Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 49789 del 25/06/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 49789 Anno 2013
Presidente: MARASCA GENNARO
Relatore: GUARDIANO ALFREDO

Data Udienza: 25/06/2013

SENTENZA

sui ricorsi proposti da
Cinquepalmi Lucia, nata a Campi Salentina il 20.11.1968, e da Mazzotta
Raffaele, nato a Trepuzzi il 5.8.1963, avverso la sentenza pronunciata
dalla corte di appello di Lecce 1’8.6.2012;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed i ricorsi;
udita la relazione svolta dal consigliere dott. Alfredo Guardiano;
udito il pubblico ministero nella persona del sostituto procuratore
generale dott. Antonio Mura, che ha concluso per il rigetto dei ricorsi;
uditi per i ricorrenti i difensori di fiducia, avv. Antonio Savoia ed avv.
Stefano Prontera, i quali hanno concluso, chiedendo raccoglimento dei
rispettivi ricorsi.

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FATTO E DIRITTO
1. Con sentenza pronunciata 1’8.6.2012 la corte di appello di Lecce
confermava la sentenza con cui il tribunale di Lecce, in data 24.3.2010
aveva condannato alle pene ritenute di giustizia Cinquepalmi Lucia e

amministratore di diritto, il secondo nella qualità di socio di fatto ed
amministratore di fatto, della società “Comar s.a.s.”, dichiarata fallita
dal tribunale di Lecce in data 11.4.2005, per i reati di omesso deposito
dei bilanci e delle scritture contabili della società nei termini di legge;
bancarotta fraudolenta documentale e bancarotta fraudolenta
patrimoniale per distrazione, compiutamente descritti nei capi A); B) e
C) dell’imputazione.
2. Avverso tale sentenza, di cui chiedono l’annullamento, hanno
proposto autonomi ricorsi per Cassazione entrambi gli imputati, a mezzo
dei loro rispettivi difensori di fiducia, articolando distinti motivi di
impugnazione.
3. La Cinquepalmi deduce, in particolare, due motivi di impugnazione.
3.1 Con il primo la ricorrente lamenta la mancanza di motivazione della
sentenza impugnata, che non può essere sanata attraverso il mero
richiamo al contenuto della sentenza di primo grado, in ordine ad una
serie di questioni che avevano formato oggetto dei motivi di appello,
riguardanti: 1) l’insussistenza del delitto di bancarotta fraudolenta
documentale di cui al capo B), in quanto, da un lato le irregolarità di cui
si discute attengono a documenti estranei alla previsione dell’art. 2214,
c.c., non rientranti, pertanto, nella locuzione “libri o altre scritture
contabili”, contenuta nella norma penale, dall’altro difetta la prova che le
suddette irregolarità siano state compiute con lo scopo di non rendere
possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari
della società, dovendosi ricondurre tale fatto, a tutto voler concedere,
“nell’area della bancarotta documentale semplice”; 2) l’insussistenza,
per difetto di prova, del delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale di
cui al capo C).

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Mazzotta Raffaele, nelle qualità, la prima, di socio accomandatario ed

3.2 Con il secondo motivo di impugnazione la ricorrente lamenta
violazione di legge e mancanza di motivazione con riferimento alla
questione, dedotta nei motivi di appello, riguardante la sussistenza di un
concorso apparente di norme tra la fattispecie di bancarotta fraudolenta
documentale, di cui al capo B) e quella di omesso deposito dei bilanci, di

