Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 49823 del 26/11/2015


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 49823 Anno 2015
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: GIANNITI PASQUALE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
MAMMANA VITO N. IL 06/01/1963
avverso la sentenza n. 267/2013 CORTE APPELLO di CATANIA, del
16/05/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 26/11/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. PASQUALE GIANNITI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Cj A,A_0
che ha concluso per

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Udito, per la parte civile, l’Avv. ‘hisS (1/43, t e (6240
Uditi dif sor Avv.

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us.

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Data Udienza: 26/11/2015

RITENUTO IN DIRITTO

1. Mammana Vito e Militello Anna Aurora venivano tratti a giudizio davanti al
Tribunale di Catania, Sezione Distaccata di Mascalucia, per rispondere del reato
di cui agli artt. 113 e 589 cod. pen., perché, in località Trecastagni il 9.05.2007.
per colpa, consistita in imprudenza, imperizia nonché in violazione della
disciplina dettata in tema di circolazione stradale – il primo alla guida della
vettura Opel Meriva targata U 519 KG, omettendo di arrestare la marcia pur in

sede stradale, la seconda parcando la propria vettura Suzuki targata AV 236 RC
lungo la via Madonna dell’Indirizzo all’altezza del civico 38 in zona ove la sosta
non è consentita e nell’immediata prossimità di una curva – cagionavano il
decesso di Arcidiacono Cesare, il quale provenendo alla guida del motociclo
Yamaha targato CP 184 dalla via dell’Indirizzo in direzione Catania Trecastagni
perdeva il controllo del mezzo subito dopo aver oltrepassato la curva predetta
impattava prima sul mezzo in sosta e di seguito nella parte anteriore della Opel
Meriva.

2. Il Tribunale di Catania, Sezione Distaccata di Mascalucia, con sentenza
18/12/2012:
– assolveva l’imputato Mammona dal reato ascrittogli perché il fatto non
sussiste, ritenendo che la condotta dello stesso potesse censurarsi soltanto nei
soli limiti di un modesto superamento dei limiti di velocità rispetto a quella
consentita e non ritenendo la condotta dal medesimo posta in essere idonea ad
interrompere il nesso causale funzionale della condotta della imputata Militello;
– dichiarava l’imputata Militello colpevole del reato ascritto e condannava la
stessa, previa concessione delle circostanze attenuanti generiche, alla pena di
anni uno e mesi dieci di reclusione, con il beneficio della sospensione
condizionale della pena. La condannava inoltre al pagamento delle spese
processuali, nonché al risarcimento del danno, in solido, con i responsabili civili
Fondiaria SAI Assicurazioni S.p.A. e AXA Assicurazioni S.p.A., in persona dei
rispettivi rappresentanti legali, in favore delle parti civili costituite Arcidiacono
Domenico, Arcidiacono Teresa e Franceschino Anna, da liquidarsi in separata
sede, nonché al pagamento di una provvisionale di euro 50.000,00 da
suddividersi in parti eguali tra le stesse ed alla rifusione delle spese sostenute
dalle parti civili;
– disponeva trasmettersi gli atti al Procuratore della Repubblica di Catania
per valutare la opportunità di procedere nei confronti di eventuali altri soggetti
coinvolti nel sinistro stradale.
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presenza di vettura ferma sulla propria corsia che impediva la piena visuale della

3. Avverso tale sentenza, proponevano appello l’imputata Militello Anna
Aurora, il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Catania, nonché le
parti civili Arcidiacono Domenico, Franceschini Anna e Arcidiacono Teresa e la
Fondiaria-SAI S.p.A., nella qualità di Impresa designata per la liquidazione dei
sinistri a carico del Fondo di Garanzia Vittime della Strada per la Regione Sicilia,
in persona del procuratore, dott. Leonardo Bruni.
L’imputata articolava tre motivi di appello con i quali chiedeva: 1)

