114

Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv.

Data Udienza: 15/10/2013

MOTIVI DELLA DECISIONE
Con sentenza in data 28 giugno 2012 la Corte d’Appello di Reggio Calabria ha
confermato la sentenza del locale Tribunale che in data 7 marzo 2008 aveva
condannato Diano Nicola per i reati aggravati di truffa e falsità in scrittura privata.
Ricorre per cassazione l’imputato deducendo
1. violazione di legge per erronea applicazione dell’articolo 640 codice penale, per
assenza del profilo del profitto e del danno, dell’aggravante di cui all’articolo 61
numero 11 e dell’articolo 485 codice penale;
2.

vizio della motivazione. Lamenta assenze t di motivazione con riguardo alle
censure sollevate in sede di appello.

Rileva il Collegio che il primo motivo di ricorso deve essere dichiarato inammissibile ai
sensi dell’art. 606 c. 3 C.P.P. posto che le violazioni denunziate in questa sede di
legittimità non sono state dedotte innanzi alla Corte di Appello avverso la cui sentenza è
ricorso e sono quindi questioni nuove. Con i motivi d’appello il ricorrente si era limitato
a contestare la penale responsabilità sostenendo che non c’era stato diretto contatto fra
Diano e Fois e comunque che non vi erano stati i contestati raggiri e a richiedere
genericamente il minimo della pena.
Questa Corte (Cass. Sez. 4^, 18/05/1994 – 13/07/1994, n. 7985) ha infatti affermato
che sussiste violazione del divieto di “novum” nel giudizio di legittimità quando siano
per la prima volta prospettate in detta sede questioni, come quella in esame,
coinvolgenti valutazioni in fatto, mai prima sollevate ovvero siano dedotti motivi di
censura attinenti capi e/o punti della decisione ormai intangibili per non essere investiti
da tempestiva doglianza nella fase di merito e, perciò, assistiti dalla presunzione di
conformità al diritto.
Anche il secondo motivo del ricorso è manifestamente infondato.
Il ricorrente censura l’apparato motivazionale della sentenza della Corte d’Appello
lamentando un’assenza di motivazione in ordine alle specifiche censure mosse alla
sentenza di primo grado

Questa Corte, nel precisare i limiti di legittimità della motivazione per relationem della
sentenza di appello, ha avuto modo di affermare che l’integrazione della motivazione tra
le conformi sentenze di primo e secondo grado è possibile soltanto se nella sentenza
d’appello sia riscontrabile un nucleo essenziale di argomentazione, da cui possa
desumersi che il giudice del secondo grado, dopo avere proceduto all’esame delle
censure dell’appellante, ha fatto proprie le considerazioni svolte dal primo giudice. Più
specificamente, l’ambito della necessaria autonoma motivazione del giudice d’appello
risulta correlato alla qualità e alla consistenza delle censure rivolte dall’appellante. Se
questi si limita alla mera riproposizione di questioni di fatto già adeguatamente
esaminate e correttamente risolte dal primo giudice, oppure di questioni generiche,
superflue o palesemente inconsistenti, il giudice dell’impugnazione ben può motivare

A)

per relazione e trascurare di esaminare argomenti superflui, non pertinenti, generici o
manifestamente infondati. Quando, invece, le soluzioni adottate dal Giudice di primo
grado siano state specificamente censurate dall’appellante, sussiste il vizio di
motivazione, sindacabile ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e, se il giudice del gravame
si limita a respingere tali censure e a richiamare la contestata motivazione in termini
apodittici o meramente ripetitivi, senza farsi carico di argomentare sulla fallacia o
inadeguatezza o non consistenza dei motivi di impugnazione. ( Cass. N. 6221 del 2006
Rv. 233082, N. 38824 del 2008 Rv. 241062, N. 12148 del 2009 Rv. 242811;Cass. Sez.

Nel caso in esame, il giudice d’appello, seppure con una motivazione stringata, ha
risposto in modo specifico a tutte le doglianze avanzate dall’appellante dando conto
della sussistenza del reato in tutti i suoi elementi, facendo specifico richiamo ad
elementi probatori assunti in primo grado, così come ha dato conto della correttezza del
trattamento sa nzionatorio.
A mente dell’art. 616 c.p.p., alla declaratoria di inammissibilità – determinata da profili
di colpa emergenti dal ricorso (v. Corte Cost. sent. 186/2000) – consegue l’onere delle
spese del procedimento, nonché del versamento di una somma in favore della Cassa
delle ammende, fissata in via equitativa, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di
1.000,00 (mille) euro.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di euro mille alla Cassa delle ammende.
Così deliberato in Roma il 15.10.2013
Il Consigliere estensore
Giovanna VERGA

Il Presidente
Matilde CAMMINO

6, 20-4-2005 n. 4221).

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