Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 49782 del 21/03/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 49782 Anno 2013
Presidente: FERRUA GIULIANA
Relatore: MICHELI PAOLO

SENTENZA

sui ricorsi proposti
dal Procuratore g enerale della Repubblica presso la Corte di appello di
Milano ;
nell’interesse di Caselli Gian Carlo, nato ad Alessandria il 09/05/1939

avverso la sentenza emessa il 01/03/2012 dalla Corte di appello di Milano
all’esito del processo celebrato nei confronti di
Guzzanti Paolo, nato a Roma il 01/08/1940

visti g li atti, la sentenza impu g nata e i ricorsi;
udita la relazione svolta dal consi g liere Dott. Paolo Micheli ;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore g enerale Dott.
Alfredo Monta g na, che ha concluso chiedendo il ri g etto di entrambi i ricorsi ;
udito per la parte civile ricorrente l’Avv. Carlo Smura g lia, che ha concluso
chiedendo l’acco g limento del ricorso, e l’annullamento della sentenza impu g nata

RITENUTO IN FATTO

Data Udienza: 21/03/2013

1. Con sentenza del 12/07/2010, il Tribunale di Monza (sezione distaccata di
Desio) condannava Paolo Guzzanti alla pena di € 2.000,00 di multa per il delitto
di diffamazione a mezzo stampa, in ipotesi commesso in danno di Gian Carlo
Caselli: l’imputato era altresì condannato al pagamento delle spese processuali
ed al risarcimento dei danni subiti dalla persona offesa, costituitasi parte civile. I
fatti si riferivano alla pubblicazione sul quotidiano “Il Giornale”, in data
31/10/2003, di un articolo recante il titolo “Il giardino dei complotti”, a firma del

notizia dell’annullamento senza rinvio, da parte della Corte di Cassazione, di una
sentenza con cui la Corte di assise di appello di Perugia, riformando la pronuncia
di primo grado, aveva condannato il noto uomo politico Giulio Andreotti, e la
vicenda veniva posta in collegamento con altri processi già celebrati a carico
dello stesso Andreotti, in particolare con la conferma dell’assoluzione del
medesimo, pochi mesi prima, dall’addebito di concorso in associazione mafiosa.
L’articolo esprimeva quindi forti censure sull’operato del Dott. Caselli,
Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Palermo, ritenuto autore di
teoremi, costruzioni fallaci, trame fondate su manipolazioni e falsità, al punto da
portare il primo giudice a concludere che l’autore dello scritto avesse dipinto il
magistrato come un soggetto che aveva «abusato del potere giudiziario per
partecipare, attivamente, alla lotta politica, esercitando così faziosamente le
funzioni giurisdizionali al solo fine di favorire una delle parti politiche»; in
sostanza, il Procuratore Caselli era descritto come «un politico travestito da
giudice», connotazione che il Tribunale di Monza reputava costituire una accusa
gravissima, in relazione alla quale non era stato peraltro addotto alcun elemento
o principio di prova. Nella stesura della motivazione, che veniva depositata
1’08/10/2010, si dava comunque atto che il Senato, il precedente 20 luglio
(dunque, otto giorni dopo la lettura del dispositivo) aveva approvato la proposta
della Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari secondo cui le
affermazioni dell’imputato erano da intendersi espressive di opinioni di un
membro del Parlamento nell’esercizio delle sue funzioni, godendo così della
copertura prevista dall’art. 68 Cost.
2. A seguito di impugnazione proposta dal P.g. territoriale e dal Guzzanti, la
Corte di appello di Milano riformava la sentenza emessa dal giudice di prime
cure, assolvendo l’imputato dal reato a lui ascritto in quanto non punibile ai sensi
dell’art. 68 Cost.
Il Procuratore generale presso la stessa Corte di appello aveva infatti chiesto
declaratoria di improcedibilità proprio a seguito delle determinazioni assunte dal
Senato della Repubblica il 20/07/2010, e la medesima richiesta era stata

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Guzzanti (all’epoca del fatto, Senatore in carica): nello scritto si commentava la

avanzata – sia pure in via subordinata – dalla difesa del Guzzanti. La Corte
dava atto che, in opposta prospettiva, la parte civile aveva invece sollecitato di
sollevare conflitto di attribuzione fra i poteri dello Stato, sul presupposto che non
spettasse al Senato dichiarare la insindacabilità delle opinioni espresse
dall’imputato: con quella delibera, ad avviso della parte civile, si era realizzata
una invasione delle competenze riservate all’autorità giudiziaria, segnatamente
perché non risultava in alcun modo il necessario collegamento di quelle opinioni
– manifestate fuori dall’ambito dei lavori parlamentari – con attività tipiche della