dell’art.530, comma 2, c.p.p.; 3) in via ulteriormente gradata, rideterminarsi la
pena nel minimo edittale anche in relazione alle già concesse circostanze
attenuanti generiche.
Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Catania appellava
chiedendo, in riforma della impugnata sentenza, condannarsi l’imputato
Mamnnana Vito.
Le parti civili appellavano, chiedendo, in riforma della sentenza impugnata,
affermarsi la penale responsabilità anche di Mammana Vito con le conseguenti
statuizioni risarcitorie a carico del responsabile civile per la posizione di garanzia
dallo stesso rivestita.
Infine, la Fondiaria-SAI S.p.A., nella suddetta qualità, appellava chiedendo:
1) revocarsi la condanna al pagamento della provvisionale in quanto essa
compagnia di assicurazioni si costituiva come responsabile civile per un
imputato, Mammana Vito, che era stato assolto con la pronuncia impugnata,
deducendo la insussistenza di alcun rapporto di solidarietà fra i responsabili civili,
nonché in subordine sospendersi la esecuzione; 2) assolversi o comunque
escludersi il responsabile civile FONDIARIA-SAI S.p.A., nella qualità, dalla
condanna al risarcimento dei danni in favore delle costituite parte civili nonché
dalla condanna al pagamento di una provvisionale di euro 50.000,00 ed alla
rifusione delle spese dell’azione civile.

4.- La Corte di appello di Catania, Terza Sezione Penale, con sentenza
16/05/2014, in parziale riforma della sentenza di primo grado (che veniva nel
resto confermata):
– dichiarava Mammana Vito colpevole del reato ascritto in rubrica e, per
l’effetto, concesse le attenuanti generiche, lo condannava alla pena di anni uno e
mesi dieci di reclusione;
– rideterminava la pena per la imputata Militello in anni uno e mesi quattro di
reclusione;

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assoluzione perché il fatto non sussiste; 2) in subordine, assoluzione ai sensi

- concedeva all’imputato Mammana il beneficio della sospensione
condizionale delle pena come sopra irrogata;
-condannava Mammana Vito e Militello Anna Aurora, in solido con i rispettivi
responsabili civili (Fondiaria Sai Assicurazioni spa e Axa Assicurazioni spa, in
persona dei rispettivi legali rappresentanti) alla rifusione delle spese processuali
in favore delle costituite parti civili liquidate nella misura ritenuta di giustizia

5.-Avverso la suddetta sentenza, tramite il proprio difensore di fiducia,

fini dell’autosufficienza, i verbali di causa e la documentazione già facente parte
del fascicolo del dibattimento, richiamati in ricorso.
5.1. Con il primo motivo venivano dedotti violazione di legge e vizio di
motivazione in relazione alla mancata assoluzione dell’imputato per insussistenza
del fatto o comunque per non averlo commesso.
Al riguardo, il ricorrente in primo luogo ricorda che, secondo gli
insegnamenti di questa Corte (Sez. 6, n. 931/2011, Sez. 5, n. 42033/2008 e
Sez. 1, n. 17921/2010), il principio dell’al di là di ogni ragionevole dubbio
(formalmente introdotto nel nostro ordinamento dalla legge n. 46/2006, pur se
non più accompagnato dalla regola dell’inappellabilità delle sentenze assolutorie,
espunta dalla sentenza n. 36/2007 della Corte costituzionale) presuppone
comunque che, ai fini della riforma caducatrice di sentenza di assoluzione, è
necessaria una valutazione di forza superiore tale da far venire meno quella
situazione di ragionevole dubbio in qualche modo intrinseca alla stessa esistenza
del contrato.
Nel caso di specie, dunque, la Corte di appello, avendo sovvertito la
decisione del giudice di primo grado, avrebbe dovuto effettuare una indagine
rigorosa, che non avrebbe dovuto essere effettuata sullo stesso materiale
probatorio e non avrebbe dovuto essere diretta ad una mera lettura alternativa
rispetto a quella operata in primo grado, ma avrebbe dovuto essere fondata su
elementi dotati di effettiva e scardinante efficacia persuasiva, in grado di
vanificare ogni ragionevole dubbio.
Tanto premesso, il ricorrente si duole del fatto che la Corte di appello, nel
ricostruire la dinamica del sinistro, sarebbe incorsa in evidenti travisamenti delle
prove acquisite, travisamenti che avrebbero avuto come effetto quello di rendere
la sentenza irragionevole, contraddittoria e manifestamente illogica.
In particolare, la Corte avrebbe travisato la prova:
a) laddove, sulla base delle conclusioni del perito, aveva ritenuto (p. 5 ed 8)
che l’ampiezza della strada non permetteva all’auto condotta dal ricorrente di
mantenere la posizione all’interno della carreggiata di percorrenza, mentre il
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proponeva ricorso l’imputato articolando tre motivi di doglianza ed allegando, ai

