Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 49783 del 21/03/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 49783 Anno 2013
Presidente: FERRUA GIULIANA
Relatore: MICHELI PAOLO

SENTENZA
sui ricorsi proposti nell’interesse di

Gagliardi Mario, nato a Sicignano degli Alburni 1’08/12/1944

De Sio Paolo, nato a Salerno il 07/10/1937

Molino Gerardo, nato a Polla il 26/04/1954
Rocco Biagio, nato a Campagna il 18/08/1947

avverso la sentenza emessa il 02/04/2012 dalla Corte di appello di Salerno
visti gli atti, la sentenza impugnata e i ricorsi;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Paolo Micheli;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott.
Alfredo Montagna, che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità dei
ricorsi;
udito per gli imputati ricorrenti l’Avv. Andrea Ruggiero, che ha concluso
chiedendo l’accoglimento dei ricorsi e l’annullamento della sentenza impugnata,
rilevando in subordine l’intervenuta prescrizione dei reati contestati agli imputati

RITENUTO IN FATTO

Data Udienza: 21/03/2013

Con distinti atti di impugnazione, ma di contenuto sovrapponibile, il comune
difensore di Mario Gagliardi, Paolo De Sio, Gerardo Molino e Biagio Rocco ricorre
avverso la sentenza emessa il 02/04/2012 dalla Corte di appello di Salerno,
recante la conferma della condanna degli imputati ad anni 2 di reclusione
ciascuno (nonché al pagamento delle spese processuali, ed a pene accessorie di
legge) per delitti di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale,
condanna pronunciata dal Tribunale della stessa città il 19/03/2003. I fatti si
riferiscono al fallimento della G.F.I. Gruppo Finanziario Italiano s.r.I., dichiarato il

del fallimento, mentre i coimputati lo erano stati negli anni precedenti,
mantenendo peraltro – secondo il tenore della rubrica – la veste di
amministratori di fatto anche in epoca successiva.
I ricorrenti deducono:
1. mancanza ed illogicità della motivazione, avendo la Corte territoriale fatto
richiamo per relationem agli elementi evidenziati dal giudice di prime cure,
senza tuttavia esporre un percorso argomentativo autonomo che tenesse
conto delle numerose censure già mosse negli atti di appello, segnatamente
per confutare la presunta dissipazione di tutti i beni sociali (quando invece vi
era una chiara consistenza attiva, risultando azioni di recupero nei confronti
di committenti per cui erano state effettuate prestazioni nel settore
dell’edilizia), la contestata simulazione nella cessione di beni ad altre società
(affermata dai giudici di merito senza tenere conto del disposto dell’art.
1414 cod. civ., per cui la simulazione deve essere accertata su un piano
bilaterale), la sussistenza di passività inesistenti esposte a bilancio (spiegate
con il rilievo che alcuni istituti di credito avevano ritenuto preferibile
aggredire il patrimonio personale dei soci, in ragione delle garanzie da questi
prestate), l’ammontare delle ipotizzate distrazioni (non essendovi prova di
estromissioni di beni dal patrimonio sociale senza corrispettivo) e la
rilevanza delle presunte lacune nella tenuta delle scritture contabili (visto
che il libro giornale esisteva, in forma meccanizzata, che la documentazione
disponibile era stata comunque consegnata al curatore e che non
concretizzavano alcun illecito penale le riscontrate annotazioni a matita, con
successive correzioni a penna);
2. erronea applicazione dell’art. 216 legge fall., essendo radicalmente da
escludere la sussistenza del dolo in capo agli imputati, già tenendo conto che
essi avevano prestato garanzia personale in favore di istituti bancari,
esponendo i propri patrimoni e dunque non potendosi affermare che
avessero agito con volontà di frode in danno dei creditori;

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04/12/1995: il De Sio era stato amministratore unico di detta società all’epoca

3. mancata assunzione di prove decisive, con riguardo all’escussione di un
legale della società, che avrebbe dovuto riferire circa le possibilità di
recupero dei crediti già azionati, nonché all’accertamento della non ancora
intervenuta chiusura della procedura concorsuale;
4. violazione dell’art. 157 cod. pen., giacché il reato avrebbe dovuto
considerarsi prescritto in virtù del riconoscimento di attenuanti generiche,
già concesse dal Tribunale e ritenute prevalenti rispetto alle circostanze di

