Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 498 del 21/11/2017


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 498 Anno 2018
Presidente: DE CRESCIENZO UGO
Relatore: DI PAOLA SERGIO

ORDINANZA
sui ricorsi proposti da:
ESPOSITO GIOVANNI nato il 22/09/1988 a NAPOLI
AGOSTINO STEFANO nato il 01/10/1990 a IVREA
TROIANO MARIO nato il 15/07/1963 a FOGGIA

avverso la sentenza del 14/02/2017 del GIP del TRIBUNALE di VERCELLI
dato avviso alle parti;
sentita la relazione svolta dal Consigliere SERGIO DI PAOLA;

RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO
Il GIP del Tribunale di Vercelli, con sentenza in data 14/02/2017, applicava nei
confronti di ESPOSITO GIOVANNI, AGOSTINO STEFANO, TROIANO MARIO, la pena
concordata dalle parti ex art. 444 c.p.p., in relazione al reato di cui all’ art. 628 CP
Propongono ricorso per cassazione gli imputati, deducendo i seguenti motivi:
ESPOSITO GIOVANNI deduce violazione di legge e vizio di motivazione con
riferimento alla mancanza di valutazione della congruità della pena, ai sensi dell’art.
133 cod. pen., e all’accertamento dell’insussistenza dei presupposti per la pronuncia
assolutoria ex art. 129 cod. proc. pen.; AGOSTINO STEFANO e TROIANO MARIO
deducono violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento all’accertamento
dell’insussistenza dei presupposti per la pronuncia assolutoria ex art. 129 cod. proc.
pen.
I ricorsi sono inammissibili, in quanto è principio costantemente affermato dalla
Suprema Corte, in tema di patteggiamento, che il giudizio negativo circa la ricorrenza

Data Udienza: 21/11/2017

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di una delle ipotesi dr cui al citato art. 129 c.p.p. deve essere accompagnato da una
specifica motivazione soltanto nel caso in cui dagli atti o dalle deduzioni delle parti
emergano concreti elementi circa la possibile applicazione di cause di non punibilità
dovendo, invece, ritenersi sufficiente, in caso contrario, una motivazione consistente
nell’enunciazione – anche implicita – che è stata compiuta la verifica richiesta dalle
legge e che non ricorrono le condizioni per la pronuncia di proscioglimento ex art. 129
c.p.p. (Sez. Unite, n. 10372 del 27/09/1995, Serafino, Rv. 202270; da ultimo, Sez. 1,
n. 4688 del 10/01/2007, Brendolin, Rv. 236622). Nel caso di specie, la sentenza

espressamente la sussistenza di una delle cause di cui all’art. 129 c.p.p.
Quanto alla congruità della pena, va ribadito il principio costantemente affermato
secondo il quale in tema di patteggiamento il giudice non può che respingere o
accogliere la richiesta di patteggiamento in tutta l’articolazione del calcolo della
sanzione senza facoltà di operare interventi che modifichino il tema pattiziamente
devoluto, dovendosi limitare a verificare che la pena complessivamente richiesta non
ecceda, in difetto o in eccesso, dai limiti legali. Il principio non soffre deroghe anche
per quel che attiene al calcolo della pena con riferimento all’istituto della
continuazione, quando la richiesta contenga la misura della pena base e l’aumento
risultante dalla continuazione. Il giudice è tenuto, in tal caso, solamente a verificare
che il reato da lui ritenuto più grave sia compatibile con l’applicazione della pena base
indicata dal richiedente (nel senso che sia ricompresa tra il minimo ed il massimo
edittale del reato ritenuto più grave), tenuto conto del concorso di possibili
circostanze, e che l’aumento per la continuazione sia contenuto nel triplo della pena
base proposta. Ove il risultato di tali verifiche conduca a ritenere legittima la pena
complessivamente richiesta, l’autorità giudiziaria non è tenuta ad alcuna specifica
motivazione ed ogni doglianza al riguardo non può essere presa in esame dal giudice
dell’impugnazione proprio in ragione della base pattizia del computo recepito nella
sentenza (Sez. 6, sent. n. 3461 del 13/02/1998, Torrente, Rv. 210091; Sez. 3, sent.
n. 3285 del 22/10/1999, dep. 05/01/2000, Gadler, Rv. 215163): verifiche, nella
fattispecie, regolarmente compiute dal giudice.
Alla inammissibilità dei ricorsi consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento
delle spese processuali, nonché, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., valutati i profili di colpa
nella determinazione della causa di inammissibilità emergenti dai ricorsi (Corte Cost.
13 giugno 2000, n. 186), ciascuno al versamento della somma, che si ritiene equa, di
euro tremila a favore della cassa delle ammende.

impugnata si è attenuta correttamente al suddetto principio escludendo

P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese
processuali e ciascuno al versamento della somma di euro tremila alla cassa delle
ammende.
Così deciso il 21/11/2017

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