teste Asero ed il teste Pulvirenti avevano affermato che l’auto dell’imputato era
interamente entro la propria carreggiata;
b) laddove a p. 5 aveva indicato la larghezza della strada in metri 7,78 ed in
m. 3,20 per carreggiata (se così fosse stato la strada sarebbe stata larga metri 6
e 40 centimetri), mentre dalla scheda depositata dalla difesa si evincerebbe che
la larghezza reale della strada era in metri 7,85 e quella di ogni carreggiata era
in metri 3,93;
c) laddove a p. 11, sempre sulla base di quanto sostenuto dal perito Ing.

dall’imputato, era di 54 Km/h, mentre, secondo quanto detto dallo stesso perito,
poteva anche essere di 25 Km/h; in ogni caso il Mammana, si legge in ricorso,
non aveva alcun motivo di tenere una andatura particolarmente moderata per la
sola presenza della Suzuki Vitara, tenuto conto che detta auto non ingombrava
la carreggiata di percorrenza della Opel;
d) laddove, sulla base dei rilievi fotografici, non aveva riconosciuto che il
momento di quiete finale della Opel al verificarsi dell’incidente era al di dentro
della propria mezzeria di marcia, senza considerare che egli, nell’immediatezza
del fatto, poiché stava per sopraggiungere il 118, aiutato dai due ragazzi che
erano a bordo della Lancia Y e che erano tornati indietro dopo aver compreso
l’incidente, per liberare più facilmente la gamba sinistra dell’Arcidiacono
dall’incastro con la ruota dell’auto, a motore spento, aveva spinto l’auto
leggermente all’indietro;
e) laddove a p. 4, sulla base delle consulenza tecnica medica di parte e della
perizia tecnica, aveva sostenuto che il violento impatto del paraurti dell’auto
contro l’addome del motociclista sarebbe stato determinante in quanto avrebbe
provocato i traumi che poi condussero al decesso la persona offesa mentre, dalle
dichiarazioni rese dalla Signora Nicotra in data 27/03/2012, era risultato che
l’impatto aveva riguardato la sola gamba sinistra;
f) laddove a p. 12 aveva sostenuto che era stata l’auto di Mammana a
sbattere contro il motociclista, mentre sarebbe stato il corpo di Arcidiacono che,
dopo la caduta e lo scarrocciamento per più di 24 metri, aveva urtato contro la
Opel, andandosi ad incastrare la sua gamba sinistra tra l’asfalto e la ruota
dell’auto;
g)

laddove a p. 14 aveva ritenuto che vi era stato arrotamento e

si sormontamento del corpo dell’Arcidiacono da parte dell’auto di Mammana ed
aveva precisato che anche i vigili urbani avevano così dichiarato, mentre non vi
t(
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era stato alcun arrotamento e sornnontamento del corpo e nulla sul punto
avevano riferito i vigili urbani intervenuti;

