Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 49820 del 24/11/2015


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 49820 Anno 2015
Presidente: D’ISA CLAUDIO
Relatore: PAVICH GIUSEPPE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CIABUSCHI PIERLUIGI N. IL 21/02/1976
avverso la sentenza n. 3214/2013 CORTE APPELLO di ANCONA, del
13/01/2015
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 24/11/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GIUSEPPE PAVICH
Savo4/
Udito il Procuratore Ggnerale itu2rsona del Dott.
che ha concluso per
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Udito, per la pmstúivile, l’Avv
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24

0444.-44′ <421 0/14 atomi, Data Udienza: 24/11/2015 RITENUTO IN FATTO 1. - Con la sentenza indicata in epigrafe, è stata riformata quoad poenam la sentenza di condanna pronunciata dal Giudice monocratico presso il Tribunale di Ascoli Piceno emessa il 25.3.2013 nei confronti di CIABUSCHI Pierluigi in relazione al reato di cui all'art. 73 comma 1 bis D.P.R. 309/1990, riferito alla detenzione a fini di uso non personale, da parte del CIABUSCHI, di grammi 1005 circa di hashish e di gr. 97 circa di marijuana, reato accertato il 31 ottobre 2007. In relazione a tale reato, la Corte di merito, dopo avere rigettato i motivi di doglianza contenuti la sussistenza dell'ipotesi del c.d. uso di gruppo, l'applicabilità dell'ipotesi di cui all'art. 73 comma 5 D.P.R. 309/1990, la concedibilità delle attenuanti generiche e l'accoglibilità della primigenia richiesta di rito abbreviato con conseguente diminuente per detto rito), rideterminava la pena finale in relazione al dictum della Corte Costituzionale con la ben nota sentenza n. 32/2014 e alla conseguente reviviscenza del testo dell'art. 73 D.P.R. 309/1990, in riferimento alle c.d. droghe leggere, vigente prima del decreto legge n. 272/2005: in forza di ciò, la pena veniva quantificata in anni tre e mesi sei di reclusione ed C 15.000 di multa, con sostituzione dell'interdizione in perpetuo dai pubblici uffici con l'interdizione quinquennale, e con conferma nel resto delle statuizioni della sentenza appellata. 2. - Avverso la sentenza della Corte territoriale ricorre il CIABUSCHI tramite il proprio difensore di fiducia. Il ricorso è articolato in tre motivi. 2.1. - Con il primo motivo il ricorrente denuncia la mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in riferimento alle ragioni in base alle quali la Corte di merito ha dedotto la destinazione dello stupefacente alla cessione a terzi, operando secondo il ricorrente mere presunzioni e non tenendo in considerazione quanto comprovato dal CIABUSCHI circa l'assenza di destinazione allo spaccio. A presumere la destinazione dello stupefacente ad uso non personale, osserva il ricorrente, non basta il dato quantitativo; e, in aggiunta a ciò, rammenta che tale dato andrebbe escluso con riferimento alle modalità di conservazione della sostanza e all'assenza di rinvenimento di strumenti tecnici. Lamenta infine il ricorrente che sia la sentenza di primo grado che la sentenza impugnata evidenziano, quale indice sintomatico della destinazione allo spaccio, le modeste capacità economiche dell'imputato, a fronte della disponibilità di una somma di danaro pari a C 8.800, ricevuta dal CIABUSCHI in forza di un indennizzo assicurativo, somma con la quale il prevenuto ben avrebbe potuto acquistare per proprie personali esigenze lo stupefacente trovato nella sua disponibilità. 2.2. - Con il secondo motivo di ricorso, viene denunciata la mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in riferimento alla rideterminazione della pena, da part della Corte territoriale, in termini superiori al minimo edittale inflitto in primo grado all'imputato sulla base della normativa in allora vigente. Se ne trae la conclusione che, anche in secondo grado, al CIABUSCHI sarebbe stato necessario applicare la pena in termini corrispondenti al (nuovo) minimo edittale, in conseguenza degli effetti della già citata sentenza n. 32/2014 della nell'atto di appello (escludendo, in particolare, la carenza dell'elemento soggettivo ivi dedotta, Corte Costituzionale. Ciò avrebbe in sostanza, secondo il ricorrente, violato il divieto della reformatio in peius, traducendosi in una valutazione sanzionatoria più severa di quella riservata all'imputato in primo grado. 