l’imputata, non operando, tuttavia, come avrebbe dovuto, un raffronto
tra la previsione dell’art. 16, co. 1, n. 3, I. fall., e quella dell’art. 216, co.
2, I. fall., limitandosi ad affermare l’esistenza di un concorso di reati tra
la fattispecie di cui al capo A) e quella, del tutto estranea
all’imputazione, prevista dall’art. 217, co. 2, I. fall., confermando, in tal
modo, implicitamente, l’esclusione dell’ipotesi più grave di bancarotta
documentale e “la sussistenza della sola bancarotta documentale
semplice, pur concorrente, questa, con la fattispecie dell’art. 16, comma
1 n. 3 L.F.”.
Evidenzia, peraltro, la ricorrente l’errore di diritto in cui è comunque
incorsa la corte territoriale nel configurare il concorso tra i reati di cui
agli artt. 16, co. 1, n. 3, I. fall. e 217, co. 1, n. 2, I. fall., in quanto tra le
suddette previsioni va ravvisato, piuttosto, un concorso apparente di
norme.
4. Il Mazzotta deduce quattro motivi di ricorso.
4.1 Con il primo e con il secondo motivo il ricorrente reitera le medesime
doglianze esposte dalla coimputata Cinquepalmi, alle quali, pertanto, si
rinvia.
4.2 Con il terzo motivo di impugnazione il ricorrente lamenta il vizio di
violazione di legge in relazione all’art. 2639, c.c., e, quindi, degli artt.
223, 216 e 217, I. fall., per avere la corte territoriale attribuito al
Mazzotta il ruolo di amministratore di fatto della società dichiarata
fallita, pur in difetto del requisito dell’esercizio dei poteri tipici di
gestione in maniera significativa e continuativa da parte dell’imputato,
che negli otto anni di svolgimento dell’attività imprenditoriale, si è
limitato a stipulare per conto della “Comar” solo due contratti di appalto,
non potendosi, peraltro, desumere tale ruolo da parametri, come “il

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cui al capo A), che la corte territoriale risolveva in senso negativo per

rapporto di coniugio” o la “comunanza di scopo” con la Cinquepalmi, del
tutto estranei all’esercizio dei poteri gestori.
4.3 Con il quarto motivo di ricorso l’imputato lamenta violazione di legge
e vizio di motivazione dell’impugnata sentenza, nella parte in cui la corte
territoriale ha omesso di fornire adeguata risposta alla richiesta difensiva

considerazione della pendenza del giudizio civile avente ad oggetto la
decisione con cui la dichiarazione di fallimento della Cinquepalmi veniva
estesa al Mazzotta, questione che, secondo il ricorrente, appare
caratterizzata dal parametro della complessità, richiesto dalla
menzionata disposizione normativa, e da quello della serietà, richiamato
dalla stessa corte territoriale, proprio perché l’estensione del fallimento
alla persona del Mazzotta si fonda sull’erroneo presupposto dello
svolgimento da parte di quest’ultimo dei compiti tipici
dell’amministratore di fatto.
5. Entrambi i ricorsi vanno rigettati.
6. In via preliminare va, innanzitutto, rilevato che nell’esaminare i motivi
di ricorso si procederà ad una lettura integrata delle sentenze di primo e
di secondo grado, da considerare un prodotto unico, in quanto la
decisione della corte territoriale e quella del tribunale hanno utilizzato
criteri omogenei di valutazione e seguito un apparato logico
argomentativo uniforme (cfr. Cass., sez. 3, 1.2.2002-12.3.2002, n.
10163, Lombardozzi D., rv. 221116).
7. Con particolare riferimento ai motivi di impugnazione di cui ai
paragrafi 3.1 e 4.1, riguardanti la contestata sussistenza degli elementi
costitutivi dei delitti di bancarotta fraudolenta patrimoniale e
documentale, ne va sancita l’inammissibilità, non avendo i ricorrenti
provveduto alla integrale trascrizione (ovvero alla relativa allegazione)
dei motivi di appello di cui si lamenta la mancata considerazione da
parte del giudice di secondo grado.
Come è noto, infatti, in tema di ricorso per Cassazione, è onere del
ricorrente, che lamenti l’omessa o travisata valutazione di specifici atti
processuali, provvedere alla trascrizione in ricorso dell’integrale

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di sospensione del processo, ai sensi dell’art. 479, c.p.p., formulata in

contenuto degli atti medesimi, nei limiti di quanto già dedotto, perché di
essi è precluso al giudice di legittimità l’esame diretto, a meno che il
“fumus” del vizio non emerga all’evidenza dalla stessa articolazione del
ricorso (cfr., ex plurimis, Cass., sez. I, 22/01/2009, n. 6112, B., rv.
243225; Cass., sez. IV, 26/06/2008, n. 37982, B., rv. 241023).