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Perrone, aveva ritenuto che la velocità tenuta dall’autovettura Opel, guidata

h) laddove aveva attribuito al Mammana la responsabilità del decesso sul
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presupposto che vi fosse stato arrotamento e sormontamento del corpo
dell’Arcidiacono da parte dell’auto di Mannana, mentre, non essendovi stato
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alcun arrotamento ed alcun sormontamento, la responsabilità del decesso non
sarebbe attribuibile all’odierno ricorrente; tanto più che nel caso di specie non vi
era stata nell’immediatezza alcuna indagine anche superficiale sul corpo
dell’Arcidiacono da parte di un consulente della Procura; e tanto più che il dr.
Vincenzo Sarratano, proprio consulente di parte, sentito in dibattimento, anche

il Pronto Soccorso, aveva affermato che il decesso era da riferire “alla rovinosa
caduta ed alle lesioni ad essa correlate” ovvero “a quelle che si sono generate
con i numerosi, rapidi e violenti movimenti del corpo (rotatori, traslazione,
torsione ecc) durante il tragitto da dove si è verificata la caduta al punto in cui si
è arrestato”.
In definitiva, secondo l’assunto del ricorrente, i sopramenzionati
travisamenti della prova, considerati singolarmente e nel loro insieme,
inficerebbero in profondità le basi su cui si sorregge la sentenza impugnata e non
consentirebbero di sostenere con la dovuta serenità, aggravata dalla necessità
che deve essere raggiunta la certezza della colpevolezza, che sia fondato il
giudizio di responsabilità a carico dell’imputato Mammana.
5.2. Con il secondo motivo venivano dedotti violazione di legge e vizio di
motivazione in relazione alla mancata concessione delle attenuanti generiche
nella loro massima espansione.
Il ricorrente lamenta che, a tutto voler concedere, la Corte avrebbe dovuto
concedere le attenuanti generiche nella massima espansione: la ritenuta
personalità ed incensuratezza, unitamente alla valutazione dei criteri oggettivi e
soggettivi di cui all’art. 133 cod. pen., nonché al fatto che comunque la condotta
dell’imputato (valutata in primo grado come penalmente irrilevante) poteva al
più essere valutata come concausa (essendosi trovato l’imputato nella direttiva
percorsa dal corpo a seguito della caduta dalla motocicletta), avrebbero potuto
portare la Corte a ridurre sino a un terzo la pena, con conseguente riduzione
della pena finale in concreto irrogata.
5.3. Con il terzo motivo veniva dedotto violazione di legge in relazione al
mancato riconoscimento del beneficio della non menzione nel certificato del
casellario giudiziale.
Al riguardo, il ricorrente si duole del fatto che la Corte – che aveva concesso
le attenuanti generiche ed aveva concesso il beneficio della sospensione
condizionale della pena – aveva ritenuto di non concedere sulla base delle stesse

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sulla base delle risultanze della cartella clinica del ricovero di Arcidiacono presso

circostanze anche il beneficio della non menzione della condanna nel certificato
del casellario giudiziale a richiesta di parte.

6. In data 10 novembre presentavano memoria, a mezzo dei Difensori di
fiducia, le parti civili Arcidiacono Teresa, Franceschino Anna e Arcidiacono
Domenico.

