Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 49788 del 05/06/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 49788 Anno 2013
Presidente: MARASCA GENNARO
Relatore: GUARDIANO ALFREDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Colombo Giorgio, nato a Lodi il 10.3.1967, avverso la sentenza
pronunciata dalla corte di appello di Milano il 5.7.2012;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere dott. Alfredo Guardiano;
udito il pubblico ministero nella persona del sostituto procuratore
generale dott. Gioacchino Izzo, che ha concluso per l’inammissibilità del
ricorso;
udito per il ricorrente l’avv. Cinthia De Conciliis, del Foro di Roma, in
qualità di sostituto processuale del difensore di fiducia, avv. Alessandra
Silvestri, del Foro di Milano, che ha concluso per l’accoglimento del
ricorso.

Data Udienza: 05/06/2013

FATTO E DIRITTO
1. Con sentenza del 5.7.2012 la corte di appello di Milano, in parziale
riforma della sentenza con cui il tribunale di Milano in composizione
monocratica, in data 6.11.2008, aveva condannato Colombo Giorgio alla

110 del 1975, rideterminava, previo riconoscimento in favore
dell’imputato del vizio parziale di mente, il trattamento sanzionatorio in
relazione al reato di cui all’art. 496, c.p., nella misura di mesi tre di
reclusione, mentre dichiarava non doversi procedere nei confronti del
Colombo, in ordine alla contravvenzione, per essere il reato in questione
estinto per sopravvenuta prescrizione.
2. Avverso la decisione della corte territoriale ha proposto impugnazione,
chiedendone l’annullamento, l’imputato, articolando un unico motivo di
ricorso, con il quale egli deduce il vizio di cui all’art. 606, co. 1, lett. b),
c.p.p., in relazione all’art. 49, c.p.
3. In particolare, ad avviso del ricorrente, nel caso in esame si vede in
una ipotesi di reato impossibile: la condotta del Colombo, infatti, che,
sottoposto a controllo da parte di agenti della polizia di Stato, in assenza
di documenti di identità, dichiarava di chiamarsi Renella, deve ritenersi
del tutto inidonea a ledere il bene giuridico tutelato dall’art. 496, c.p., in
quanto, all’epoca dei fatti, l’imputato era noto alle autorità di polizia,
che, quindi, non vennero tratte in inganno dalle sue dichiarazioni
relative alle generalità, assimilabili, in definitiva, nella prospettiva del
ricorrente, ad un “falso grossolano”.
4. Il ricorso va dichiarato inammissibile per manifesta infondatezza dei
motivi su cui si fonda.
5.

Come affermato da tempo dalla giurisprudenza di legittimità,

condivisa dal Collegio, infatti, la figura del reato impossibile non trova
applicazione nel reato di false dichiarazioni a pubblico ufficiale sulla
propria identità o sulle proprie qualità personali (cfr. Cass., sez. IV,
12/12/1988, Messora, rv. 181075; Cass., sez. V, 18.1.1972, Caprio), in
quanto la lesione del bene della fede pubblica si realizza per il solo fatto

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pena ritenuta di giustizia per i reati di cui agli artt. 496, c.p., e 4, I. n.

di aver dichiarato il falso in ordine alla propria identità o qualità
personali, indipendentemente dalla circostanza che il pubblico ufficiale
cui le dichiarazioni vengono rese sia o meno consapevole della falsità
delle dichiarazioni medesime.
6. Nel caso in esame, peraltro, contrariamente a quanto affermato dal

sentenza impugnata, non è affatto vero che gli agenti conoscessero le
vere generalità dell’imputato, tanto che, a tal fine, fu “necessario
accompagnare il Colombo dapprima a casa, alla ricerca dei documenti,
indi in Questura per effettuare gli accertamenti dattiloscopici, al fine di
accertarne l’effettiva identità” (cfr. p. 4).
7. Sulla base delle svolte considerazioni il ricorso proposto nell’interesse
del Colombo va, dunque, dichiarato inammissibile, con condanna del
ricorrente, ai sensi dell’art. 616, c.p.p., al pagamento delle spese del
procedimento e della somma di euro 1000,00 a favore della cassa delle
ammende, tenuto conto della circostanza che l’evidente inammissibilità
del ricorso non consente di ritenere il difensore del ricorrente medesimo
immune da colpa nella determinazione delle evidenziate ragioni di
inammissibilità (cfr. Corte Costituzionale, n. 186 del 13.6.2000).
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento
delle spese processuali e della somma di euro 1000,00 in favore della
cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 5.6.2013

ricorrente in punto di fatto, come si evince dalla motivazione della

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