Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 49770 del 17/10/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 49770 Anno 2013
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: ROMIS VINCENZO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE
nei confronti di:
DI TULLIO LOREDANA N. IL 25/06/1983
avverso l’ordinanza n. 15/2010 CORTE APPELLO di PERUGIA, del
11/04/2011
sentita la relazione fatta dal Consigliere DM. VINCENZO ROMIS;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott. Vi’ (–z D eutén,0 ,-iyo

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Data Udienza: 17/10/2013

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte d’Appello di Perugia riconosceva a favore di Di Tullio Loredana
il diritto all’equa riparazione per la detenzione ingiusta, dalla stessa subita – dal 5
luglio 2003 fino al 7 luglio 2003 in regime intramurario e successivamente, fino
al 4 luglio 2004, agli arresti domiciliari – in quanto accusata di omicidio
volontario in danno di Rivaroli Marsilio, commesso, secondo la contestazione, in
concorso con Daut Morina e Resuli Arsen. La Di Tullio era stata poi prosciolta

2. A sostegno dell’istanza di equa riparazione la Di Tullio aveva addotto di
essersi sin dall’inizio dichiarata estranea al delitto, di aver chiarito i suoi rapporti
con i soggetti coinvolti nella vicenda e di aver osservato un contegno processuale
irreprensibile e collaborativo.

3. La Corte territoriale adita liquidava quindi a favore della Di Tullio la
somma complessiva di euro 43.539,00 e dava conto del proprio convincimento
ricostruendo meticolosamente tutto

l’iter

del giudizio di cognizione ed

evidenziando che: a) l’unica circostanza a carico della Di Tullio, dissonante
rispetto al compendio probatorio acquisito, era rappresentato dal fatto che la
donna, nel corso dell’interrogatorio di garanzia, aveva negato, mentendo, di aver
seguito il Daut negli spostamenti tra l’Italia e l’Albania nei giorni a cavallo del
delitto; b) trattavasi peraltro di circostanza di scarso rilievo posto che, quale che
fosse stata la ragione degli spostamenti dei due, detti spostamenti non potevano
ascriversi “ex se” a colpa della donna trattandosi di condotta “da reputarsi alla
resa dei conti del tutto neutra” (pag. 7 dell’ordinanza della Corte d’Appello);
c) neppure poteva attribuirsi rilievo all’atteggiamento difensivo assunto dalla Di
Tullio, volto a negare quegli spostamenti, una volta esclusa la compartecipazione
al delitto anche del Daut (a sua volta assolto): ed invero, esclusa la possibilità di
ravvisare a carico della Di Tullio anche la sola consapevolezza – peraltro
eziologicamente

non

incidente

dell’azione

omicidiaria

altrui,

quell’atteggiamento andava ricondotto semplicemente ad una linea difensiva che
in quel peculiare contesto era da ritenersi ragionevole, “in quanto diretta a
conseguire sollecitamente l’obiettivo sperato di allontanare da sé ogni sospetto,
obiettivo che la ragazza aveva diritto di raggiungere” (ancora pag. 7
dell’ordinanza della Corte d’Appello); d) una complessiva rivalutazione del
quadro originario – depurato dalle dichiarazioni del concorrente Resuli e di Tafa
Erman (uno di coloro che all’inizio aveva maggiormente accreditato il movente
del Daut), largamente inaffidabili, induceva a ritenere che siffatto quadro

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dalla Corte d’Assise di Perugia.

indiziario non risultava idoneo ad offrire, quanto alla Di Tullio, garanzie sufficienti
per la sua tenuta dibattimentale: per cui la condotta della Di Tullio e la sua
strategia difensiva andavano valutate come disancorate dal restante contesto
così risultando del tutto inidonee a porsi come causa efficiente – derivante da
colpa grave – dell’applicazione della misura cautelare.

4.

Ricorre per cassazione il Ministero dell’Economia e delle Finanze,

tramite l’Avvocatura Generale dello Stato, denunziando, con diffuse ed articolate

riconoscimento del diritto all’indennizzo. Secondo la prospettazione del ricorrente
la Di Tullio sarebbe incorsa in colpa grave, con la sua condotta – dando causa
all’applicazione della misura restrittiva – e con il mendacio nell’interrogatorio di
garanzia; la Corte territoriale sarebbe poi venuta meno all’obbligo di procedere
alle proprie valutazioni in piena autonomia rispetto al giudizio di cognizione;
sostiene il ricorrente, in particolare, che la Di Tullio, seguendo nei suoi
spostamenti il Daut, non avrebbe rispettato i canoni dell’avvedutezza e
dell’ordinaria diligenza, non potendo ignorare che sul Daut sarebbero
necessariamente caduti i sospetti degli inquirenti per l’omicidio.

