Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 49818 del 12/11/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 49818 Anno 2013
Presidente: FERRUA GIULIANA
Relatore: SABEONE GERARDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO DI
BARI
nei confronti di:
TEDESCHI MARIANNA N. IL 30/08/1988
avverso la sentenza n. 27106/2011 TRIB.SEZ.DIST. di RUVO DI
PUGLIA, del 20/12/2012
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GERARDO SABEONE ;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott. £:-G444,ji,oto
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Data Udienza: 12/11/2013

RITENUTO IN FATTO
1. Il Tribunale di Trani, Sezione Distaccata di Ruvo di Puglia con sentenza
del 20 dicembre 2012, emessa ai sensi dell’articolo 444 cod.proc.pen., ha
applicato a Tedeschi Marianna la pena concordata con il P.M. per il delitto di falso
ideologico commesso da privato in atto pubblico, di cui all’articolo 483 cod.pen.,

contributo integrativo per il canone di locazione.
2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore
Generale presso la Corte di Appello di Bari lamentando, quale unico motivo, una
errata applicazione della legge in considerazione del fatto che quanto ascritto
ricadesse piuttosto nella fattispecie di cui all’articolo 316 ter, secondo comma
cod.pen. e che per la quantità dell’erogazione ottenuta (1.099,72 euro) dovesse
applicarsi la sola sanzione amministrativa in tale articolo prevista allorquando
l’indebita percezione non fosse superiore ad euro 3.999,96.
3. Il Procuratore Generale presso questa Corte, nella sua requisitoria
scritta, ha chiesto l’annullamento senza rinvio dell’impugnata sentenza.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è meritevole di accoglimento per cui l’impugnata sentenza
deve essere annullata senza rinvio.
2. La questione, invero, dell’inquadrabilità dei fatti ascritti alla ricorrente
in una fattispecie penalmente rilevante è stata ormai acclarata dalle Sezioni
Unite di questa Corte, nella decisione 16 dicembre 2010 n. 7537, che ha escluso
l’applicabilità del contestato delitto di falso di cui all’articolo 483 cod.pen. ovvero
del delitto di truffa, a scapito del delitto di cui all’articolo 316 ter del medesimo
codice.
L’articolo 316 ter cod.pen. punisce, invero, condotte decettive non incluse
nella fattispecie di truffa, caratterizzate (oltre che dal silenzio antidoveroso) da
false dichiarazioni o dall’uso di atti o documenti falsi, ma nelle quali l’erogazione
non discende da una falsa rappresentazione dei suoi presupposti da parte
dell’ente pubblico erogatore, che non viene indotto in errore perché in realtà si
rappresenta correttamente solo l’esistenza della formale attestazione del
richiedente.
Già le Sezioni Unite, con la sentenza n. 16568 del 2007 avevano statuito
che “vanno ricondotte alla fattispecie di cui all’art. 316-ter – e non a quella di
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in relazione alle dichiarazioni sul proprio reddito ai fini dell’ottenimento di un

truffa – le condotte alle quali non consegua un’induzione in errore per l’ente
erogatore, dovendosi tenere conto, al riguardo, sia delle modalità del
procedimento di volta in volta in rilievo ai fini della specifica erogazione, sia delle
modalità effettive del suo svolgimento nel singolo caso concreto”.
Questo principio va ribadito ed alla stregua di esso la truffa va ravvisata
solo ove l’ente erogante sia stato in concreto “circuito” nella valutazione di
elementi attestativi o certificativi artificiosamente decettivi.

fraudolenta della condotta, dall’altro, devono formare oggetto (come segnalato
anche dalla Corte Costituzionale) di una disamina da condurre caso per caso, alla
stregua di tutte le circostanze che caratterizzano la vicenda in concreto.
Significazioni in tal senso possono trarsi, del resto, dalla stessa
collocazione topografica dell’articolo 316 ter cod.pen. e dagli elementi descrittivi
che compaiono tanto nella rubrica che nel testo della norma, chiaramente
evidenzianti la volontà del legislatore di perseguire sostanzialmente la percezione
sine titulo delle erogazioni in via privilegiata rispetto alle modalità attraverso le
quali l’indebita percezione si è realizzata.
Il principio dianzi enunciato è stato poi specificato nel senso che: “Integra
il delitto di cui all’articolo 316 ter cod.pen. anche la indebita percezione di
erogazioni pubbliche di natura assistenziale, tra le quali rientrano quelle
concernenti la esenzione del ticket per prestazioni sanitarie ed ospedaliere
ovvero i contributi per le locazioni, in quanto nel concetto di conseguimento
indebito di una erogazione da parte di enti pubblici rientrano tutte le attività di
contribuzione ascrivibili a tali enti, non soltanto attraverso l’elargizione precipua
di una somma di danaro ma pure attraverso la concessione dell’esenzione dal
pagamento di una somma agli stessi dovuta, perché anche in questo secondo
caso il richiedente ottiene un vantaggio e beneficio economico che viene posto a
carico della comunità”.
La nozione di “contributo” va intesa, infatti, quale conferimento di un
apporto per il raggiungimento di una finalità pubblicamente rilevante e tale
apporto, in una prospettiva di interpretazione coerente con la ratio della norma,
non può essere limitato alle sole elargizioni di danaro.
Esaminato secondo l’impostazione dianzi delineata, il caso che ci occupa
appare caratterizzato dalla inesistenza di quella “induzione in errore”, che integra
elemento costitutivo del reato di truffa.
La vicenda, invero, nei suoi elementi fattuali, è integrata dall’esistenza di
una mera domanda con dichiarazione dell’esistenza di un reddito nullo.
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La sussistenza della induzione in errore, da un lato, e la natura

