Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 49785 del 21/03/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 49785 Anno 2013
Presidente: FERRUA GIULIANA
Relatore: MICHELI PAOLO

SENTENZA

sul ricorso proposto nell’interesse di
Speziale Dino Vito, nato a Taranto il 01/05/1967

avverso la sentenza emessa il 31/01/2012 dalla Corte di appello di Lecce,
sezione distaccata di Taranto

visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Paolo Micheli;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott.
Alfredo Montagna, che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del
ricorso;
udito per la parte civile l’Avv. Michele Rossetti, che ha concluso chiedendo
dichiararsi l’inammissibilità, ovvero il rigetto, del ricorso;
udito per l’imputato ricorrente l’Avv. Pietro Putignano, che ha concluso chiedendo
l’accoglimento del ricorso, e l’annullamento della sentenza impugnata

RITENUTO IN FATTO

Data Udienza: 21/03/2013

1. Il difensore di Dino Vito Speziale ricorre avverso la sentenza emessa il
31/01/2012 dalla Corte di appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto,
recante la conferma della condanna dell’imputato – pronunciata il 02/11/2009
dal Tribunale di Taranto – alla pena di mesi 6 di reclusione ed € 300,00 di multa
per il delitto di furto aggravato, in ipotesi commesso in danno della Heineken
Italia s.p.a., costituitasi parte civile.
I fatti riguardano la sottrazione di un computer portatile, che il detentore

presso l’azienda appena ricordata, ed il cui contenuto era stato appunto riversato
in quel notebook

aveva riposto nel cassetto di uno degli uffici della sede della

ditta: i giudici di merito avevano ritenuto che dell’episodio dovesse rispondere lo
Speziale, addetto al medesimo ufficio tecnico presso la Heineken Italia, in base a
plurimi elementi indiziari. In sintesi, tali elementi derivavano dalle seguenti
circostanze:

lo Speziale, fra i soggetti che prestavano opera nell’ambito di quell’ufficio
tecnico, era stato l’ultimo a raggiungere i colleghi per la pausa pranzo nel
giorno in cui si era verificato il furto, trattenendosi così da solo nella
stanza (come risultante dai timbri di uscita del personale);

il personal computer era stato l’unico bene sottratto, così rivelando che
l’autore del furto aveva specifico interesse ad impossessarsene,
verosimilmente in ragione del fatto che vi erano contenuti progetti
industriali coperti da segreto, su cui anche lo Speziale aveva lavorato;

nel

computer appartenente all’imputato, all’esito di una successiva

perquisizione, erano stati appunto trovati

files

relativi al progetto

“Continuous”, cui erano dedicati alcuni documenti nel

pc in uso al

Maccagnan: ciò in contrasto con i doveri aziendali;
il giorno del furto, lo Speziale era uscito dallo stabilimento portando al
seguito una borsa a tracolla nera al cui interno avrebbe potuto essere
riposto il notebook compendio del furto, e dopo l’anzidetta perquisizione
egli aveva dedotto di essere spesso uscito dalla portineria con pacchi
contenenti generi alimentari (mozzarelle di bufala) che gli venivano colà
forniti, ma tale versione difensiva era stata poi smentita
dall’autotrasportatore che egli stesso aveva indicato a riscontro.

2. Il ricorrente deduce violazione dell’art. 192 cod. proc. pen., nonché
carenza di motivazione, non essendo stati in alcun modo esaminati alcuni degli
specifici motivi di impugnazione sviluppati nell’atto di appello. In particolare, la
difesa aveva evidenziato come, nel corso del dibattimento di primo grado, fosse

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Giovanni Maccagnan – responsabile di un progetto in corso di elaborazione

stata disattesa la rilevanza del primo profilo indiziario a carico dello Speziale: era
infatti emerso che egli era sì uscito dagli uffici alle 12:51 dell’11/02/2005, ma
non era stato l’ultimo perché dopo di lui aveva timbrato il marcatempo il collega
Giovanni Donia (alle 13:06), ergo lo Speziale non si era trovato da solo in quella
stanza per sei minuti, successivamente all’uscita degli altri dipendenti alle 12:45,
avendovi al contrario lasciato – questi sì da solo, e per un tempo più lungo – il
Donia.
Inoltre, la Corte territoriale non avrebbe affatto considerato che tra il

(venerdì 11/02/2005, intorno a mezzogiorno) e quello della scoperta del furto (il
lunedì successivo, nel primo pomeriggio) erano trascorse molte ore, con la
possibilità di moltissime persone – ivi compresi gli addetti alle pulizie – di
accedere senza controllo a quella stanza; né poteva assumere rilievo la
circostanza che non fosse stato rubato altro, atteso che quello era l’unico bene di
valore appetibile per un qualunque malintenzionato.
Ancora, a fronte del possesso di una borsa a tracolla da parte dello Speziale,
risulta che moltissimi dei dipendenti della Heineken Italia s.p.a. uscirono dallo
stabilimento – in base alle fotografie acquisite agli atti – portando al seguito
borse, pacchi o buste; sarebbe poi stato travisato l’intento dell’imputato nel
rappresentare la più o meno consolidata frequenza di farsi recapitare mozzarelle,
perché in tal modo egli non aveva comunque inteso dare una giustificazione
dell’uso di una tracolla, avendo anzi spiegato che quei generi alimentari venivano
sistemati in un pacco.
Quanto poi alla ipotesi che lo Speziale fosse particolarmente interessato al
contenuto del

computer

del Maccagnan, la difesa argomenta l’illogicità

dell’ipotesi stessa che egli si sia impossessato dell’intero apparecchio, visto che
gli sarebbe stato assai più agevole trasferire i files avuti di mira su una chiavetta
od altro supporto (tenendo conto che a quel notebook era consentito a tutti
accedere).
Infine, il ricorrente deduce violazione dell’art. 603 del codice di rito, non
avendo la Corte territoriale disposto l’acquisizione dei supporti video da cui erano
state ricavate le fotografie esibite nel corso del giudizio di merito: fra l’altro, la
mancata acquisizione in argomento avrebbe impedito di verificare l’ora di uscita
dallo stabilimento del suddetto Donia.