5.

Il Procuratore Generale presso questa Corte ha chiesto, in

accoglimento del ricorso, l’annullamento del provvedimento, con rinvio.
L’Avvocatura Generale dello Straoi ha poi depositato memoria con ulteriori
argomentazioni a sostegno del proposto ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

6. Il proposto ricorso è infondato e va quindi rigettato.

7.

Va innanzitutto rilevato, sotto un profilo d’ordine generale e

sistematico, che la materia in questione, concernente la sussistenza o meno della
colpa grave dell’istante nella determinazione del suo stato detentivo, non è,
ovviamente, nella libera disponibilità delle parti ed è, quindi, pur sempre
necessario che il giudice della riparazione accerti la insussistenza di tale causa
ostativa al riconoscimento dell’indennizzo richiesto.
Nella specie, a tanto hanno sostanzialmente adempiuto i giudici del merito,
rilevando che l’istante non aveva tenuto comportamenti qualificabili come dolosi
o gravemente colposi tali da esplicare un’efficacia causale nell’instaurazione e nel
mantenimento della custodia cautelare in carcere”, ed hanno al riguardo
richiamato l’iniziale quadro indiziario, la condotta extraprocessuale e processuale

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argomentazioni, violazione di legge e vizio motivazionale in ordine al

della Di Tullio e quanto affermato dai giudici di merito circa l’inaffidabilità di
taluni soggetti le cui dichiarazioni avevano contribuito significativamente alla
formazione del compendio indiziario posto a base della misura cautelare
applicata alla Di Tullio.
7.1. Quanto al testo del provvedimento impugnato – in riferimento al

quale soltanto va delibata la sussistenza o meno del vizio motivazionale, secondo
la specifica regola dettata dall’art. 606, 10 c., lett. e), c.p.p. – esso ha ripercorso

l’iter processuale rilevante ai fini del presente giudizio, dando esaustiva contezza
L’istante aveva seguito il Daut perché a lui legata sentimentalmente – tanto da
essere in attesa di un bimbo dall’uomo (pag. 3 dell’impugnata ordinanza) – e
quindi osservando una condotta priva di connotazioni di avvedutezza e/o
trascuratezza; e tali spostamenti erano stati poi da lei negati nell’interrogatorio
di garanzia, in attuazione di una scelta di linea difensiva, ragionevole e
comprensibile posto che i sospetti degli investigatori si concentravano proprio sul
Daut dal quale la donna cercava quindi di prendere le distanze nell’ottica di
essere quanto prima scagionata dalla gravissima accusa. Alla stregua di tale
contenuto del testo del provvedimento impugnato, si appalesa del tutto logico e
consequenziale il divisamento espresso dai giudici del merito in ordine alla
ritenuta insussistenza di una colpa grave dell’istante.
7.2. Giova rilevare e ricordare che, premesso che il dolo o la colpa grave

idonei ad escludere l’indennizzo per ingiusta detenzione devono sostanziarsi in
comportamenti specifici che abbiano “dato causa” (o abbiano “concorso a darvi
causa”) all’instaurazione dello stato privativo della libertà – sicché è, tra l’altro,
ineludibile l’accertamento del rapporto causale, eziologico, tra tali condotte ed il
provvedimento restrittivo della libertà personale – ad escludere il diritto in
questione è pur sempre necessario che il giudice della riparazione pervenga al
suo conclusivo divisamento in base a dati di fatto certi, cioè ad elementi
“accertati o non negati” (Cass., Sez. Un. n. 43/1996 cit.); tale valutazione,
quindi, non può essere operata sulla scorta di dati congetturali, non
definitivamente comprovati non solo nella loro ontologica esistenza, ma anche
nel rapporto eziologico tra la condotta tenuta e la sua idoneità a porsi come
elemento determinativo dello stato di privazione della libertà, in riferimento alla
fattispecie di reato per la quale il provvedimento restrittivo venne adottato.
7.3. Inoltre, la valutazione del giudice della riparazione si svolge su un

piano diverso, autonomo, rispetto a quello del giudice del processo penale, pur
dovendo eventualmente operare sullo stesso materiale: tale ultimo giudice deve
valutare la sussistenza o meno di una ipotesi di reato ed eventualmente la sua
riconducibilità all’imputato; il primo, invece, deve valutare non se determinate