2.3. - Con il terzo e ultimo motivo di ricorso, si duole il ricorrente dell'inosservanza di norme processuali (art. 438 comma 5 c.p.p.) e della mancanza di motivazione in riferimento al rigetto dell'istanza di rito abbreviato condizionato avanzata per conto del CIABUSCHI all'udienza preliminare e riferita alla richiesta di esame di alcuni testi che avrebbero dovuto riferire se, in stupefacente; secondo il ricorrente, la sentenza impugnata non avrebbe tenuto conto dei motivi di appello, nei quali si evidenzia che costoro avrebbero dovuto riferire anche in merito all'acquisto per uso personale o di gruppo: al riguardo, deduce il ricorrente, alcuna posizione è stata assunta dalla Corte territoriale. Si duole inoltre il CIABUSCHI che la Corte di merito abbia rigettato il motivo di ricorso riproponendo le osservazioni del giudice di primo grado circa la non necessità dell'integrazione probatoria ex art. 438 comma 5 c.p.p. (ossia dell'esame dei detti testi indicati dalla difesa) sulla base di una valutazione "postuma", conseguente cioè all'assunzione delle dette testimonianze durante il dibattimento. Ciò, ad avviso del ricorrente, costituisce un elemento di contraddittorietà della motivazione, a fronte della sussistenza delle condizioni che rendevano necessario l'accoglimento dell'istanza di rito abbreviato condizionato, nei termini in cui essa era stata avanzata; conclude perciò il ricorrente deducendo le indicate violazioni e dolendosi del fatto che il giudice dibattimentale avrebbe dovuto applicare la diminuente del rito premiale, previo riconoscimento che tale rito si sarebbe dovuto celebrare: non provvedendovi, la pena irrogata al CIABUSCHI sarebbe perciò illegale. 3. - Con memoria depositata il 15 ottobre 2015, il difensore del CIABUSCHI, oltre a insistere sulle ragioni di doglianza riferite alla mancata applicazione della pena, da parte della Corte di merito, nei minimi edittali, evidenzia l'intervenuta estinzione del reato per essere decorso il relativo termine. CONSIDERATO IN DIRITTO 4.1. - Il primo motivo è manifestamente infondato e, almeno in parte, caratterizzato da genericità; e, come tale, inammissibile. La motivazione riferita all'evidenza probatoria della destinazione -quanto meno parzialealla cessione a terzi di un così imponente quantitativo di sostanza stupefacente non abbisogna di alcun ulteriore elemento confermativo ai fini dell'affermazione di penale responsabilità del soggetto trovato nella disponibilità dello stupefacente stesso (circa l'autonoma sufficienza probatoria del dato quantitativo di rilevante quantità, vds. Cass. Sez. 6, Sentenza n. 11776 del 15/11/1993; Cass. Sez. 4, Sentenza n. 36755 del 04/06/2004). Oltre a ciò, peraltro, la Corte di merito ha convenientemente motivato circa la rilevanza, ai fini della ritenuta destinazione a terzi, delle modalità di presentazione della sostanza, suddivisa in panetti (quanto all'hashish) e ubicata in diversi luoghi dell'abitazione del CIABUSCHI. Tali elementi, indipendentemente da ogni valutazione circa le condizioni economiche di quest'ultimo, integrano una motivazione di per sé occasione di una trasferta a Bologna assieme all'imputato, avessero o meno acquistato sostanza sufficiente, congrua e logica, come tale non sindacabile in sede di legittimità, circa la destinazione a terzi del quantitativo di sostanza stupefacente rinvenuto presso l'alloggio del ricorrente, anche in considerazione dell'evidente inverosimiglianza di un approvvigionamento di stupefacente di tale entità a fini esclusivamente personali. Del tutto generico poi è il riferimento, contenuto nel ricorso, a "quanto provato dall'imputato circa l'assenza di destinazione allo spaccio": invero, alcun riferimento a siffatti elementi probatori favorevoli al ricorrente è contenuto nel motivo di doglianza in esame (né sotto il profilo dell'allegazione dei relativi atti, né sotto il profilo della specifica trascrizione dei medesimi nel questo profilo, il ricorso sconta un deficit di specificità e autosufficienza. 