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi debbono essere considerati inammissibili, risolvendosi le
doglianze della difesa in censure vaghe e del tutto aspecifiche rispetto al
contenuto della sentenza impugnata. Manifestamente infondato è poi il motivo
di ricorso relativo alla prescrizione dei reati, che si assume già intervenuta.
1.1 Va innanzi tutto disatteso il rilievo secondo cui la motivazione adottata
dalla Corte territoriale consisterebbe in un mero richiamo per relationem alla
decisione dei giudici di prime cure: la giurisprudenza di legittimità ha più volte
affermato che «quando le censure non abbiano uno spessore tale da scalfire la
motivazione prodotta dal primo giudice, non può esigersi che il secondo
giudicante rinnovi la motivazione sulla quale si sono inutilmente appuntate le
censure dell’impugnante. E invero è inevitabile che, se, come detto, dette
censure siano manifestamente infondate, inefficaci, irrilevanti, non pertinenti, il
giudice d’appello altro non può fare che ribadire la trama motivazionale del primo
giudicante. Evidentemente egli non è legittimato a riportare puramente e
semplicemente la motivazione di primo grado (o a riportarsi ad essa), ma,
certamente, non si può chiedergli di non far riferimento alla trama argomentativa
del primo giudice, eventualmente anche citandone interi brani. Ciò che conta è
che il suo ragionamento sia aderente alla realtà processuale e sia tale da
dimostrare che egli non ha puramente e semplicemente replicato le ragioni che il
primo giudice ha posto alla base della sua decisione, ma le ha condivise, le ha
criticamente valutate, le ha, per così dire, assimilate e fatte sue» (Cass., Sez. V,
n. 35581 del 27/06/2012, Fratello, Rv 253205).
Ciò, a dispetto di quanto sostenuto dalla difesa, è accaduto anche nel caso di
specie, laddove – se è vero che a pag. 16 la Corte territoriale dà atto di
riportarsi alla motivazione del Tribunale, facendola propria – nelle pagine
successive vengono analiticamente esposte le ragioni a sostegno della conferma
della sentenza appellata, tenendo conto fra l’altro:

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segno contrario.

della necessità di considerare oggetto di distrazione i beni acquisiti dalla
società fallita e non rinvenuti dagli organi della procedura concorsuale,
beni di cui non era stata fornita prova del deperimento o della
destinazione a fini coerenti con l’esercizio dell’attività d’impresa;
della circostanza che il dissesto della società si era certamente verificato
in epoca risalente e nella piena consapevolezza di chi vi operava, visto
che erano state presentate le prime istanze di fallimento quando la G.F.I.
continuava a finanziare altre società del gruppo (dove peraltro

diversi dal De Sio), ricorrendo al credito bancario e così incrementando
l’esposizione;
della inconsistenza della tesi difensiva secondo cui la G.F.I. confidava
nella riscossione di un credito vantato nei confronti del comune di
Campagna, che da un lato non risultava adeguatamente provato e che
comunque non avrebbe giustificato le condotte imprudenti di
finanziamento sopra ricordate;
del rilievo che il protrarsi della procedura concorsuale in virtù della
pendenza di svariati giudizi instaurati dalla curatela in vista di ulteriori
crediti vantati dalla G.F.I., neppure precisati nell’ammontare complessivo,
non poteva avere alcuna incidenza in ordine alla esclusione degli elementi
oggettivo e psicologico dei reati già perfezionati;
della verosimiglianza e ragionevolezza della ricostruzione dei fatti come
operata dal consulente tecnico del P.M., il quale aveva segnalato una
gestione della società «sacrificata agli interessi del gruppo, ottica nella
quale rimanevano altrettanto sacrificati gli interessi della massa
creditoria, peraltro effettivamente assai maggiore di quella insinuatasi al
passivo del fallimento»: una mala gestio che, «improntata su tali criteri e
dinamiche distorte, aveva complessivamente creato i presupposti di uno
stato di insolvenza sin dagli anni precedenti l’assunzione della carica di
amministratore da parte del De Sio, e dunque dal periodo di controllo
societario da parte del Molino e del Rocco, con la collaborazione del
Gagliardi»;
– della irrilevanza delle tesi difensive secondo cui le ipotizzate distrazioni
avrebbero comunque avuto per oggetto beni di scarso valore, assunto
inidoneo a dimostrare la liceità della condotta, e della conformità a prassi
interne delle modalità di tenuta delle scritture contabili (prassi comunque
«ingiustificate e contra legem».
1.2 Gli elementi appena evidenziati, riproduttivi in sintesi degli argomenti
adottati dalla Corte territoriale (ulteriori rispetto a quelli desumibili dal,

