Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 49793 del 05/06/2013


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Penale Sent. Sez. 5 Num. 49793 Anno 2013
Presidente: MARASCA GENNARO
Relatore: GUARDIANO ALFREDO

Data Udienza: 05/06/2013

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Spagnolo Antonio, nato a Ciminà il 31.3.1960, avverso l’ordinanza
emessa dal tribunale del riesame di Reggio Calabria il 31.10.2012;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere dott. Alfredo Guardiano;
udito il pubblico ministero nella persona del sostituto procuratore
generale dott. Gioacchino Izzo, che ha concluso per l’annullamento con
rinvio dell’impugnata ordinanza;
uditi per il ricorrente i difensori di fiducia, avv. Antonio Managò del Foro
di Reggio Calabria ed avv. Antonio Gianzi del Foro di Roma, che hanno
concluso per raccoglimento del ricorso.

FATTO E DIRITTO

1 D tribunale del riesame di Reggio Calabria, con il provvedimento di cui
in epigrafe, ha confermato l’ordinanza di custodia cautelare in carcere

emessa il 22.10.2012 a carico di Spagnolo Antonio, indagato con
riferimento al delitto di cui al capo A (art. 416 bis, co. 1, 2, 3, 4, 5 e 6,
c.p.), quale esponente di vertice dell’associazione a delinquere di stampo
mafioso denominata ‘ndrangheta, appartenente al “locale” di Ciminà,
“con il compito di assicurare le comunicazioni tra gli associati,

partecipare alle riunioni ed eseguire le direttive dei vertici della società e
dell’associazione, riconoscendo e rispettando le gerarchie e le regole
interne al sodalizio”.
2. Avverso tale provvedimento, di cui chiede l’annullamento, ha proposto
ricorso per Cassazione l’imputato, a mezzo dei suoi difensori di fiducia,
avv. lemma ed avv. Gianzi, attraverso due distinti atti di impugnazione.
3. Con l’impugnazione presentata dall’avv. lemma, il ricorrente lamenta
violazione di legge e vizio di motivazione in ordine:
a)

all’art. 297, co. 3, c.p.p., dovendosi retrodatare gli effetti

dell’ordinanza cautelare emessa nei confronti dello Spagnolo nell’ambito
del presente procedimento, con conseguente declaratoria di inefficacia di
tale titolo custodiale, al momento in cui venne eseguita a carico
dell’indagato l’ordinanza di custodia cautelare adottata il 9.5.2007, per il
reato di cui all’art. 74, d.p.r. 309/90, nel diverso procedimento, noto
come “operazione Stupor Mundi”.
Ciò in quanto la nuova misura cautelare si fonda sul medesimo quadro di
gravità indiziaria della prima, costituito dalle dichiarazioni del
collaboratore di giustizia Varacalli Rocco, non avendo aggiunto nulla a
quanto già emerso nell’ambito del procedimento “Stupor Mundi”, le
nuove dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia Marando Rocco, del
tutto generiche in ordine alla presunta partecipazione dello Spagnolo al
sodalizio mafioso, anche sotto il profilo temporale;
b) agli artt. 273, co. 1 e 1 bis, c.p.p.; 416 bis, c.p., deducendo: 1)
l’evidente contraddizione esistente tra le dichiarazioni del collaboratore
di giustizia Novella Domenico, che ha attribuito allo Spagnolo il ruolo di
capo del “locale” di Ciminà, laddove le indagini, come evidenziato nella
stessa ordinanza, avevano individuato in Nesci Nicola il vertice della
suddetta cosca; 2) la mancata dimostrazione del coinvolgimento