Ritenuto sussistere obbligo di pronuncia immediata della causa di esclusione
della punibilità,

ex art. 129 cod. proc. peri., i giudici di secondo grado

segnalavano non esservi i presupposti per promuovere conflitto dì attribuzione,
così argomentando: «questo collegio si attiene nel caso concreto al deliberato di
insindacabilità del Senato, che ha ritenuto di sussumere le dichiarazioni di
Guzzanti nell’ambito di applicazione della prerogativa, qui esteso a dichiarazioni
extra moenia,

in quanto “divulgative all’esterno della propria attività

parlamentare”, riconoscendo una “sostanziale corrispondenza di significato con
opinioni già espresse, o contestualmente espresse, nell’esercizio di funzioni
parlamentari tipiche” […]. Né la Corte può esimersi collateralmente dal rilevare,
considerando il concreto, specifico quadro processuale, come lo stesso
Procuratore generale abbia proposto impugnazione – mai in seguito rinunciata invocando la riforma della sentenza del Tribunale per declaratoria di
improcedibilità in coerenza col deliberato del Senato, e come innegabili effetti,
per così dire “compressivi” della funzione tipica della giurisdizione penale,
avrebbe comunque determinato la già maturata prescrizione del reato, il cui
termine massimo di anni 7 e mesi 6 L.] è scaduto 1’08/08/2011, ciò che avrebbe
necessitato declaratoria di estinzione del reato, salvo più favorevole pronuncia
liberatoria per l’imputato».

3. Propone ricorso il Procuratore generale presso la Corte di appello di
Milano, deducendo che la sentenza di secondo grado sarebbe affetta da
violazione di legge per la «omessa valutazione di profili di illegittimità della
delibera di insindacabilità in relazione all’eventuale superamento, nel
procedimento di adozione da parte del Senato, dell’alveo dei suoi poteri»,
nonché da difetto di motivazione «in relazione al potere-dovere di valutare se sia
delineabile una ipotetica invasione di campo dell’esercizio della funzione
giurisdizionale nonostante la sopravvenuta prescrizione».
Ad avviso del P.g., la Corte territoriale avrebbe comunque dovuto verificare
se vi fosse stata una compressione dell’esercizio della funzione giurisdizionale,

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funzione elettiva.

essendo stata sollecitata in tale direzione sia con memoria della parte civile sia
nell’intervento orale del rappresentante dell’ufficio del P.M., e non risulterebbero
comunque congrue le argomentazioni adottate per ritenere che il decorso del
tempo sia prevalente sulla necessità di detto scrutinio: al contrario, reputa il P.g.
ricorrente che «deve ritenersi non derogabile e comunque prevalente il dovere di
verificare invasioni di campo della funzione giurisdizionale rispetto alla incidenza
del tempo sulla pretesa punitiva dello Stato, anche a prescindere dalla presenza
di statuizioni civili alle quali comunque in sede penale potrà essere ulteriormente

termini, anche in caso di maturata prescrizione può affermarsi che permane il
potere-dovere della Corte di verificare se il provvedimento di insindacabilità sia
stato adottato nell’ambito del corretto rapporto tra poteri».

4. Propone altresì ricorso il difensore / procuratore speciale della parte civile,
lamentando mancanza ed illogicità della motivazione, nonché inosservanza ed
erronea applicazione degli artt. 68 Cost. e 3 legge n. 140 del 2003.
Il ricorrente sostiene che la Corte territoriale avrebbe di fatto eluso la
questione sollevata con memoria difensiva, circa la sussistenza dei presupposti
per sollevare conflitto di attribuzione, dal momento che la sentenza impugnata si
limita a segnalare che il collegio si attiene a quanto deliberato dal Senato senza
illustrare in alcun modo quali siano le ragioni di tale adeguamento: il risultato è
che non ci si trova dinanzi neppure ad una motivazione per relationem, visto che
la Corte di appello nulla avrebbe aggiunto «non alla motivazione, ma solo alle
conclusioni cui è pervenuto un organo diverso da quello giudiziario e sulla cui
“competenza” si era proprio chiamati ad esprimere valutazioni autonome e
preliminari». Soprattutto, non sarebbe stato tenuto in alcun conto il contenuto
della richiamata memoria della parte civile e della documentazione allegata, che
secondo la prospettazione del ricorrente già dimostrava per tabulas come nella
fattispecie la delibera del Senato avesse impropriamente applicato l’art. 68 Cost.,
mancando qualunque contestualità temporale o connessione funzionale tra
l’articolo del Guzzanti ed un qualsiasi atto parlamentare del medesimo.
La parte civile chiede pertanto l’annullamento della sentenza impugnata,
rappresentando il proprio «interesse ad una pronuncia di merito che, una volta
risolto ogni problema di attribuzione da parte della Corte Costituzionale, anche in
caso di applicazione della prescrizione, confermi comunque le statuizioni civili
disposte dal giudice di primo grado».