In base a ciò solo la struttura comunale ha erogato il chiesto contributo
nella misura di euro 1.099,72.
Per la relazione di residualità e sussidiarietà rispetto alla ipotesi di truffa
(già evidenziata dianzi), dunque, trova applicazione la fattispecie di cui
all’articolo 316 ter cod.pen.
3. Le Sezioni Unite, con la citata sentenza Carchivi, avevano inoltre già
dato risposta alla ulteriore questione dei rapporti della fattispecie di cui

che il reato di cui all’articolo 316 ter assorbisse quello di falso previsto
dall’articolo 483, in quanto l’uso o la presentazione di dichiarazioni o documenti
falsi costituisce un elemento essenziale per la sua configurazione, nel senso che
la falsa dichiarazione rilevante ex articolo 483, ovvero l’uso di un atto falso, ne
costituiscono modalità tipiche di consumazione.
Le Sezioni semplici si sono conformate a tale orientamento ed hanno
ribadito che il concorrente reato di cui all’articolo 483 cod.pen. resta assorbito
nella fattispecie di cui all’articolo 316 ter, dal momento che tale ultimo delitto ne
contiene tutti gli elementi costitutivi, dando così luogo ad un reato complesso, e
ciò pure quando occorra avere riguardo alla previsione dell’articolo 316 ter,
comma 2, non superandosi i livelli quantitativi dell’indebitamente percepito posti
dalla legge come spartiacque tra il fatto di mera rilevanza amministrativa e
quello di rilevanza penale (vedi Cass. Sez. VI 31 maggio 2007 n. 28665, Sez. V
17 settembre 2008 n. 41383, Sez. V 26 giugno 2009 n. 31909 e Sez. H 24
gennaio 2013 n. 17300).
4.

Nel quadro giurisprudenziale come sopra delineato ritiene questo

Collegio di dovere ribadire i principi secondo i quali:
a) il reato di cui all’articolo 316 ter cod.pen. assorba quello di falso
previsto dall’articolo 483 dello stesso codice in tutti i casi in cui l’utilizzo o la
presentazione di dichiarazioni o documenti falsi costituiscono elementi essenziali
per la sua configurazione. La fattispecie di indebita percezione di erogazioni a
danno dello Stato o di altri enti pubblici, infatti, si configura come fattispecie
complessa, ex articolo 84 cod.pen., che contiene tutti gli elementi costitutivi del
reato di falso ideologico. Né può attribuirsi rilevo alla diversità del bene giuridico
tutelato dalle due norme, considerato che in ogni reato complesso si ha, per
definizione, pluralità di beni giuridici protetti, a prescindere dalla collocazione
sistematica della fattispecie incriminatrice.
b) l’assorbimento del falso ideologico nel delitto di cui all’articolo 316 ter
cod.pen. si realizza anche quando la somma indebitamente percepita o non
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all’articolo 316 ter cod.pen. con i reati di falso ed in proposito avevano concluso

pagata dal privato, non superando la soglia minima dell’erogazione (euro
3.999,96), integri la mera violazione amministrativa di cui al secondo comma
dello stesso articolo 316 ter. Rientra, infatti, nelle valutazioni discrezionali del
legislatore la scelta della natura e qualità delle risposte sanzionatorie a condotte
antigiuridiche, e quindi l’assoggettabilità dell’autore, in una determinata
fattispecie, a sanzioni amministrative, pure se frammenti di queste condotte, ove
non sussistesse la fattispecie complessa, sarebbero sanzionabili con autonomo

5. Nella vicenda in esame, in definitiva, i fatti contestati vanno ricompresi
nello schema descrittivo dell’articolo 316 ter cod.pen., ivi assorbiti i reati di falso
e di truffa, ed a ciò consegue la declaratoria di non previsione del fatto come
reato, in quanto non risulta superata la soglia di punibilità, ragguagliata al valore
di euro 3.999,96, indicata nel secondo comma della richiamata previsione
legislativa.
6.

In conclusione, poi, per l’applicazione della prevista sanzione

amministrativa, gli atti devono essere trasmessi, come indicato dal RG.
ricorrente, al Prefetto della Provincia di Trani-Andria-Barletta.
P.T.M.

La Corte, qualificato il fatto ex art. 316 ter c. 2 c.p. annulla la sentenza
impugnata senza rinvio perchè il suddetto fatto non è previsto dalla legge come
reato.
Manda alla Cancelleria per le comunicazioni di rito al Prefetto competente.

Così deciso in Roma, il 12 novembre 2013.

titolo di reato.

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