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delle circostanze evidenziatesi, apprezzate e valutate dai giudici del merito.

condotte costituiscano o meno reato, ma “se esse si posero come fattore
condizionante (anche nel concorso dell’altrui errore) alla produzione dell’evento
“detenzione” (…) Il rapporto tra giudizio penale e giudizio della riparazione si
risolve solo nel condizionamento del primo rispetto al presupposto dell’altro (…)
spettando al giudice della riparazione una serie di accertamenti e valutazioni da
condurre in piena autonomia e con l’ausilio dei criteri propri all’azione esercitata
dalla parte” (Cass., Sez. Un., 13 dicembre 1995, n. 43/1996).
A tali principi mostra di essersi uniformato il provvedimento impugnato, con

7.4. Quanto al vizio deducibile in sede di legittimità ai sensi del già citato
art. 606, 10 comma, lett. e), c.p.p., pure giova ricordare che l’indagine di
legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto,
dovendo il sindacato demandato alla Corte di Cassazione essere limitato – per
espressa volontà del legislatore – a riscontrare l’esistenza di un logico apparato
argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di
verificare l’adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice del merito si è
avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle
acquisizioni processuali, giacché esula dai poteri della Corte medesima quello di
una ‘rilettura’ degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui
valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice del merito, senza che possa
integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il
ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Sez. Un.,
30.4.1997, n. 6402, Rv. 207944; Sez. Un., 24.11.1999, n. 24, Rv. 214794; in
termini sostanzialmente identici, ancorché con riferimento alla materia cautelare,
Sez. Un., 19.6.1996, n. 16, Rv. 205621; e non dissimilmente, Sez. Un.,
27.9.1995, n. 30, Rv. 202903; Sez. Un., 25.10.1994, n. 19, Rv. 199321; e, con
riguardo al giudizio, Sez. Un., 13.12.1995, n. 930/1996, Rv. 203428; Sez. Un.,
31.5.2000, n. 12, Rv. 216260). Inoltre, l’illogicità della motivazione, censurabile
a norma dell’art. 606.1, lett. e), c.p.p., è quella evidente, cioè di spessore tale
da risultare percepibile ictu ()cui/ (Sez. Un., 24.9.2003, n. 47289, Rv. 226074;
Sez. Un., 24.11.1999, n. 24, Rv. 214794). Ed in tema di sindacato del vizio di
motivazione, compito del giudice di legittimità non è quello di sovrapporre la
propria valutazione a quella compiuta dai giudici del merito, bensì di stabilire se
questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano
fornito una corretta interpretazione di essi, dando esaustiva e convincente
risposta alle deduzioni delle parti, e se abbiano correttamente applicato le regole
della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di
determinate conclusioni a preferenza di altre (Cass., Sez. Un., 13.12.1995, n.
930/1996; id., Sez. Un., 31.5.2000, n. 12). Infine, poiché il vizio di motivazione

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considerazioni valutative del tutto avulse da vizio alcuno di illogicità manifesta.

deducibile in sede di legittimità deve, per espressa previsione normativa,
risultare dal testo del provvedimento impugnato, o – a seguito della modifica
apportata all’art. 606.1, lett. e), c.p.p. dall’art. 8 della L. 20.2.2006, n. 46 – da
“altri atti del procedimento specificamente indicati nei motivi di gravame”, tanto
comporta, quanto al vizio di manifesta illogicità, per un verso, che il ricorrente
deve dimostrare in tale sede che l’iter argomentativo seguito dal giudice è
assolutamente carente sul piano logico e che, per altro verso, questa
dimostrazione non ha nulla a che fare con la prospettazione di un’altra

piano logico; ne consegue che, una volta che il giudice abbia coordinato
logicamente gli atti sottoposti al suo esame, a nulla vale opporre che questi atti
si presterebbero ad una diversa lettura o interpretazione, ancorché munite in tesi
di eguale crisma di logicità (cfr. Cass., Sez. Un., 27.9.1995, n. 30).
7.5. Alla stregua di tali principi, il ricorso si sostanzia in una inammissibile
prospettazione in sede di legittimità di un diverso apprezzamento di merito, a
fronte di una motivazione del tutto congrua e logica.

8.

Al rigetto del ricorso segue, per legge, la condanna del ricorrente al

pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali
Il Presidente

Roma, 17 ottobre 2013
Il Consi liere estensore

(Carlo Giusei

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CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
IV Sezione Penale

interpretazione o di un altro iter, quand’anche in tesi egualmente corretti sul

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