1. Il primo motivo di ricorso non è fondato.
1.1.11 principio in base al quale deve essere valutato detto motivo è quello
per cui, nel giudizio di appello, per la riforma di una sentenza assolutoria non
basta, in mancanza di elementi sopravvenuti, una mera e diversa valutazione del
materiale probatorio già acquisito in primo grado ed ivi ritenuto inidoneo a
giustificare una pronuncia di colpevolezza, né che tale valutazione sia
caratterizzata da pari o addirittura minore plausibilità rispetto a quella operata
dal primo giudice, occorrendo, invece, una forza persuasiva superiore, tale da far
venir meno ogni ragionevole dubbio (Sez.6, n.45203 del 22/10/2013, Paparo,
Rv. 256869; Sez. 6, n.8705 del 24/01/2013, Farre, Rv. 254113; Sez.2, n.11883
del 08/11/2012, dep. 2013, Berlingeri, Rv. 254725; Sez.6, n.34487 del
13/06/2012, Gobbi, Rv. 253434).
1.2. Il Tribunale di Catania, Sezione distaccata di Mascalucia, con
sentenza 18/12/2012, ha ritenuto che gli esiti dell’istruzione dibattimentale non
consentivano di ritenere provata la penale responsabilità dell’imputato
Mammana, essendo ravvisabile a suo carico un “modesto superamento dei limiti
di velocità dell’autovettura Opel Meriva tg CJ 539 KG”, che appariva “inidoneo a
configurare in capo all’imputato la responsabilità penale per l’ipotesi delittuosa”
allo stesso contestata. Tale condotta avrebbe potuto essere valutata in sede
civile, ma veniva ritenuta priva di rilevanza penale, “non costituendo
l’antecedente causale, diretto o indiretto, del sinistro stradale nel quale periva
l’Arcidiacono”.
A sostegno del suo assunto il Giudice di primo grado, dopo aver
ricostruito il luogo del sinistro (non senza sottolineare le variazioni intervenute
alla data degli accertamenti peritali), richiamava in particolare gli esiti degli
accertamenti peritali cinennatici effettuati dal prof. Francesco Petrone (pp. 9 15), che aveva affermato che la causa dell’incidente stradale era “soprattutto”
(p. 10, penultimo rigo) da attribuire alla posizione dell’autovettura della Militello,
che risultava parcheggiata in prossimità di una curva e che aveva costretto i
conducenti delle autovetture presenti sul posto – certamente il Mammana e
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CONSIDERATO IN DIRITTO

molto probabilmente l’Asero – ad effettuare quelle manovre che avevano
costituito l’antecedente causale del sinistro per cui è processo.
Il giudice di primo grado dava invero atto (a p. 14-15) che il perito aveva
affermato che una parte minima, seppure residuale di responsabilità penale,
dovesse essere attribuita alle condotte del Mammana e dello stesso Arcidiacono,
i cui veicoli procedevano ad una velocità superiore a quella consentita tenuto
conto del tratto stradale nel quale si verificava il sinistro, salvo però precisare
che tali comportamenti non avevano assunto una valenza idonea a interrompere

Militello.
In definitiva, secondo il Giudice di primo grado (pp. 24-25), “Nessuna
certezza scientifica si è raggiunta all’esito dell’istruzione dibattimentale sul grado
di coinvolgimento colposo relativo all’incidente stradale che si sta considerando”,
“la cui condotta può essere censurata nei soli limiti del modesto superamento
dei limiti di velocità” dell’autovettura da lui condotta”.
1.3. La Corte territoriale, confrontandosi con la sentenza di primo grado, ha
riformato la stessa, sul presupposto che quest’ultima aveva travisato le
risultanze della istruttoria dibattimentale (p. 4, rigo 7), in particolare, gli esiti
delle consulenze tecniche di parte e della perizia tecnica d’ufficio.
In particolare, la Corte, dopo aver ripercorso gli esiti degli espletati
accertamenti tecnici (pp. 4-8), è pervenuta alla conclusione che alla causazione
del sinistro in esame aveva concorso anche la condotta di guida del conducente
dell’autovettura Opel Meriva, cioè di Mammana Vito (pp. 8-10). Quanto precede
sul presupposto che questi al momento del sinistro percorreva una strada in
discesa alla velocità di circa 52/54 km/h, cioè ad una velocità comunque non
adeguata per la presenza di una curva nonché per la presenza di una
autovettura in sosta, contromano, che invadeva parzialmente la corsia di marcia.
Il Mammana non aveva adeguato la velocità alle condizioni del tratto di strada
percorso (p. 19: “caratterizzato da forte discesa, passaggio stretto o ingombrato,
insufficiente visibilità in attraversamento di centro abitato o comunque
fiancheggiato da edifici”) e non aveva posto in essere una energica azione
frenante in grado di bloccare il mezzo, evitando di travolgere il motociclo. Egli,
se avesse mantenuto una velocità adeguata alle circostanze concrete ed avesse
effettuato un manovra di frenata del mezzo, avrebbe evitato lo scontro con il
motociclo proveniente dalla opposta corsia di marcia, e, comunque l’impatto,
quand’anche ci fosse stato, sarebbe avvenuto con modalità meno gravi.
Sulla scorta di tali considerazioni, veniva ritenuta non corretta la pronuncia
del giudice di primo grado laddove era stato ritenuto che la condotta colposa
posta in essere dall’imputato Mannmana non era stata causa da sola sufficiente
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il nesso causale funzionale a stabilire la natura colposa dell’operato della

