Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 49812 del 24/10/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 49812 Anno 2013
Presidente: MARASCA GENNARO
Relatore: SETTEMBRE ANTONIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
LAURICELLA ANTONINO N. IL 29/04/1954
LAURICELLA CINZIA N. IL 05/12/1979
avverso il decreto n. 246/2011 CORTE APPELLO di PALERMO, del
24/11/2012
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANTONIO
SETTEMBRE;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott.

Uditi difensor Avv.;

Data Udienza: 24/10/2013

- Lette le conclusioni del Procuratore generale della repubblica presso la Corte di
Cassazione, che ha chiesto dichiararsi inammissibili i ricorsi.

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte d’appello di Palermo, con decreto del 24/11/2012, a conferma di
quello emesso dal locale Tribunale in data 17/8/2011, ha disposto, a carico di
Lauricella Antonino, la misura di prevenzione della sorveglianza speciale di PS

legge 31 maggio 1965, n. 575, nonché la confisca, ai sensi dell’art. 2/ter della
stessa legge, di quattro appartamenti siti in Palermo, vicolo delle Travi, nn. 4 e
12, intestati alla figlia Lauricella Cinzia.
2. La misura personale è stata disposta a carico del Lauricella perché ritenuto
soggetto socialmente pericoloso, in quanto indiziato di appartenenza mafiosa
nell’ambito della “famiglia” del “mandamento” di Porta Nuova, come gestore
delle estorsioni, e siccome in contatto, per fini illeciti, con esponenti della
“famiglia” mafiosa di Santa Maria del Gesù.
La misura reale è stata disposta perché il valore dei beni, intestati alla figlia
Cinzia – e quindi a soggetto rientrante nel novero delle persone cui, ai sensi
dell’art. 2/bis della L. 575/65, si applica la presunzione di interposizione – è
apparso sproporzionato rispetto al reddito e alle attività dichiarate e perché la
Lauricella non è stata in grado di giustificarne la legittima provenienza.
3.

Avverso l’anzidetta pronuncia hanno proposto ricorso per Cassazione,

nell’interesse di Lauricella Antonino e Lauricella Cinzia, l’avv. Antonino Zanghi,
affidandosi alle ragioni di censura di seguito specificate.
3.1. Nell’interesse di Lauricella Antonino il difensore si duole della violazione
degli artt. 1 e segg. della L. 575/65 e della insufficienza ed illogicità della
motivazione. Lamenta, in particolare, l’applicazione della misura personale in
assenza del requisito della attualità della pericolosità, desunta dall’unico
precedente penale per fatti risalenti nel tempo (associazione mafiosa fino
all’1/10/2005) e senza la verifica della permanenza nell’illecito dopo la condanna
suddetta.
3.2. Nell’interesse di Lauricella Cinzia si duole – anche in questo caso sotto il
profilo della violazione di legge e del vizio di motivazione – della riconduzione al
proposto dei beni confiscati e della loro ritenuta natura illecita. Lamenta che i
giudici non abbiano tenuto conto della documentazione prodotta dalla difesa già
in primo grado (atto d’acquisto e diffida del comune di Palermo) comprovante
l’esiguità del valore dei beni confiscati (€ 7.5000) e, quindi, la compatibilità con
le condizioni patrimoniali della Lauricella, la quale ha altresì dimostrato di essersi
procurata la provvista con l’alienazione di altro immobile, sito in via Gervasi, per

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con obbligo di soggiorno nel comune di residenza per anni tre, ai sensi della

il prezzo di £ 42.000.000. Lamenta che, inspiegabilmente, i giudici abbiano
ritenuto strumentale quest’ultimo atto – in ragione del fatto che l’immobile era
stato acquistato l’anno prima per la modesta somma di £ 3.500.000 -,
considerando che l’indicazione, nel rogito, di un maggior prezzo avrebbe
comportato maggiori oneri tributari e considerando che la compravendita
dell’immobile avvenne in un’epoca in cui non era stato ancora avviato il
procedimento di prevenzione, né il padre della ricorrente era stato ancora
ristretto per associazione mafiosa.

intestazione fittizia in capo a Lauricella Cinzia in virtù della convivenza col padre
e che la Corte d’appello, di fronte alla prova della non-convivenza, abbia poi
valorizzato, per pervenire alle medesime conclusioni, il rapporto di parentela;
nonché il fatto che la misura sia stata applicata all’intero patrimonio della
ricorrente, senza distinguere tra i beni legittimamente acquisiti e quelli frutto di
illecita accumulazione.