2

of-

dell’indagato in singoli reati-fine, indispensabile per potere affermare la
partecipazione dello stesso all’associazione a delinquere di stampo
mafioso di cui si discute, che il tribunale del riesame ritiene sussistente
sulla base di affermazioni meramente apodittiche; 3) la intrinseca
incoerenza e la genericità delle dichiarazioni accusatorie del
riferimento alla presunta appartenenza dello Spagnolo all’associazione
mafiosa, “senza l’indicazione specifica di comportamenti evocativi di un
apporto al conseguimento di interessi del gruppo criminoso”; 5) la
inidoneità a fungere da elemento di riscontro estrinseco alle dichiarazioni
accusatorie dei collaboratori di giustizia, tanto la conversazione, oggetto
di intercettazione ambientale, in cui Nesci Nicola, cognato dello
Spagnolo, esprime preoccupazione sulla sorte processuale di
quest’ultimo, che va ricondotta al rapporto parentale intercorrente tra i
due uomini e non a pretese dinamiche criminali, quanto il ritenuto
coinvolgimento dell’indagato nel “presunto omicidio di tale Bevilacqua
Giovanni”, in un contesto di controllo del territorio operato, per suo
tramite, dalla cosca di riferimento, che non può desumersi, per l’assoluta
genericità del suo contenuto, dalla conversazione, oggetto di
intercettazione ambientale , del 29.3.2007.
4. Con il suo ricorso l’avv. Gianzi lamenta violazione di legge e vizio di
motivazione in ordine:
a) agli art. 297, co. 3, c.p.p., e 416 bis, c.p., deducendo: 1) l’esistenza
di un rapporto di connessione teleologica e probatoria tra il reato di cui
all’art. 416 bis, c.p., oggetto dell’ordinanza cautelare del 22.10.2012, e
quello di cui all’art. 74, d.p.r. 309/90, oggetto dell’ordinanza cautelare
del 9.5.2007, erroneamente escluso dal tribunale del riesame, senza
considerare che, come emerge dalla motivazione del primo
provvedimento coercitivo, l’attività di importazione illecita di sostanze
stupefacenti in territorio italiano sarebbe stata la principale finalità
delittuosa della cosca mafiosa, di cui lo Spagnolo è accusato di essere
qualificato esponente; 2) la presenza e, quindi, la possibilità di
desumerle dagli atti, ai fini della invocata applicazione del disposto

3

collaboratore di giustizia Marando Rocco, che ha fatto genericamente

dell’art. 297, co. 3, c.p.p., già nell’ambito del procedimento “Stupor
Mundi”, delle reiterate dichiarazioni del collaboratore di giustizia
Varacalli Rocco, sulla partecipazione dell’indagato ad entrambe le
associazioni criminose di cui agli artt. 416 bis, c.p., e 74, d.p.r. 309/90,
e del contenuto delle conversazioni intercettate che ne costituiscono
il quale, peraltro, con motivazione affetta da manifesta illogicità e
contraddittorietà, da un lato fonda la valutazione sui gravi indizi di
colpevolezza quasi esclusivamente sulle dichiarazioni del Varacalli e sul
contenuto delle conversazioni intercettate (non attribuendo particolare
valore a quelle dell’altro collaboratore, Marando Rocco), dall’altro
afferma che all’epoca della emissione della prima ordinanza non fossero
ancora desumibili dagli atti elementi di responsabilità a carico dello
Spagnolo per il reato di cui all’art. 416 bis, c.p.;
b) agli artt. 273, c.p.p., e 416 bis, c.p., lamentando: 1) la genericità
delle dichiarazioni accusatorie del Varacalli (specifiche solo in riferimento
all’attività dello Spagnolo nel settore dell’importazione di sostanze
stupefacenti) e del Marando, nonché il dubbio significato e la manifesta
imprecisione del preteso elemento di riscontro, rappresentato dal
contenuto delle conversazioni intercettate tra terzi, elementi tutti,
pertanto, inidonei ad integrare il requisito dei gravi indizi di colpevolezza
di cui all’art. 273, c.p.p.
5. In data 1.6.2013, l’avv. Antonio Managò, nuovo difensore di fiducia
dello Spagnolo, che revocava l’avv. lemma, ha depositato memoria con
cui ribadisce l’applicabilità al caso in esame dei principi in tema di
retrodatazione degli effetti della custodia cautelare sanciti nell’art. 297,
co. 3, c.p.p., la genericità delle dichiarazioni accusatorie dei collaboratori
di giustizia e, comunque, la mancanza di idonei riscontri esterni,
prospettando anche una nuova questione sulla inutilizzabilità delle
medesime, in quanto rese oltre il termine di centottanta giorni dall’inizio
della collaborazione del Varacalli e del Marando.
6. Preliminarmente va rilevata la tardività del deposito della memoria
dell’avv. Managò.