ad interrompere il nesso di causalità funzionale innescato dalla condotta colposa
della imputata Militello. La Corte ha sottolineato (p. 12) che Mammana Vito trovando nella propria carreggiata l’autovettura Suzuki Vitara, parcata
contromano – avrebbe comunque dovuto, in osservanza delle comuni regole di
diligenza e prudenza (c.d. colpa generica) nonché della norma (art.102 D.P.R.
n.39311959) che impone di moderare la velocità nei tratti di strada a visuale non
libera (c.d. colpa specifica), rallentare al minimo la velocità se non addirittura
fermarsi (condotta dal medesimo certamente non tenuta essendo stato accertato

invaso, sia pure parzialmente, l’opposta corsia di marcia.
La Corte, sulla scorta della documentazione (sanitaria e fotografica) in atti,
ha escluso l’assunto sostenuto dal consulente di parte dell’imputato (p. 13), e
cioè che la rottura della vena cava e della milza dell’Arcidiacono siano state
determinate dalla rovinosa caduta dello stesso dalla moto e “dalle lesioni che si
sono generate con i numerosi, rapidi e violenti movimenti del corpo (rotatori, di
traslazione, di torsione, etc) durante il tragitto (24,20 mt) dal punto della caduta
a quello in cui il corpo del giovane si è arrestato, ovvero sotto la parte anteriore
della Opel Meriva”: la ricostruzione operata nel ricorso (basata sul mancato
arrotamento del corpo da parte dell’auto di Mammana, che avrebbe incastrato
con la ruota la gamba destra dell’Arcidiacono dopo la caduta ed uno
scarrocciamento per più di 24 metri in salita) è stata argomentatamente
disattesa dalla Corte sul presupposto che il forte impatto con l’autovettura aveva
determinato la rottura del paraurti anteriore, nonché la fuori uscita del liquido
dal radiatore, di talchè era da ritenersi indubbio lo schiacciamento degli organi
vitali dell’Arcidiacono.
Quindi, la Corte – argomentando su: a) gli esiti degli accertamenti peritali
(che hanno escluso esservi stato rotolamento del corpo dell’Arcidiacono, per
esservi stato scivolamento dello stesso); b) il fatto che il casco protettivo in uso
all’Arcidiacono non presentava alcuna ammaccatura o segno di rottura in alcuna
parte; c) la presenza sulla pavimentazione stradale di una lunga scia di liquido
proveniente dalla prossimità della parte anteriore dell’autovettura Opel Meriva;
d) la rottura del paraurti anteriore del mezzo – ha ravvisato la causa della morte
dell’Arcidiacono (p. 14) proprio nel forte urto dello stesso con la parte anteriore
della autovettura Opel Meriva (e, precisamente, con il parafango anteriore e con
il radiatore del mezzo, dal quale era fuoriuscito il liquido). D’altronde,
quand’anche la fase finale del sinistro dovesse essere ricostruita nei termini
proposti dalla difesa, non verrebbe meno la penale responsabilità dell’imputato
per aver provocato l’incidente con la evidenziata condotta colposa.