immune da vizi logici, hanno fornito adeguata risposta alle censure
prospettate dagli imputati nei menzionati motivi di ricorso.
7.2 Ed invero, quanto all’ipotesi di bancarotta fraudolenta documentale,
essi hanno evidenziato che le scritture contabili erano state tenute in
modo da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio ovvero del
movimento degli affari della società dichiarata fallita, “atteso che da un
lato non furono annotate in contabilità operazioni della cui effettiva
esistenza solo aliunde si è avuta prova, dall’altro, al contrario le
annotazioni contabili non trovarono corrispondenza nei beni
materialmente presenti in società (cfr. pp. 6-9 della sentenza di primo
grado), conformemente al consolidato orientamento della giurisprudenza
di legittimità, secondo cui il delitto in questione è configurabile non solo
quando la ricostruzione del patrimonio sia impossibile per il modo con
cui le scritture contabili sono state tenute, ma anche quando, come nel
caso in esame, gli organi fallimentari abbiano incontrato una notevole
difficoltà nella ricostruzione del patrimonio e del giro di affari della
società fallita, superabile solo mediante l’acquisizione di elementi al di
fuori delle annotazioni contenute nei libri e nelle altre scritture contabili,
circostanza di per sé indicativa della inidoneità di queste ultime a
rappresentare la ricostruzione del patrimonio e del movimento di affari
della società (cfr. Cass., sez. V, 19.4.2010, n. 21588, S.; Cass., sez. V,
15.11.1999, n. 5503, D.; Cass., sez. V, 10.2.2009, n. 9736, C.)
7.3 Con riferimento alla fattispecie di bancarotta fraudolenta
patrimoniale per distrazione, sottolineano i giudici di merito che non
sono stati rinvenuti nel patrimonio sociale beni e somme di denaro per
un valore complessivo di euro 465.188,88, in parte distratti in favore di
creditori specificamente individuati e degli stessi imputati (cfr. pp. 9-11

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7.1 I giudici di merito, peraltro, con motivazione approfondita ed

della sentenza di primo grado), facendo proprio il prevalente e
condivisibile orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo
cui il mancato rinvenimento, all’atto della dichiarazione di fallimento, di
beni e di valori societari, a disposizione dell’amministratore, costituisce,
qualora, come nel caso in esame, non sia da questi giustificato, valida

fine di affermare la responsabilità dell’imputato (cfr., ex plurimis, Cass.,
sez. V. 15.12.2004, n. 3400, S., rv. 231411).
8. In relazione ai motivi di ricorso di cui ai paragrafi 3.2 e 4.1,
riguardanti la fattispecie contestata sub A), ne va rilevata l’infondatezza.
8.1 Ha osserva, al riguardo, la corte territoriale che, una volta
intervenuta la sentenza dichiarativa di fallimento, il fallito come subisce
le conseguenze della mancata tenuta dei libri e delle altre scritture
contabili, così subisce la conseguenza del mancato deposito del bilancio,
non potendo assurgere a fattore esimente la perpetrazione di un
precedente illecito, per cui l’omessa tenuta dei libri contabili prescritti
dalla legge non può valere come causa impeditiva della formazione del
bilancio e del deposito delle scritture di cui all’art. 16 della legge
fallimentare, così come l’omesso deposito del bilancio e delle altre
scritture contabili obbligatorie non può nemmeno considerarsi
continuazione della condotta antigiuridica del reato di bancarotta
documentale semplice, dovendo essere punita come reato autonomo
(cfr. pp. 5-6 della sentenza di secondo grado).
Tale percorso argomentativo richiama, invero, un risalente orientamento
giurisprudenziale del Supremo Collegio, secondo cui i reati previsti dagli
art. 217 n. 2 e 220, in relazione all’art. 16 n. 3 r.d. 16 marzo 1942 n.
267, possono concorrere tra loro e con i reati di bancarotta fraudolenta
patrimoniale e documentale, previsti dallo stesso decreto, in quanto tali
reati hanno elementi costitutivi distinti e separati e tutelano ciascuno un
autonomo interesse, non sussistendo sul punto un divieto normativo
(cfr. Cass., sez. V, 25/02/1977, Marzollo; Cass., sez. V, 19.12.1972, n.
17557, Mansoni, rv. 123402).