4

riscontro esterno, secondo quanto ritenuto dallo stesso giudice di merito,

Nel caso di ricorso per Cassazione contro le ordinanze pronunciate dal
tribunale del riesame ai sensi dell’art. 309, c.p.p., infatti, giusto
l’espresso richiamo contenuto nell’art. 311, co. 5, c.p.p., trovano
applicazione “le forme previste dall’art. 127” del codice di rito, in cui
rientra la possibilità per le parti di presentare in cancelleria memorie
disposizione che si configura come speciale rispetto alla norma generale
prevista dall’art. 121, c.p.p.
Ne consegue che, trattandosi, come affermato dalla giurisprudenza di
legittimità, di termine previsto a pena di inammissibilità (cfr. Cass., sez.
I, 25.1.2012, n. 4793, C., rv. 251864), la memoria dell’avv. Managò
poteva e dovev-à-lprggéntata in cancelleria entro e non oltre il 31 maggio
2013 (giorno non festivo), per cui il suo deposito avvenuto in data
1.6.2013, non ne consente l’esame in questa sede.
7. Le osservazioni difensive sulla applicabilità nel caso in esame dei
principi sulla retrodatazione della efficacia della misura cautelare in caso
di “contestazioni a catena” previsti dall’art. 297, co. 3, c.p.p., non
possono essere accolte.
7.1 Il tribunale del riesame, nel rigettare sul punto i rilievi formulati
dalla difesa dello Spagnolo, dopo ampi ed approfonditi richiami della
giurisprudenza della Corte Costituzionale e della Corte di cassazione in
materia, ha evidenziato come, da un lato, non esista alcun rapporto di
connessione qualificata, rilevante ai sensi del menzionato art. 297, co. 3,
c.p.p., tra i fatti oggetto dell’ordinanza cautelare emessa il 22.10.2012 e
quelli oggetto dell’ordinanza coercitiva adottata sempre nei confronti
dello Spagnolo, nell’ambito del procedimento “Stupor Mundi”; dall’altro
l’inidoneità a fondare un consistente quadro indiziario a carico
dell’indagato per il delitto di cui all’art. 416 bis, c.p., delle dichiarazioni
rese nel procedimento “Stupor Mundi” dal Varacalli, per mancanza di
adeguati elementi di riscontro ab extemo, che sono intervenuti solo
successivamente, grazie ai risultati dell’attività di indagine, nel
frattempo proseguita, compendiati in numerose e corpose informative di
polizia giudiziaria ed alle dichiarazioni del collaboratore di giustizia

5

“fino a cinque giorni prima dell’udienza” (art. 127, co. 2, c.p.Ay /

Marando Rocco, che pur generiche, collimano con quelle del Varacalli
nell’indicare lo Spagnolo come partecipe della cosca di Ciminà.
7.2 Tali argomentazioni sono state sottoposte a critica dai difensori del
ricorrente, nei termini in precedenza esposti, ma le doglianze difensive

genericità.
7.3. Come è stato recentemente affermato dal Supremo Collegio nella
sua espressione più autorevole, infatti, in tema di contestazione a
catena, la questione relativa alla retrodatazione della decorrenza del
termine di custodia cautelare può essere dedotta anche nel
procedimento di riesame solo se ricorrono congiuntamente le seguenti
condizioni: a) termine interamente scaduto, per effetto della
retrodatazione, al momento del secondo provvedimento cautelare; b)
desumibilità dall’ordinanza applicativa della misura coercitiva di tutti gli
elementi idonei a giustificare l’ordinanza successiva (cfr. Cass., sez. un.,
19.7.2012, n. 45246, p.m. in proc. Polcino, rv. 253549, nonché Cass.,
sez. un., 19.7.2012, n. 45247, Asllani).
I suddetti presupposti di applicazione della retrodatazione ex art. 297
c.p.p., comma 3, costituiscono, invero, come chiarito dalle Sezioni Unite,
una “quaestio facti” la cui soluzione è rimessa di volta in volta
all’apprezzamento del giudice di merito (Sez. 5, n. 44606 del
18/10/2005, Traina, Rv. 232797; Sez. 6, n. 12676 del 20/12/2006, dep.
2007, Barresi, Rv. 236829; Sez. 4, n. 9990 del 18/01/2010, Napolitano,
Rv. 246798), e in quanto tale richiede l’esame e la valutazione degli atti
ed una ricostruzione dei fatti, attività precluse al giudice di legittimità, il
quale deve solo verificare che il convincimento espresso in sede di
merito sia correttamente e logicamente motivato.
Solo la completezza degli elementi di fatto e documentali utili per la
decisione, in considerazione della mancanza di poteri istruttori del
giudice del riesame e delle esigenze di speditezza del procedimento
incidentale de libertate, consente, in altri termini, di dare spazio ai
principi di economia processuale e di rapida definizione del giudizio in
vista della più ampia tutela del bene primario della libertà personale.