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che lo stesso non effettuava alcuna manovra di frenata), mentre invece aveva

La Corte territoriale si è confrontata con la sentenza di primo grado anche:
a) in punto di elemento soggettivo (p. 10-11), osservando che non può ritenersi
che l’autovettura Suzuki Vitara della Militello costituisse un ostacolo del tutto
imprevisto ed imprevedibile atteso che il conducente di un veicolo deve poter
prevedere eventuali condotte imprudenti ed imperite di terzi, dovendo potere
neutralizzare tutti i rischi eventuali contro cui può imbattersi durante la
circolazione con il proprio mezzo; nonché b) in punto di ricostruzione del nesso
causale (p. 15), precisando che nel caso in esame doveva farsi applicazione

dell’equivalenza delle cause preesistenti, simultanee e sopravvenute, anche se
indipendenti dall’azione od omissione del colpevole) e non dell’art. 41 comma 2
(atteso che la condotta colposa dell’imputato Mamrnana non poteva da sola
ritenersi sufficiente a determinare l’evento).
1.4. In definitiva, dall’esame del provvedimento impugnato si desume che la
Corte territoriale, riformando la sentenza di assoluzione, ha applicato il principio
in base al quale la regola di giudizio, introdotta formalmente dall’art.5 legge 6
febbraio 2006, n. 46, mediante la sostituzione del comma 1 dell’art. 533 cod.
proc. pen., impone al giudice di procedere ad un completo esame degli elementi
di prova rilevanti e di argomentare adeguatamente circa le opzioni valutative
della prova, giustificando, con percorsi razionali idonei, che non residuino dubbi
in ordine alla responsabilità dell’imputato.
Contrariamente a quanto sostenuto nel ricorso, la Corte territoriale ha
fondato il differente esito decisorio sulla base di elementi istruttori trascurati dal
giudice di primo grado, in particolare mettendo in rilievo come il Tribunale non
avesse tenuto adeguato conto dei decisivi elementi desumibili dagli espletati
accertamenti tecnici (nonostante che a p. 14 della sentenza avesse riportato
come lo stesso perito aveva individuato una concorrente responsabilità del
Mammana).
1.5. D’altronde, le Sezioni Unite hanno precisato che esula dai poteri della
Corte di Cassazione quello di una “rilettura” degli elementi di fatto, posti a
sostegno della decisione, il cui apprezzamento è riservato in via esclusiva al
giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera
prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle
risultanze processuali (sent. n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone, Rv. 207945).
1.6. Ed è stato precisato che il principio dell’oltre ragionevole dubbio,
introdotto nell’art. 533 cod. proc. pen. dalla legge n. 46 del 2006, non ha mutato
la natura del sindacato della Corte di cassazione sulla motivazione della sentenza
e non può, quindi, essere utilizzato per valorizzare e rendere decisiva la duplicità
di ricostruzioni alternative del medesimo fatto, eventualmente emerse in sede di
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dell’art. 41 comma 1 sul concorso di cause (che afferma il principio

merito e segnalate dalla difesa, una volta che tale duplicità sia stata oggetto di
attenta disamina da parte del giudice dell’appello (Sez. 5, sent. n. 10411 del
28/01/2013, Viola, Rv. 254579).
1.7. D’altronde, in tema di valutazione della prova indiziaria, il giudice di
merito non può limitarsi ad una valutazione atomistica e parcellizzata degli indizi,
né procedere ad una mera sommatoria di questi ultimi, ma deve valutare,
anzitutto, i singoli elementi indiziari per verificarne la certezza (nel senso che
deve trattarsi di fatti realmente esistenti e non solo verosimili o supposti),

procedere ad un esame globale degli elementi certi, per accertare se la relativa
ambiguità di ciascuno di essi, isolatamente considerato, possa in una visione
unitaria risolversi, consentendo di attribuire il reato all’imputato “al di là di ogni
ragionevole dubbio” e, cioè, con un alto grado di credibilità razionale, sussistente
anche qualora le ipotesi alternative, pur astrattamente formulabili, siano prive di
qualsiasi concreto riscontro nelle risultanze processuali ed estranee all’ordine
naturale delle cose e della normale razionalità umana (Sez. 1, sent. n. 44324 del
18/4/2013, Stasi, Rv. 258321).
Nel caso di specie, le doglianze del ricorrente restano prive di rilievo, in
quanto non dimostrano la presenza, all’interno della decisione di secondo grado,
di una radicale incongruità o della contraddittorietà dell’intero ragionamento
svolto dal giudicante e, quindi, in sostanza, di un inadempimento di quell’obbligo
di motivazione rafforzata che sulla Corte territoriale gravava: nella motivazione
del giudice di secondo grado non si rinviene alcuna incompiutezza strutturale,
che derivi dal non aver tenuto presente fatti decisivi, dal rilievo dirompente
sull’equilibrio della decisione impugnata.