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presunzione della loro dolosa distrazione, probatoriamente rilevante al

Tale orientamento risulta superato, per il profilo che interessa in questa
sede, da un diverso ed ormai consolidato filone giurisprudenziale,
secondo cui la previsione ex art. 217 I. fall., che punisce l’omessa tenuta
dei libri e delle scritture contabili, ricomprende in sé – come norma di più
ampia portata la cui sanzione, più grave, esaurisce l’intero disvalore

di cui agli art. 220 e 16, n. 3 della medesima legge, e ciò in quanto, una
volta accertata la mancata tenuta delle scritture, risulta inesigibile
l’obbligo, da queste ultime norme penalmente sanzionato, di consegna
delle stesse al curatore fallimentare (cfr. Cass., sez. V, 17/02/2011, n.
13550, D. F., rv. 250211; Cass., sez. V, 05/12/2005, n. 5504, rv.
233756).
Del pari l’inosservanza dell’obbligo di deposito delle scritture contabili è
stata ritenuta assorbita dalla fattispecie di bancarotta fraudolenta
documentale, commessa mediante sottrazione del compendio contabile,
da altra decisione della Suprema Corte, in cui si è sottolineato come
risulti del tutto omogenea la struttura e l’interesse sotteso ad entrambe
le figure di reato, ma più specifica, in ragione dell’elemento soggettivo,
la seconda (cfr. Cass., sez. V, 02/12/2010, n. 4550, F. rv. 249261).
Ciò, tuttavia, non comporta l’accoglimento dei rilievi difensivi sul punto,
in quanto, ferma restando la dimostrata sussistenza del delitto di
bancarotta fraudolenta documentale nei termini in precedenza indicati,
l’obbligo di deposito delle scritture contabili, se può considerarsi
inesigibile nei casi in cui la bancarotta, semplice o patrimoniale, si sia
concretizzata nella omessa tenuta ovvero nella distruzione o nella
sottrazione delle scritture contabili, non può definirsi tale nel caso, come
quello in esame, in cui queste ultime siano state invece tenute, ma in
modo tale da non consentire la ricostruzione del patrimonio o del
movimento degli affari della società fallita.
In tale evenienza, infatti, la messa a disposizione nei termini di legge
delle scritture contabili agevola, comunque, l’attività degli organi del
fallimento, che sulla base della documentazione ad essi consegnata
saranno in grado di formulare una tempestiva e compiuta valutazione

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oggettivo e soggettivo delle condotte di riferimento – anche la previsione

sulla situazione attiva e passiva dell’impresa, nonché sulle eventuali
responsabilità nella sua gestione da parte di chi in essa svolgeva i
compiti di amministratore.
Può, dunque, affermarsi, il seguente principio di diritto: il reato di
inosservanza dell’obbligo di deposito delle scritture contabili previsto

quelli di bancarotta semplice documentale, di cui all’art. 217, co, 2, I.
fall., e di bancarotta fraudolenta documentale, di cui all’art. 216, co. 1,
n. 2), I. fall., tutte le volte in cui la condotta di bancarotta non consista
nella sottrazione, nella distruzione ovvero nella mancata tenuta delle
scritture contabili, ma nella tenuta irregolare o incompleta delle stesse
ovvero in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio
o del movimento degli affari.
9. Infondata appare la censura di cui al paragrafo 4.2 del ricorso
Mazzotta.
9.1 Consolidato, all’interno della giurisprudenza di legittimità, risulta
l’orientamento secondo cui la nozione di amministratore di fatto,
introdotta dall’art. 2639 c.c., postula l’esercizio in modo continuativo e
significativo dei poteri tipici inerenti alla qualifica od alla funzione, anche
se “significatività” e “continuità” non comportano necessariamente
l’esercizio di “tutti” i poteri propri dell’organo di gestione, ma richiedono
l’esercizio di un’apprezzabile attività gestoria, svolta in modo non
episodico od occasionale.
La posizione dell’amministratore di fatto, destinatario delle norme
incriminatrici della bancarotta fraudolenta, dunque, va determinata con
riferimento alle disposizioni civilistiche che, regolando l’attribuzione della
qualifica di imprenditore e di amministratore di diritto, costituiscono la
parte precettiva di norme che sono sanzionate dalla legge penale. La
disciplina sostanziale si traduce, in via processuale, nell’accertamento di
elementi sintomatici di gestione o cogestione della società, risultanti
dall’organico inserimento del soggetto, quale “intraneus” che svolge
funzioni gerarchiche e direttive, in qualsiasi momento dell'”iter” di
organizzazione, produzione e commercializzazione dei beni e servizi –