CONSIDERATO IN DIRITTO

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momento in cui il pc venne riposto nel cassetto della scrivania del Maccagnan

Il ricorso non può trovare accoglimento, e va rigettato agli effetti civili: deve
al contempo prendersi atto della sopravvenuta prescrizione del reato addebitato
all’imputato (maturata 1’11/08/2012, in data posteriore alla sentenza di appello).
In vero, non può condividersi l’assunto del P.g., secondo il quale il ricorrente
si limiterebbe a suggerire una lettura delle risultanze istruttorie alternativa a
quella fatta propria dei giudici di merito: tra le doglianze esposte, l’omesso
esame della possibilità che fu il Donia, piuttosto che lo Speziale, ad allontanarsi
per ultimo dalla stanza dove si trovava il computer sottratto potrebbe infatti

impugnata, che fonda la declaratoria di responsabilità penale dell’imputato
(anche e soprattutto) su quella circostanza. Si tratta però di una doglianza da
disattendere, giacché se può agevolmente rilevarsi che sulla presenza o meno
del Donia fino alle 13:06 non si soffermano né il Tribunale né la Corte di appello,
è nel corpo stesso del ricorso che viene segnalato come lo stesso Donia fosse
stato «l’ultimo dipendente Heineken a lasciare gli uffici prossimi alla stanza ove
vi era il notebook».
“Uffici prossimi alla stanza” sta obiettivamente a indicare che il detto
impiegato non lavorava lì dove il computer era stato riposto, né sembra potersi
affermare (non lo sostiene neppure il difensore del prevenuto) che egli facesse
parte dello stesso gruppo di lavoro nel quale operavano il Maccagnan e lo
Speziale: tant’è che, come riportato nella sentenza impugnata nel richiamare i
contributi testimoniali del Maccagnan e di Luca Giordano, il primo aveva riferito
che la scrivania dalla quale il notebook era scomparso si trovava «all’interno di
una stanza che allora divideva con altre persone, alla quale avevano accesso
anche altre persone, tra cui l’imputato», ed il secondo che lo Speziale era stato sì
«l’ultimo ad arrivare in mensa», ma «di quel gruppo di persone». Dalla
successiva precisazione che il Donia si era allontanato quindici minuti dopo
l’imputato non è immediatamente ricavabile la conclusione che la difesa intende
trarne, non essendo in alcun modo provato che il Donia facesse appunto parte di
quel gruppo (anzi, dovendosi ragionevolmente escludere tale possibilità, visto
che in caso contrario il Giordano non avrebbe avuto la necessità di fornire la
precisazione sopra rilevata).
Le ulteriori censure del ricorrente appaiono manifestamente infondate e queste sì – esclusivamente afferenti il merito, non riuscendo peraltro la difesa a
superare il dato logico che vuole la tesi dei generi alimentari normalmente
ricevuti dall’imputato (a giustificazione dell’uso di una borsa a tracolla),
grossolanamente costruita ad hoc:

come spiegato nella motivazione della

sentenza impugnata, lo Speziale ne scrisse per la prima volta al P.M. procedente
in una lettera del 22 marzo 2005, quando il fatto era accaduto a febbraio, ma il

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intendersi decisivo sulla stessa tenuta logica della motivazione della sentenza

teste che in ipotesi avrebbe dovuto confermare la circostanza di quelle forniture
più o meno frequenti dichiarò a dibattimento di averlo fatto una sola volta,
intorno al 19 marzo di quell’anno.
Analogamente relativa a questioni di merito è la considerazione che lo
Speziale non avrebbe avuto bisogno di impossessarsi del computer, potendo
copiare i documenti di interesse su una chiavetta od altro supporto (tesi peraltro
peregrina, sia perché una tale operazione avrebbe richiesto certamente più
tempo, sia perché è ragionevole ipotizzare che per accedere ai files in questione

obiettivo dei controlli effettuati sulle dotazioni informatiche del ricorrente).
Manifestamente infondate sono poi le censure sulla mancata acquisizione
delle riprese video: non poteva certamente trattarsi di prova decisiva, essendo al
più idonea a far emergere un difetto di sincronizzazione tra gli impianti TV e gli
apparati marcatempo, e considerata la già dedotta irrilevanza dell’orario degli
spostamenti del Donia.
Si impongono, in definitiva, le determinazioni di cui al dispositivo: il
ricorrente, soccombente in punto di statuizioni civili, deve essere condannato alla
rifusione delle spese sostenute dalla parte civile nel presente giudizio di
legittimità, che il collegio ritiene equo liquidare come appresso.

P. Q. M.

Annulla la sentenza impugnata, senza rinvio, agli effetti penali, per essere il
reato estinto per prescrizione; rigetta il ricorso agli effetti civili, e condanna il
ricorrente alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile, che liquida in
complessivi C 1.800,00, oltre accessori secondo legge.

Così deciso il 21/03/2013.

fosse necessaria una password: né l’assunto de quo è in grado di smentire l’esito

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