6

sono affette da un “vizio genetico”, che le rende inammissibili per

Se ciò è vero, allora è altrettanto vero che incombe sulla parte che
invoca l’applicazione della retrodatazione, dimostrare l’esistenza di
entrambe le condizioni ed, in particolare la possibilità di desumere dalla
prima ordinanza applicativa della misura coercitiva in ordine di tempo
tutti gli elementi idonei a giustificare l’ordinanza adottata

produzione dell’ordinanza in questione ovvero degli atti di indagine che
ne costituiscono il fondamento.
Solo in questo modo, infatti, il giudice dell’impugnazione cautelare sarà
in grado di verificareKsistenza o meno dei presupposti per l’applicazione
della particolare disciplina prevista per i casi di “contestazione a catena”
e la Corte di Cassazione, ove sia chiamata ad intervenire, di operare il
controllo che le compete sulla relativa motivazione.
Nel caso in esame, tuttavia, a tale onere non ha adempiuto la difesa
dello Spagnolo, che in sede di riesame si è limitata a depositare una
memoria riepilogativa delle stesse questioni prospettate nei motivi del
ricorso per Cassazione, senza fornire nessun elemento in grado di
comprovare le sue affermazioni, sulla completezza del quadro di gravità
indiziaria a carico dello Spagnolo anche in ordine alla sua partecipazione
al “locale” di Ciminà sin dal momento in cui egli venne raggiunto
dall’ordinanza cautelare emessa nell’ambito del procedimento “Stupor
Mundi” per un diverso reato associativo.
Tale lacuna, che avrebbe legittimato già in sede di merito una pronuncia
in termini di inammissibilità, sul punto, del riesame presentato
nell’interesse dello Spagnolo, determina inevitabilmente l’assoluta
genericità del motivo di ricorso di cui si discute, che, pertanto,
risolvendosi in una sostanziale petizione di principio, va dichiarato
inammissibile.
8. Infondati appaiono, invece, gli altri motivi di ricorso, che, per la loro
omogeneità, possono essere trattati congiuntamente.
8.1 Al riguardo va preliminarmente rilevato che gli ulteriori motivi di
ricorso articolati dallo Spagnolo si pongono ai confini della
inammissibilità.

7

aLl

successivamente, il che può avvenire solo attraverso, innanzitutto, la

Come è noto, infatti, in tema di impugnazione dei provvedimenti in
materia di misure cautelari personali, il ricorso per Cassazione è
ammissibile soltanto se denuncia la violazione di specifiche norme di
legge ovvero la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento
secondo i canoni della logica ed i principi di diritto, ma non anche

che si risolvano in una diversa valutazione delle circostanze esaminate
dal giudice di merito (cfr. Cass., sez. V, 8/10/2008, n. 46124, rv.
241997).
Ed invero, in materia di provvedimenti

de libertate,

la Corte di

Cassazione non ha alcun potere di revisione degli elementi materiali e
fattuali delle vicende indagate, ivi compreso lo spessore degli indizi, né
di rivalutazione delle condizioni soggettive dell’indagato, in relazione alle
esigenze cautelari e all’adeguatezza delle misure, trattandosi di
apprezzamenti di merito rientranti nel compito esclusivo e insindacabile
del giudice che ha applicato la misura e del tribunale del riesame. Il
controllo di legittimità è quindi circoscritto all’esame del contenuto
dell’atto impugnato per verificare, da un lato, le ragioni giuridiche che lo
hanno determinato e, dall’altro, l’assenza di illogicità evidenti, ossia la
congruità delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del
provvedimento (cfr. Cass., sez. IV, 3/2/2011, n. 14726, D.R.; Cass.,
sez. IV, 06/07/2007, n. 37878
C. e altro).
Ne consegue che quando, come nel caso in esame, viene denunciato il
vizio di motivazione del provvedimento emesso dal tribunale del riesame
in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, alla Corte di
Cassazione spetta il compito di verificare, in relazione alla peculiare
natura del giudizio di legittimità e ai limiti che ad esso ineriscono, se il
giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che
l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico
dell’indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante
la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai
principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze

8

quando propone censure che riguardino la ricostruzione dei fatti ovvero

probatorie, con gli adattamenti resi necessari dal particolare contenuto
della pronuncia cautelare, non fondata su prove, ma su indizi e tendente
all’accertamento non della responsabilità, ma di una qualificata
probabilità di colpevolezza, oltre che all’esigenza di completezza
espositiva” (cfr. Cass., sez. V, 20.10.2011, n. 44139, 0.M.M.).

consentito in sede di legittimità.
Il giudice di merito, infatti, con motivazione approfondita ed immune da
vizi logici, ha innanzitutto esposto le ragioni per cui è possibile affermare
l’esistenza del “locale” di Ciminà, quale articolazione territoriale della più
vasta associazione a delinquere di stampo mafioso denominata
‘ndrangheta (circostanza non contestata dal ricorrente), per poi
procedere ad esaminare la posizione dello Spagnolo.
Quest’ultimo è stato considerato esponente di vertice della cosca
mafiosa di Ciminà, sulla base delle convergenti dichiarazioni accusatorie
dei collaboratori di giustizia Varacalli Rocco e Marando Rocco, sui quali il
tribunale del riesame si è soffermato dettagliatamente, operando in
primis una esauriente valutazione della loro credibilità soggettiva e
dell’attendibilità intrinseca delle loro dichiarazioni, sotto il profilo della
coerenza, della precisione, della costanza e della spontaneità,
conformemente ai principi elaborati dalla giurisprudenza di legittimità in
tema di valore probatorio della chiamata di reità o di correità.
Quanto ai riscontri esterni, necessari sotto il profilo dell’attendibilità
estrinseca delle dichiarazioni accusatorie dei menzionati collaboratori di
giustizia, anche in questo caso il tribunale del riesame, con motivazione
ineccepibile, li individua nella loro reciproca convergenza, nonché negli
esiti delle conversazioni oggetto di intercettazione e dei servizi di
osservazione e controllo svolti dagli agenti operanti, puntualmente
esaminati nella parte della motivazione dedicata alla ricostruzione delle
vicende della cosca di Ciminà (cfr. pp. 16-67; 72-101).
A fronte di tale esaustivo percorso argomentativo, le doglianze dei
ricorrenti in ordine alla inadeguatezza della narrazione dei collaboratori
di giustizia e degli elementi estrinseci di riscontro ad integrare un quadro

9

8.2 Orbene l’ordinanza impugnata supera positivamente il controllo

indiziario sufficientemente grave a carico dello Spagnolo, appaiono
oltremodo generiche.
8.3 Con particolare riferimento al contributo del Marando, va rilevato che
il tribunale del

riesame,

nel disattendere i

rilievi difensivi

sostanzialmente riprodotti con i motivi di ricorso sul valore delle

profili di genericità, si integrano con quelle, viceversa specifiche e
dettagliate, rese dal Varacalli sulla “carriera” criminale e sulla posizione
gerarchica assunta dallo Spagnolo, nella ‘ndrangheta in generale e nel
“locale” di Ciminà in particolare, contribuendo, la convergenza delle
propalazioni dei collaboratori sull’appartenenza dello Spagnolo alla
`ndrangheta, a delineare una solida piattaforma di gravità indiziaria.
Tale argomentare appare assolutamente conforme ai principi, condivisi
dal Collegio, elaborati in materia dalla giurisprudenza di legittimità, che
ha avuto modo di precisare, rileva correttamente il tribunale del
riesame, come la convergenza di plurime attendibili dichiarazioni che
attestino la conosciuta appartenenza al sodalizio criminoso dell’indagato,
configuri la gravità indiziaria imposta dall’art. 273 c.p.p., quando almeno
una di tali attendibili dichiarazioni indichi specifici comportamenti o fatti
che possano ritenersi, sul piano logico, significativi di un consapevole
apporto al perseguimento degli interessi del sodalizio, e che debbono
essere oggetto di specifica motivazione proprio in ordine a tale loro
significatività (cfr. Cass., sez. VI, 25/10/2011, n. 40520, F., rv.
251063).
Non può pertanto sostenersi che, sul punto, la motivazione del tribunale
del riesame sia mancante o manifestamente illogica.
Peraltro, non può non rilevarsi al riguardo che il Marando non si è
limitato ad affermare l’appartenenza dello Spagnolo alla ‘ndrangheta,
ma ha specificato che quest’ultimo occupava una posizione di vertice
all’interno dell’associazione mafiosa (cfr. lo stralcio dell’interrogatorio
reso dal collaboratore il 22.4.2009, riportato alla p. 91 dell’impugnata
ordinanza), conformemente a quanto affermato dal Varacalli che
attribuisce allo Spagnolo le cariche di “capo società dell’organizzazione e