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assumevano compiti gestionali ed amministrativi anche gli imputati

comunque legittimo, rinvio per relationem alla decisione dei giudici di primo
grado), appaiono ictu °cui/ dirimenti al fine di ritenere manifestamente infondata
la doglianza dei ricorrenti circa i presunti vizi di omessa motivazione della
sentenza impugnata: a conferma della genericità delle censure, va peraltro
sottolineato che tutti i ricorsi, malgrado intestati alle posizioni dei quattro diversi
imputati, recano in narrativa il solo nome del De Sio quale soggetto nel cui
interesse si sviluppano le ragioni di gravame.
Risultano comunque trattati – e confutati – gli aspetti concernenti la

superfluità della correlata istanza di rinnovazione dibattimentale), la non
effettività delle contestate distrazioni e la regolarità di tenuta delle scritture
contabili. L’unico profilo, tra quelli segnalati nei motivi di ricorso, che non
appare oggetto di immediata trattazione da parte della Corte di appello riguarda

il presunto difetto di dolo in capo agli imputati, laddove questi ultimi sostenevano
di non avere inteso frodare chicchessia (tanto da avere prestato garanzie
personali in favore della società, esponendo i propri patrimoni): tuttavia, deve
ricordarsi in proposito che «il delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione è
reato di pericolo a dolo generico, per la cui sussistenza, pertanto, non è
necessario che l’agente abbia consapevolezza dello stato di insolvenza
dell’impresa, né che abbia agito allo scopo di recare pregiudizio ai creditori»
(Cass., Sez. V, n. 3229 del 14/12/2012, Rossetto, Rv 253932).
E, conformemente a quanto già ricordato segnalando le indicazioni di questa
Corte in tema di motivazione per relationem, deve rilevarsi che è assolutamente
pacifica, fin da epoca remota, la giurisprudenza di legittimità secondo cui «il
giudice di secondo grado non ha l’obbligo di esaminare un motivo di appello
manifestamente infondato» (v.,

ex plurimis,

Cass., Sez. III, n. 8851 del

25/05/1982, Garraffo, Rv 155462).
1.3 Altrettanto manifestamente infondato risulta il motivo di ricorso
afferente la dedotta prescrizione; pur dovendosi applicare la disciplina prevista
dagli artt. 157 e segg. cod. pen. prima della riforma di cui alla legge n. 251 del
2005, come correttamente osservato dalla difesa, va tenuto presente che – per
effetto del riconoscimento di attenuanti generiche prevalenti rispetto alle
circostanze di segno contrario, e della necessità di considerare l’esito del giudizio
di comparazione ai fini della causa estintiva de qua (secondo l’anzidetto quadro
di riferimento normativo previgente) – il termine ordinario veniva a maturare il
10 anni, e quello massimo (tenendo conto dei numerosi eventi interruttivi qui
verificatisi) in 15. Stante la data del dichiarato fallimento, ovvero il 4 dicembre
1995, si perviene così al 4 dicembre 2010.

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presunta consistenza dei crediti vantati dalla società fallita (con conseguente

Occorre però considerare anche le cause di sospensione, dovute a rinvii del
processo su istanza di parte, per adesioni della difesa ad astensioni di categoria
e/o per effetto di provvedimenti adottati ai sensi della legge n. 125 del 2008:
cause che, nel corso del giudizio di merito, si riscontrano effettivamente nel caso
di specie (per un totale di 1 anno, 5 mesi e 21 giorni, spostando così in avanti il
termine massimo di prescrizione, fino al 25 maggio 2012). Ne deriva che, alla
data della sentenza di secondo grado, i reati in rubrica non potevano considerarsi

2. Stante la ritenuta inammissibilità del ricorso, non è possibile prendere
atto oggi della prescrizione appena rilevata (sopravvenuta, come detto, in data
posteriore alla sentenza di appello): per pacifica giurisprudenza di questa Corte
un ricorso per cassazione inammissibile, vuoi per manifesta infondatezza dei
motivi vuoi per altra ragione, «non consente il formarsi di un valido rapporto di
impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause
di non punibilità a norma dell’art. 129 cod. proc. pen.» (Cass., Sez. U, n. 32 del
22/11/2000, De Luca, Rv 217266, relativa appunto ad una fattispecie in cui la
prescrizione del reato era maturata successivamente alla sentenza impugnata
con il ricorso; v. anche, negli stessi termini, Cass., Sez. IV, n. 18641 del
20/01/2004, Tricorni).
3. Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., segue la condanna degli imputati al
pagamento delle spese del procedimento, nonché – ravvisandosi profili di colpa
nella determinazione della causa di inammissibilità, in quanto riconducibile alla
volontà dei ricorrenti (v. Corte Cost., sent. n. 186 del 13/06/2000) – al
versamento in favore della Cassa delle Ammende della somma di C 1.000,00,
così equitativamente stabilita in ragione dei motivi dedotti.

P. Q. M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 1.000,00 in favore della Cassa delle
Ammende.
Così deciso il 21/03/2013.

estinti.

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