2. Parimenti non fondati sono il secondo ed il terzo motivo di ricorso, aventi
ad oggetto la mancata concessione delle attenuanti generiche nella loro massima
espansione, nonché il mancato riconoscimento del beneficio della non menzione
nel certificato del casellario giudiziale.
2.1.Sotto il primo profilo, si osserva che, in tema di valutazione dei vari
elementi per la concessione delle attenuanti generiche, ovvero in ordine al
giudizio di comparazione e per quanto riguarda la dosimetria della pena ed i
limiti del sindacato di legittimità su detti punti, la giurisprudenza di legittimità
non solo ammette la c.d. motivazione implicita (Sez. 6, sent. n. 36382 del
22/09/2003, Dell’Anna, Rv. 227142) o con formule sintetiche (tipo “si ritiene
congrua”: cfr. Sez. 4, sent. n. 9120 del 4/08/1998, Urrata, Rv. 211583), ma
afferma anche che le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra
circostanze aggravanti ed attenuanti, effettuato in riferimento ai criteri di cui
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saggiarne l’intrinseca valenza dimostrativa (di norma solo possibilistica) e poi

all’art. 133 cod. pen., sono censurabili in cassazione solo quando siano frutto di
mero arbitrio o ragionamento illogico (Sez. 3, sent. n. 26908 del 16/06/2004,
Ronzoni, Rv. 229298).
Si tratta di evenienza che non sussiste nel caso di specie, nel quale la Corte
ha riconosciuto all’imputato Mammana le attenuanti generiche (sul presupposto
della di lui incensuratezza e della di lui minore percentuale di responsabilità
rispetto alla coimputata Militello), ma ha ritenuto di doverle concedere non nella
massima espansione avuto riguardo ai plurimi profili di colpa attribuibili

colpose concorrenti quella del Mammana costituiva l’azione ultima, che aveva
eziologicamente causato, in via diretta, l’evento morte di Cesare Arcidiacono.
2.2. Quanto infine alla mancata concessione del beneficio della non
menzione, la giurisprudenza di legittimità ha già avuto modo di precisare che
integra un difetto assoluto di motivazione della sentenza l’omessa pronuncia del
giudice di appello sulla concessione dei benefici della sospensione condizionale
della pena e della non menzione della condanna, sempre che nell’atto di
impugnazione sia stata esplicitamente chiesta (sez. 6, sent. n. 47913 del
9/12/2009, Mazzotta, Rv. 245493)
Nel caso di specie, non risulta dal ricorso che detto beneficio fosse stato
chiesto in sede di conclusioni difensive dibattimentali in appello (sia pure,
evidentemente, in via subordinata); e, d’altra parte, la concessione del beneficio
della sospensione condizionale della pena non comportava per la Corte
territoriale l’obbligo di concedere anche il beneficio della non menzione,
trattandosi di benefici che si fondano su differente valutazione.

3.Dal rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento
delle spese processuali, nonché alla rifusione delle spese processuali, che
vengono liquidate nella misura indicata in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali
oltre alla rifusione delle spese in favore delle parti civili che liquida in complessivi
euro 3000 in favore di Arcidiacono Teresa e in euro 3000 in favore di
Franceschino Anna e Arcidiacono Domenico, oltre per tutti accessori come per
legge.
Così deciso in Roma, il 26 novembre 2015_
Il Preside

.

all’imputato (p. 19) ed alla circostanza che nella serie causale delle azioni

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