10

dichiarazioni del collaboratore, ha osservato che esse, pur presentando

capo mafia del paese di Ciminà”, oltre al grado di “santista” (cfr. lo
stralcio dell’interrogatorio reso dal collaboratore il 25.10.2006, riportato
alla pp. 94-97 dell’impugnata ordinanza)
Orbene, tenuto conto della particolare efficacia probatoria che, in tema
di dichiarazioni provenienti da collaboratore di giustizia che abbia

informazioni che lo stesso sia in grado di rendere in quanto riconducibili
ad un patrimonio cognitivo comune a tutti gli associati di quel
determinato sodalizio (cfr. Cass., sez. I, 10/05/2006, n. 19612, N.),
quali si appalesano quelle fornite dal Varacalli e dal Marando in forza
della loro militanza nella ‘ndrangheta, non appare revocabile in dubbio
che, nel caso in esame ed in quelli analoghi, la dimostrazione di
soggetto intraneo ad un’associazione a delinquere di stampo mafioso, ai
fini della gravità indiziaria richiesta dall’art. 273, c.p.p., può ben
provenire dalle chiamate di correità e reità plurime e autonome da parte
degli associati a vario titolo, che, come i menzionati collaboratori,
essendo a conoscenza dei ruoli e dei compiti di ciascuno degli
appartenenti alla struttura mafiosa, sono in grado di specificarne la
carica ed il ruolo esercitato all’interno del sodalizio (cfr. Cass., sez. I,
18/02/2010, n. 9091, D.G.B. e altro; Cass., sez. I, 24/02/2011, n.
21229, M., rv.250294; Cass., sez. I, 13/04/2011, n. 20563, P., rv.
250296).
Per cui, anche sotto questo ulteriore profilo, la censura difensiva appare
infondata.
8.3 Identiche considerazioni valgono per gli altri elementi di riscontro
esterno: anche in questo caso il tribunale del riesame commenta
analiticamente il contenuto delle conversazioni oggetto di captazione,
intercorse tra Nesci Nicola, Melia Vincenzo e Romano Nicola, fornendone
una lettura assolutamente immune da vizi logici, di conferma del ruolo
di primo piano rivestito dallo Spagnolo nella organizzazione mafiosa.
Valga per tutte la conversazione del 30.4.2008, riportata a p. 100, in cui
il Melia si preoccupa delle conseguenze prodotte dalle rivelazioni del
Varacalli, accomunando, come rileva il giudice della libertà, la propria

11

militato all’interno di un’associazione mafiosa, va riconosciuta alle

figura criminale a quelle del Nesci, dello Spagnolo e dello stesso
Varacalli, a dimostrazione dell’appartenenza di tutti i predetti al
medesimo sodalizio criminale.
8.4 La posizione di vertice riconosciuta a Nesci Nicola nel contesto
criminale tratteggiato in precedenza (cfr. pp. 21 e ss. dell’impugnata

l’analoga posizione rivestita dallo Spagnolo, come sostenuto dal
ricorrente.
Ed invero, costituendo la `ndrangheta, sulla base dell’esperienza storica
consacrata in numerosissime sentenze passate in giudicato e delle
indagini svolte nel presente procedimento, un sodalizio di stampo
mafioso, caratterizzato da una articolatissima organizzazione di tipo
gerarchico-piramidale, in cui le singole realtà territoriali ad essa
riconducibili possono essere guidate da una pluralità di soggetti, con
ruoli diversi (cfr., ex plurimis, Cass., sez. V, 22.11.2012, n. 18491,
Vadalà e altri, rv. 255431), è ben possibile che il vertice del “locale” di
Ciminà fosse costituito oltre che dal Nesci, che rivestiva le cariche di
“mastro di corona” e di “capo consigliere”, quest’ultima concessa del pari
a Romano Nicola (cfr. p. 21 dell’ordinanza oggetto di ricorso), anche
dallo Spagnolo.
8.5 Infondato, infine, deve ritenersi il motivo di ricorso con cui si fa
valere l’impossibilità di configurare il delitto di cui all’art. 416 bis, c.p.,
non essendo stata dimostrata la consumazione da parte dello Spagnolo
di nessun reato-fine, in quanto tale condizione non è, a differenza di
quanto affermato dalla difesa del ricorrente, elemento indispensabile per
la sussistenza o per la prova del reato associativo, essendo sufficiente, al
riguardo, il dimostrato inserimento del soggetto all’interno della
compagine criminale, secondo modalità tali da poterne desumere la
completa “messa a disposizione” dell’organizzazione mafiosa della sua
persona, come verificato essere accaduto per lo Spagnolo, assurto a
livelli apicali all’interno della ‘ndrangheta.
Non bisogna, infatti, trascurare il carattere speciale del reato di cui
all’art. 416 bis, c.p., su cui concordano dottrina e giurisprudenza,