5. Il 28/02/2013 la difesa di parte civile ha depositato una memoria, con la
quale si ricorda che lo stesso P.g. territoriale, pur non rinunciando

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opposta la insindacabilità, avallata dalla improcedibilità in sede penale. In altri

all’impugnazione con cui era stata chiesta la riforma della sentenza di primo
grado in virtù di quanto deciso in sede parlamentare, aveva comunque
sollecitato la Corte di appello a valutare se ricorressero i presupposti per
sollevare conflitto di attribuzione, richiesta formalmente avanzata nell’interesse
della stessa parte civile; il difensore del Dott. Caselli segnala che l’applicazione
dell’art. 129 del codice di rito, nel contesto appena descritto, costituiva ipotesi
non praticabile, dovendosi escludere – sulla base delle argomentazioni contenute
nella memoria depositata davanti ai giudici di secondo grado, volte a confutare

dal Senato – che ricorresse l’evidenza della non punibilità dell’imputato. Non di
meno, la Corte territoriale si sarebbe limitata a rappresentare che sarebbe
precluso al giudice ordinario di valutare il tema della sindacabilità

ex art. 68

Cost. (quando il problema non era quello di consentire una differente verifica
della pertinenza alle funzioni senatoriali della condotta contestata, bensì di
esaminare la legittimità di quelle determinazioni, nell’ambito del corretto
rapporto fra poteri dello Stato), per poi fermarsi ad una “attinenza” a quanto
deliberato in sede parlamentare che «si risolve in una banale acquiescenza»: non
vi sarebbe stata, in particolare, alcuna motivazione sulle ragioni di
quell’attenersi, né alcuna risposta alle varie obiezioni esposte nella memoria
della parte civile.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I ricorsi non possono trovare accoglimento.
Come correttamente rilevato dal P.g. presso questa Corte, non sono in effetti
ravvisabili nelle pur sintetiche osservazioni formulate dai giudici di appello i vizi
di carenza di motivazione lamentati dal P.M. e dalla parte civile; osservazioni che
si risolvono – appare opportuno riportare nuovamente il relativo passo della
sentenza – nel rappresentare che la Corte territoriale «si attiene nel caso
concreto al deliberato di insindacabilità del Senato, che ha ritenuto di sussumere
le dichiarazioni di Guzzanti nell’ambito di applicazione della prerogativa, qui
esteso a dichiarazioni extra moenia, in quanto “divulgative all’esterno della
propria attività parlamentare”, riconoscendo una “sostanziale corrispondenza di
significato con opinioni già espresse, o contestualmente espresse, nell’esercizio
di funzioni parlamentari tipiche”». L’espressione “si attiene” non indica
appiattita ed apodittica acquiescenza, come lamentato dall’accusa privata, né
equivale a mera presa d’atto: sta evidentemente a intendere, al contrario,
condivisione degli elementi subito dopo riportati, e che costituiscono le ragioni

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l’interpretazione dell’art. 68 Cost. offerta dalla delibera di insindacabilità adottata

essenziali per cui in sede parlamentare si era ritenuto applicabile alla fattispecie
concreta l’art. 68 Cost. (si tratta di virgolettati di quella delibera, che tuttavia si ribadisce – vengono citati nella motivazione come implicitamente condivisi e
fatti propri).
Se poi la dissertazione sull’ormai maturata prescrizione appare in effetti
fuorviante, non incidendo sul problema del prospettato conflitto di attribuzione,
non è comunque corretto affermare che la Corte milanese abbia del tutto glissato
su quest’ultima tematica.