CONSIDERATO IN DIRITTO

I ricorsi di entrambi i ricorrenti sono infondati. Premesso che in materia di
misure di prevenzione l’unico vizio denunziabile in Cassazione è quello attinente
alla violazione di legge, in questa ricompresa l’assenza di motivazione, il
provvedimento impugnato è sicuramente immune dal vizio suddetto, avendo
ampiamente argomentato in ordine ai requisiti, prescritti dalla legge, per
l’applicazione della misura personale (a carico di Lauricella Antonino) e della
misura patrimoniale (a carico di Lauricella Cinzia).
1. Quanto alla misura personale (il Lauricella Antonino contesta il requisito
dell’attualità della pericolosità), ai sensi degli art. 1 e 2, I. 31 maggio 1965 n.
575, in materia di misure di prevenzione da applicarsi nei confronti di soggetti
indiziati di appartenenza ad associazioni di tipo mafioso, il requisito della
“attualità della pericolosità” è insito nella ritenuta attualità della presumibile
appartenenza del proposto a un sodalizio mafioso, in quanto, in tal caso, la
pericolosità del proposto è presunta dal legislatore e non richiede, a differenza di
quanto previsto per le misure di prevenzione di cui alla I. 27 dicembre 1956 n.
1423, l’accertamento in concreto della sua pericolosità. Ne deriva che, una volta
che il giudice della prevenzione abbia fornito adeguata motivazione in ordine alla
ritenuta sussistenza della partecipazione a un’associazione mafiosa e non
sussistono elementi – a parte il decorso del tempo, di per sé non decisivo – dai
quali possa ragionevolmente desumersi che l’appartenenza sia venuta meno, non
occorre alcuna specifica motivazione che dia conto delle ragioni per le quali il

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Lamenta, infine, che il Tribunale abbia ritenuto operante la presunzione di

soggetto sia da considerare anche attualmente pericoloso (Cassazione penale,
sez. I, 16/04/2007, n. 21048).
Nella specie, la Corte territoriale ha desunto la pericolosità del Lauricella dalla
condanna, già riportata e passata in giudicato il 17/1/2012, per associazione
mafiosa, mentre l’attualità della stessa è stata collegata – in aderenza alla
consolidata giurisprudenza di questa Corte, sopra menzionata – alla stabilità del
vincolo associativo, che – per consolidata regola di esperienza – non viene meno
con la condanna e nemmeno con la carcerazione dell’associato. Né il difensore ha