12

ordinanza), non rappresenta un elemento di forte contraddizione con

evidenziando come esso si caratterizzi, sotto il profilo attivo, per
l’utilizzazione da parte degli associati dell’intimidazione nascente dal
vincolo associativo; sotto il profilo passivo, per la condizione di
assoggettamento e di omertà che ne deriva.
La tipicità della fattispecie di cui all’art. 416 bis, c.p., si coglie, dunque,

mira dai consociati che, come appare evidente dalla formulazione
letterale del terzo comma dell’art. 416 bis, c.p., possono essere
rappresentati, a differenza di quanto previsto dal comma 1 dell’art. 416,
c.p., anche da eventi diversi dalla commissione di delitti ed, in ipotesi,
anche leciti, inseriti, tuttavia, nell’orbita dell’illecito penale proprio in
conseguenza delle modalità “mafiose” con cui vengono realizzati, ma,
per l’appunto, nelle modalità attraverso cui l’associazione decide di
manifestarsi e si manifesta concretamente: l’intimidazione ed il
conseguente insorgere nei terzi di quella situazione di soggezione, che
può derivare anche soltanto dalla conoscenza della pericolosità del
sodalizio di stampo mafioso (cfr. Cass., sez. I, 10/2/1992, n. 3223,
d’Alessandro, rv. 189665; Cass., sez. I, 1/4/1992, n. 6784, Bruno, rv.
190539).
Se, dunque, l’elemento tipizzante del delitto di cui all’art. 416 bis, c.p.,
si presenta nei termini ora indicati, può a ragione affermarsi, come si
legge in una recente decisione di legittimità condivisa da questo
Collegio, che, ai fini dell’integrazione della condotta di partecipazione
all’associazione di tipo mafioso, non è necessario che ciascuno dei
membri del sodalizio si renda protagonista di specifici atti esecutivi della
condotta criminosa programmata, perché il contributo del partecipe può
essere costituito anche dalla sola dichiarata adesione all’associazione da
parte di un singolo, il quale presti la propria disponibilità ad agire, ad
esempio, quale “uomo d’onore”.
In motivazione la Suprema Corte ha, infatti, precisato che la qualità di
“uomo d’onore” non è significativa di una adesione morale meramente
passiva ed improduttiva di effetti al sodalizio mafioso, ma presuppone la
permanente ed incondizionata offerta di contributo, anche materiale, in

13

non tanto negli scopi (pure essenziali per l’esistenza del reato) avuti di

favore di esso, con messa a disposizione di ogni energia e risorsa
personale per qualsiasi impiego criminale richiesto; l’obbligo così
assunto rafforza il proposito criminoso degli altri associati ed accresce le
potenzialità operative e la complessiva capacità di intimidazione ed
infiltrazione nel tessuto sociale del sodalizio. (cfr. Cass., sez. II,

Tale arresto, peraltro, non rappresenta una voce isolata, ma si pone,
piuttosto, in assoluta continuità con una serie di precedenti statuizioni,
in cui, partendo dalla tradizionale nozione della partecipazione
all’associazione a delinquere come condotta a forma libera, nel senso
che qualunque azione, purché dotata di efficacia causale rispetto
all’evento tipico, è costitutiva della materialità del fatto (cfr. Cass., sez.
I, 27.1.1986, Scala), si sottolinea come la partecipazione ad un sodalizio
criminoso di stampo mafioso possa configurarsi attraverso una
molteplicità di contributi, che, al tempo stesso, costituiscono, sul piano
probatorio, altrettanti indici rivelatori dell’esistenza del vincolo
associativo, tutti contrassegnati proprio dalla intervenuta “messa a
disposizione” del singolo a favore dell’associazione a delinquere.
Si è, così, affermato che la condotta di partecipazione ad un’associazione
per delinquere, per essere punibile, non può esaurirsi in una
manifestazione positiva di volontà del singolo di aderire alla associazione
che si sia già formata, occorrendo invece la prestazione, da parte dello
stesso, di un effettivo contributo, che può essere anche minimo e di
qualsiasi forma e contenuto, purché destinato a fornire efficacia al
mantenimento in vita della struttura o al perseguimento degli scopi di
essa. Nel caso dell’associazione di tipo mafioso, differenziandosi questa
dalla comune associazione per delinquere per la sua peculiare forza di
intimidazione, derivante dai metodi usati e dalla capacità di
sopraffazione, a sua volta scaturente dal legame che unisce gli associati
(ai quali si richiede di prestare, quando necessario, concreta attività
diretta a piegare la volontà dei terzi che vengano a trovarsi in contatto
con l’associazione e che ad essa eventualmente resistano), il detto
contributo può essere costituito anche dalla dichiarata adesione