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dagli articoli 220 e 16 n. 3, r.d. 16 marzo 1942 n. 267, concorre con

rapporti di lavoro con i dipendenti, rapporti materiali e negoziali con i
finanziatori, fornitori e clienti – in qualsiasi branca aziendale, produttiva,
amministrativa, contrattuale, disciplinare.
Orbene anche in questo caso i giudici di merito si sono mossi nel
percorso tracciato da tempo dalla giurisprudenza di legittimità,

continuativo nella gestione della società, provvedendo: 1) a stipulare i
contratti che impegnavano la “Comar s.a.s.” in qualità di legale
rappresentante della società; 2) a ricevere pagamenti in nome e per
conto della società fallita; 3) a fare intestare a suo nome assegni di
pagamento emessi in favore della “Comar s.a.s.”; 4) a trattenere
personalmente rapporti commerciali con i committenti (cfr. pp. 4-5 della
sentenza di primo grado; p. 7 della sentenza della corte di appello).
Appare, dunque, evidente, come affermato dalla corte territoriale, che,
contrariamente a quanto preteso dalla difesa, il Mazzotta ha partecipato,
a fianco dell’amministratore “di diritto” Cinquepalmi, a scelte
fondamentali per la vita della società, qualificandosi, talvolta, come il
legale responsabile della società stessa, con ciò svolgendo un palese
ruolo di cogestione della società fallita.
Peraltro l’accertamento degli elementi sintomatici di tale gestione o
cogestione societaria costituisce oggetto di apprezzamento di fatto che è
insindacabile in sede di legittimità, se sostenuto, come nel caso in
esame, da motivazione congrua e logica (cfr. Cass., sez. V, 14.4.2003,
n. 22413, Sidoli, rv. 224948; Cass., sez. I, 12.5.2006, n. 18464,
Ponciroli, rv. 234254).
10 Anche l’ultimo dei motivi di ricorso del Mazzotta deve ritenersi
infondato.
10.1 Come riconosciuto dalla Corte di Cassazione nella sua espressione
più autorevole, in tema di reati di bancarotta, il giudice penale può
disporre la sospensione del dibattimento a norma dell’art. 479 c.p.p.
qualora sia in corso il procedimento civile per l’accertamento dello
“status” di fallito (cfr. Cass., sez. un., 28/02/2008, n. 19601, N., rv
239399).

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(L

evidenziando come l’imputato abbia svolto un ruolo centrale e

Si tratta, come chiarito dalla stessa Suprema Corte, dell’esercizio di un
potere discrezionale, che presuppone, in aderenza alla previsione
dell’art. 479, la particolare complessità ovvero la serietà della questione
sollevata, nel giudizio instaurato in sede civile o amministrativa (cfr.
Cass., sez. V, 16/12/2011, n. 8607, T., rv. 251950), che la corte

sulla contestata qualità di amministratore di fatto del Mazzotta, che i
giudici di merito hanno ritenuto invece configurabile proprio alla luce
della nozione di amministratore di fatto introdotta dall’art. 2639, c.c.,
come interpretata dalla costante giurisprudenza di legittimità.
11. Sulla base delle svolte considerazioni i ricorsi di cui in premessa
vanno, dunque, rigettati, con condanna di ciascuno dei ricorrenti, ai
sensi dell’art. 616, c.p.p., al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
rigetta i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese
processual i
Così deciso in Roma il 25.6.2013

territoriale correttamente ha ritenuto insussistente, in quanto fondata

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