4.2. - Il secondo motivo di ricorso è parimenti inammissibile, siccome manifestamente infondato. Questa Corte, in riferimento ad ipotesi riguardanti droghe c.d. "leggere" e al mutato quadro edittale conseguente alla sentenza C.Cost. n. 32/2014, ha escluso che, nelle situazioni in cui la sentenza di primo grado abbia determinato la pena nella misura minima dell'editto previgente, il giudice di appello - quale giudice di merito di secondo grado ovvero quale giudice di rinvio sia vincolato a rimodulare la sanzione rendendola conforme ai nuovi e più favorevoli minimi edittali detentivi e pecuniari, potendo egli determinarla discrezionalmente nell'ambito della più lieve cornice edittale tornata in vigore, con il solo limite - nell'ipotesi di appello proposto dal solo imputato - del divieto di "reformatio in peius" (per tutte vds. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 33396 del 24/04/2015 Ud. -dep. 29/07/2015- Rv. 264195). Il principio è del resto conforme a quello già affermato da questa Corte in epoca antecedente (Cass. Sez. 6, Sentenza n. 26605 del 09/04/2009 Ud. -dep. 26/06/2009- Rv. 244464, relativa a condanna per il reato di detenzione di stupefacenti commesso prima dell'entrata in vigore della L. n. 49 del 2006), in base al quale non viola il divieto della "reformatio in peius" il giudice, che, in presenza dell'appello del solo imputato condannato in primo grado al minimo edittale della pena, non applichi automaticamente la più lieve pena minima prevista dalla legge nel frattempo intervenuta, e, ritenuta la gravità del reato commesso, determini la pena in una misura intermedia tra il minimo edittale della legge precedente ed il minimo edittale della legge successivamente entrata in vigore. Se a ciò si aggiunge che, nel quantificare la pena, la Corte di merito ha esaurientemente fatto richiamo ai parametri di cui all'art. 133 c.p. ed in specie alla biografia penale dell'imputato, punteggiata da plurimi precedenti, al dato ponderale, alle caratteristiche dell'azione, concludendo che la fattispecie si colloca in una fascia di "medio-alta offensività", vi sono tutti gli elementi per ritenere evidente che nella sentenza impugnata si è compiutamente dato conto di sufficienti ragioni per rideterminare la pena in termini significativamente superiori ai nuovi minimi edittali. 4.3. - Anche il terzo motivo di ricorso è manifestamente infondato e, per l'effetto, inammissibile. corpo del ricorso, e neppure sotto il profilo del mero rinvio ad atti del fascicolo), di tal che, sotto [ Va al riguardo richiamata la giurisprudenza apicale di questa Corte (Cass. SS.UU. Sentenza n. 44711 del 27/10/2004 Ud. - Rv. 229173) secondo cui il rigetto della richiesta di giudizio abbreviato subordinata dall'imputato all'assunzione di prove integrative, quando deliberato sull'erroneo presupposto che si tratti di prove non necessarie ai fini della decisione, inficia la legalità del procedimento di quantificazione della pena da infliggere qualora si pervenga, in esito al dibattimento, ad una sentenza di condanna. Ne consegue che il giudice dibattimentale il quale abbia respinto "in limine litis" la richiesta di accesso al rito abbreviato - "rinnovata" dopo il precedente rigetto del giudice per le indagini preliminari ovvero proposta per la prima volta, in di un terzo prevista dall'art. 442 cod. proc. pen., se riconosca, "pure alla luce dell'istruttoria espletata", che quel rito si sarebbe dovuto invece celebrare. Ma proprio il fatto che secondo la detta pronunzia a Sezioni Unite, in ciò ribadita da diverse decisioni a sezioni semplici (si veda ad es. Cass. Sez. 4, Sentenza n. 37587 del 05/06/2007; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 18745 del 15/01/2013), la riduzione di un terzo a seguito di dibattimento debba essere applicata qualora il giudice riconosca come illegittimo il rigetto dell'istanza di integrazione probatoria "pure alla luce dell'istruttoria espletata" -ossia attraverso una valutazione dell'effettiva necessità delle prove richieste in via condizionata sulla base di quanto emerso in dibattimento- priva di ogni fondamento il motivo di ricorso de