menzionata nel corpo della pronuncia oggi impugnata, recita «in tema di
diffamazione addebitata ad un membro del Parlamento, una volta che la Camera
di appartenenza abbia deliberato la insindacabilità delle opinioni espresse dal
parlamentare, al giudice non rimane che prenderne atto, ovvero sollevare
conflitto di attribuzione innanzi alla Corte costituzionale, ma non è consentito
assumere una determinazione opposta sull’applicabilità della scriminante di cui
all’art. 68 Cost.» (Cass., Sez. V, n. 46663 del 30/10/2007, Borrelli, Rv 238130);
sembra, dunque, che i principi di diritto affermati in quella occasione non siano
dirimenti per il caso di specie, come obietta la difesa di parte civile, visto che
“conformarsi alla delibera parlamentare” significa non poter sostituire la
valutazione del giudice ordinario a quella adottata in quel provvedimento, ma
non anche che il giudice ordinario sia privato della possibilità di sollecitare un
controllo sul corretto esercizio delle prerogative del Parlamento.
Tuttavia, la sentenza oggetto di ricorso non riporta quella massima, bensì
uno stralcio della relativa motivazione, ed a proposito di detto precedente va
peraltro avvertito trattarsi di un caso affatto peculiare (in quella occasione, il
giudice di primo grado aveva assolto l’imputato ritenendo applicabile la
scriminante speciale ex art. 68 Cost., dopo di che era intervenuta una delibera
della Camera di appartenenza dell’imputato nel senso invece della sindacabilità
delle opinioni da lui espresse: ergo, era in re ipsa che non potesse affatto porsi
un problema di conflitto di attribuzione).
La Corte di appello di Milano, citando la sentenza n. 46663 del 2007 di
questa stessa Sezione, ricorda infatti che «il giudice ordinario, essendo tenuto a
“conformarsi alla delibera parlamentare” e a “non emettere una pronuncia di
segno contrario” (C. Cost., sent. n. 149/2007), può “ribellarsi” ad essa sol
proponendo il predetto conflitto esclusivamente nella misura in cui ritenga la
ridetta delibera manifestazione di un’inammissibile compressione dell’esercizio
della funzione giurisdizionale, e “non anche per richiedere una censura alla
pronuncia della Camera a proposito di valutazioni ritenute non conformi ai criteri
elaborati da organi della giurisdizione”»: inammissibile compressione

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Infatti, vero è che la massima ufficiale della sentenza di questa Corte,

dell’esercizio della funzione giurisdizionale che, evidentemente, la stessa Corte
territoriale ha ritenuto non essersi verificata nel caso di specie.
Per contrastare quella tesi, la parte civile aveva speso plurimi argomenti
nella memoria a suo tempo depositata, rilevando fra l’altro – come ribadito
nell’odierna discussione – che l’allora Senatore Guzzanti, trovandosi negli Stati
Uniti e mai essendo intervenuto nel dibattito sui processi in corso a carico dell’ex
Presidente del Consiglio Giulio Andreotti, aveva appreso la notizia della sentenza
di legittimità favorevole a quest’ultimo cogliendo l’occasione per attaccare il Dott.

pronuncia riguardasse la conferma dell’assoluzione dello stesso Andreotti
dall’addebito di concorso esterno in associazione mafiosa, piuttosto che la
riforma della condanna perugina per l’omicidio Pecorelli (vicenda giudiziaria,
quest’ultima, dove il Procuratore della Repubblica di Palermo non aveva svolto
alcun ruolo). E’ singolare però notare che identica confusione caratterizza la
ricostruzione in fatto compiuta dal Tribunale di Monza, che nel dare atto di quali
sarebbero gli accadimenti emersi dall’istruttoria esordisce a pag. 2 della sentenza
di primo grado scrivendo che «il 30/10/2003 la Corte di Cassazione ha
pronunciato la sentenza di assoluzione di Andreotti dall’accusa di concorso
esterno nell’associazione mafiosa con la quale ha cassato, senza rinvio, la
sentenza emessa dalla Corte di appello di Perugia che aveva condannato
And reotti» .
Nel contempo, appare frutto di interpretazione soggettiva, suscettibile di
diverse letture, la censura della parte civile secondo cui gli atti parlamentari
indicati nella delibera parlamentare sarebbero stati assolutamente estranei
all’argomento trattato nell’articolo di stampa a firma del Guzzanti, afferendo
comunque a temi di taglio generale sul rapporto fra politica ed amministrazione
della giustizia.
Si tratta di rilievi che consentono di ribadire, come già esposto nella più
volte richiamata sentenza n. 46663 del 2007, che «ciò che il giudice ordinario
potrebbe richiedere alla Corte Costituzionale in un giudizio per conflitto fra poteri
non è certo il controllo sulla correttezza della motivazione adottata dalla Camera
– talvolta neppure espressa (C. Cost. sent. n. 11 del 2000) -, ma di intervenire in
posizione di terzietà per esercitare “la funzione di garanzia da un lato
dell’autonomia della Camera di appartenenza del parlamentare e dall’altro della
sfera di attribuzione della autorità giurisdizionale”».

2. Il rigetto dei ricorsi comporta la condanna della parte privata
soccombente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità.

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Caselli: così facendo, aveva peraltro confuso i processi, ritenendo che quella

P. Q. M.

Rigetta i ricorsi, e condanna la parte civile al pagamento delle spese processuali.

Così deciso il 21/03/2013.

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