che lascino ipotizzare una sopravvenuta rottura del vincolo, in quanto si è
appellato esclusivamente al passaggio del tempo che, oltre a non essere per sé
significativo, è in contrasto con la realtà del procedimento che ha riguardato il
proposto (ritenuto associato mafioso fino all’ottobre 2005, mentre la proposta di
applicazione della misura di prevenzione è di appena due anni successiva).
La doglianza è, per conseguenza, infondata.
2. Quanto alla misura patrimoniale (concernente Lauricella Cinzia), la Corte
d’appello ha reso una motivazione non solo completa ma, per quel che rileva,
anche logica e congruente (anche se, per quanto si è detto, il vizio rilevabile in
Cassazione è la violazione di legge), dando dimostrazione dell’esistenza dei due
presupposti richiesti dalle legge per l’emissione del provvedimento ablatorio: la
disponibilità dei beni in capo al proposto e la sproporzione del valore dei beni
rispetto ai redditi dichiarati e le attività accertate.
Quanto al primo requisito, la “disponibilità” dei beni non deve necessariamente
concretarsi in situazioni giuridiche formali, essendo sufficiente che il prevenuto
possa di fatto utilizzarli, anche se formalmente appartenenti a terzi, come se ne
fosse il vero proprietario; e nei confronti del coniuge, dei figli e dei conviventi
siffatta disponibilità è presunta, senza necessità di specifici accertamenti, dal
momento che l’art. 2 bis legge 31 maggio 1965 n. 575 considera separatamente
dette persone rispetto a tutte le altre, fisiche o giuridiche, della cui interposizione
fittizia, invece, devono risultare gli elementi di prova, poiché la legge presuppone
che l’indiziato di appartenere ad associazioni di tipo mafioso, in quanto
consapevole di potere formare oggetto di indagini patrimoniali ai fini di una
eventuale confisca, faccia in modo che quanto da lui realizzato illecitamente
appaia formalmente nella disponibilità giuridica delle persone in cui ha maggiore
fiducia e cioè i suoi conviventi, spettando invece ai conviventi interessati
dimostrare, per sottrarre i beni alla confisca, l’esclusiva disponibilità da parte
dell’intestatario formale ((Cass., 4916 del 1996; N. 2960 del 7/12/2005). Cosa
che, nella specie, non è avvenuta.
Quanto al requisito della sproporzione, la Corte d’appello ha sottolineato che gli
immobili sono stati acquistati nel mese di giugno del 2004 da Lauricella Cinzia,
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segnalato fatti significativi di discontinuità – nella condotta di vita del Lauricella –

figlia del proposto, senza che né lei, né il padre abbiano dimostrato la percezione
di redditi, di qualsiasi natura, nel periodo relativo all’acquisto e in quello
precedente.

Né hanno trascurato di esaminare e confutare le allegazioni

difensive, rilevando che la spiegazione fornita dall’interessata – circa la
provenienza della provvista – era priva di plausibilità, in quanto non poteva darsi
che un immobile, acquistato per la somma di E. 3.500.000, fosse stato venduto,
l’anno dopo, per £ 42.000.000, senza che nessun intervento migliorativo fosse
stato, nel frattempo, effettuato. In ogni caso, hanno rilevato che nemmeno in

spiegazione, essendo stato effettuato quando la Lauricella era priva di redditi
propri e senza un’attività lavorativa, né il padre aveva dato prova di maggiori
disponibilità. Del tutto conseguente è la conclusione che il valore dei beni fosse
sproporzionato rispetto ai beni e alle attività economiche dichiarate e che fosse
integrato, pertanto, l’altro requisito richiesto per l’applicazione della misura.
Consegue da quanto sopra la sufficienza dell’apparato argomentativo della
decisione, non sminuito dalla considerazione difensiva – peraltro attinente alla
logicità e non alla completezza della motivazione – che l’indicazione di un
maggior prezzo di vendita, nel rogito, avrebbe comportato maggiori oneri fiscali,
giacché – come acutamente osservato dalla Corte territoriale – la possibilità di
sottrarre il bene alla confisca era, per Lauricella, motivo sufficiente per
sobbarcarsi i maggiori oneri connessi all’abnorme lievitazione del prezzo. Priva di
pregio è, invece, la considerazione che nel 2004 (epoca dell’acquisto del bene) il
Lauricella non era ancora sottoposto a procedimento penale, giacché la
prospettiva di incapparvi era certamente a lui presente (come a tutti i soggetti
dediti, stabilmente, ad attività delittuose). Completamente aspecifica – e perciò
inammissibile – è, infine, la doglianza concernente la qualità del patrimonio
confiscato, posto che nemmeno il ricorrente è stato in grado di distinguere tra
beni lecitamente acquistati e quelli frutto di illecita accumulazione.
La decisione regge, pertanto, alle censure mosse coi ricorsi, che vanno di
conseguenza rigettati. I ricorrenti vanno invece condannati, per legge, al
pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso il 24/10/2013

relazione alla provvista del primo acquisto era stata fornita alcuna congrua

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