quo, con particolare riguardo all'asserita illogicità e contraddittorietà della motivazione "postuma" del rigetto. Correttamente, infatti, la Corte di merito ha osservato che l'integrazione probatoria, pur tempestivamente avanzata e ritualmente reiterata in limine, non meritava accoglimento, atteso che le circostanze su cui avrebbero dovuto deporre i testi indicati dalla difesa quale integrazione probatoria al rito alternativo richiesto avevano contenuto (per gli stessi) autoindiziante, dovendo gli stessi riferire in merito all'acquisizione di stupefacente durante la trasferta di Bologna (e, nella prospettazione difensiva, anche in merito alla destinazione o meno a terzi del detto stupefacente, circostanza a sua volta potenzialmente autoindiziante). E anche a proposito del presunto rilievo decisivo di detta acquisizione probatoria -correttamente valutato sulla scorta del dibattimento, per quanto s'è poc'anzi detto- la Corte territoriale ha convenientemente motivato, rilevando che, com'era prevedibile, i testi suddetti hanno escluso la conoscenza o il coinvolgimento nell'acquisto e nella destinazione finale. Con sufficiente motivazione, dunque, la sentenza impugnata ha riportato gli elementi in base ai quali era stato legittimamente deciso il rigetto dell'istanza di rito abbreviato condizionato; e, con esso, è stata applicata la pena di giustizia senza la riduzione prevista per il detto rito alternativo. In aggiunta a quanto precede, vale la pena tenere presente che la decisione de qua appare altresì in linea con l'orientamento di questa Corte secondo il quale, ai fini dell'ammissione al giudizio abbreviato condizionato, la necessità dell'integrazione probatoria non deve essere valutata facendo riferimento ai criteri indicati nell'art. 190 cod. proc. pen., ovvero alla complessità o alla lunghezza dei tempi dell'accertamento probatorio, nè si identifica con caso di giudizio direttissimo o per citazione diretta - deve applicare anche d'ufficio la riduzione l'assoluta impossibilità di decidere o con l'incertezza della prova, ma presuppone, da un lato, l'incompletezza di un'informazione probatoria in atti, e, dall'altro, una prognosi di oggettiva e sicura utilità, o idoneità, del probabile risultato dell'attività istruttoria richiesta ad assicurare il completo accertamento dei fatti del giudizio (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 600 del 14/11/2013 Ud. -dep. 09/01/2014 - Rv. 258676). Nella specie, è di tutta evidenza che né l'informazione probatoria mancante, né l'utilità o idoneità del risultato prevedibile in base ad essa ponevano il giudice di merito -dapprima in sede di udienza preliminare, poi nella fase preliminare al postulazione difensiva, a fronte -è il caso di sottolinearlo- di un'acquisizione probatoria in sé più che eloquente e del tutto dirimente, come quella (di cui si è già detto) riferita al notevole quantitativo (circa 1900 dosi medie singole) di stupefacente rinvenuto nella disponibilità del CIABUSCHI, in sé logicamente incompatibile con un uso esclusivamente personale o anche con un ipotetico uso di gruppo. 5. - È appena il caso di precisare che, in presenza della manifesta infondatezza delle censure in quanto causa originaria di inammissibilità, non può essere rilevata la prescrizione del reato maturata successivamente alla sentenza impugnata (Cass. Sez. Un., n. 33542 del 27/06/2001 dep. 11/09/2001, Cavalera, Rv. 219531; Cass. Sez. Un., n. 32 del 22/11/2000 - dep. 21/12/2000, De Luca, Rv. 217266), né sussistono i presupposti per l'applicabilità del secondo comma dell'art. 129 c.p.p. nei termini postulati ex multis da Cass. Sez. Un., n. 35490 del 28/05/2009 - dep. 15/09/2009, Tettamanti, Rv. 244274. Alla declaratoria di inammissibilità segue, per legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché, al versamento, a favore della cassa delle ammende, di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in Euro 1000,00. P.Q.M. dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende. Così deciso in Roma, il 24.11.2015 dibattimento in sede di riproposizione dell'istanza- nelle condizioni di dover aderire alla

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