14

3.5.2012, n. 23687, D’Ambrogio e altri, rv. 253222)

all’associazione da parte del singolo, il quale presti la sua disponibilità
ad agire come “uomo d’onore”, ai fini anzidetti (cfr. Cass., sez. II,
21.12.2004, n. 2350, Papalia ed altri, rv. 230718).
In tema di associazione di stampo mafioso, dunque, la permanente
“disponibilità” al servizio dell’organizzazione mafiosa a porre in essere

attività delittuose, anche se di bassa manovalanza, ma pur sempre
necessarie per il perseguimento dei fini dell’organizzazione,
indipendentemente dalla prova di una formale iniziazione, rappresenta
univoco sintomo di inserimento strutturale nella compagine associativa
sedali-e, quindi, di vera e propria partecipazione, ad un livello pur
minimale, al sodalizio delinquenziale, mentre la “legalizzazione” con la
qualifica di “uomo d’onore” costituisce uno stadio più evoluto nella
progressione carrieristica del mafioso nell’organigramma piramidale del
sodalizio (cfr. Cass., sez. V, 21.11.2003, n. 6101, Bruno e altro, rv.
228058)
Ciò appare assolutamente conforme ai principi affermati in materia dalla
nota sentenza “Mannino” delle sezioni unite del Supremo Collegio, che,
evidenziando la natura “dinamica” del contributo che il singolo sodale
deve apportare alla compagine associativa perché esso possa essere
definito in termini di “partecipazione” ai sensi dell’art. 416 bis, c.p., ne
individua l’essenza proprio nella “messa a disposizione” del singolo in
favore del sodalizio per il perseguimento dei comuni fini criminosi.
Rileva, infatti, il Supremo Collegio nella sua massima espressione che in
tema di associazione di tipo mafioso, la condotta di partecipazione è
riferibile a colui che si trovi in rapporto di stabile e organica
compenetrazione con il tessuto organizzativo del sodalizio, tale da
implicare, più che uno “status” di appartenenza, un ruolo dinamico e
funzionale, in esplicazione del quale l’interessato “prende parte” al
fenomeno associativo, rimanendo a disposizione dell’ente per il
perseguimento dei comuni fini criminosi.
Precisa, inoltre, la Corte, nel corpo della motivazione, che la
partecipazione può essere desunta da indicatori fattuali dai quali, sulla
base di attendibili regole di esperienza attinenti propriamente al

15

A

fenomeno della criminalità di stampo mafioso, possa logicamente
inferirsi la appartenenza nel senso indicato, purché si tratti di indizi gravi
e precisi – tra i quali, esemplificando, i comportamenti tenuti nelle
pregresse fasi di “osservazione” e “prova”, l’affiliazione rituale,
l’investitura della qualifica di “uomo d’onore”, la commissione di delitti-

senza alcun automatismo probatorio a dare la sicura dimostrazione della
costante permanenza del vincolo (cfr. Cass., sez. un., 12.7.2005, n.
33748, Mannino, rv. 231670, nonché, nello stesso senso, Cass., sez. I,
11.12.2007, n. 1470, p.g. in proc. Addante e altri, rv. 238839).
7. Sulla base delle svolte considerazioni il ricorso proposto nell’interesse
dello Spagnolo va, dunque, rigettato, con condanna di quest’ultimo, ai
sensi dell’art. 616, c.p.p., al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processual i.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, co. 1 ter,
disp. att., c.p.p.
Così deciso in Roma il 5.6.2013

scopo, oltre a molteplici, e però significativi “facta concludentia” -, idonei

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA