Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 49769 del 17/10/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 49769 Anno 2013
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: ROMIS VINCENZO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CAMPANELLA GIACOMO N. IL 05/12/1952
avverso l’ordinanza n. 75/2008 CORTE APPELLO di MESSINA, del
20/04/2011
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. VINCENZO ROMIS;
lette/stie-le conclusioni del PG Dott. F3-?4,u/ti,i/c,o
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Data Udienza: 17/10/2013

RITENUTO IN FATTO

1. Campanella Giacomo veniva tratto in arresto a seguito di ordinanza di custodia
cautelare in carcere con la contestazione del reato d cui all’art. 416 bis c.p.
nell’ambito del procedimento penale denominato “Operazione Omero”; dopo 19
giorni di custodia cautelare intramuraria era stato poi scarcerato, ed infine assolto
con sentenza del 29 maggio 2006 della Corte d’Assise di Messina.

quindi l’equa riparazione, per l’ingiusta detenzione subita.
La Corte d’Appello adita, provvedendo con ordinanza depositata il 13/07/2011,
rigettava la domanda. In particolare la Corte territoriale riteneva ravvisabili nella
condotta del Campanella gli estremi della colpa grave, ostativa al diritto all’equa
riparazione, sulla scorta delle seguenti specifiche circostanze fattuali che, ad avviso
della Corte stessa, avevano legittimato l’intervento dell’Autorità nei confronti del
Campanella medesimo con l’arresto: a fondamento dell’accusa erano state poste
talune intercettazioni ambientali disposte subito dopo l’avvio della collaborazione da
parte di Russo Massimo, genero del Campanella, che avevano indotto ad ipotizzare
a carico del Campanella un’attività di persuasione verso il Russo per indurlo a
recedere dalla collaborazione; il Campanella aveva manifestato apprezzamento per
la ritrattazione del Russo, e tali esternazioni del Campanella erano state definite
dalla Corte d’Assise nella sentenza di assoluzione “espressione di una diffusa cultura
dell’omertà piuttosto che elementi per ritenere che l’atteggiamento dell’imputato sia
stato determinato da contatti avuti con gli altri associati”; ad avviso dei giudici della
cognizione, la condivisione da parte del Campanella della scelta operata dal Russo,
e l’approvazione di questa addirittura con sollievo, non erano indizi sintomatici della
partecipazione all’associazione della quale il Russo era partecipe; era stato
accertato che la decisione del Russo di recedere dalla collaborazione era avvenuta
prima di qualsiasi contatto del Russo con il Campanella, e, dunque, gli
apprezzamenti di quest’ultimo non avevano avuto efficacia causale sulla scelta del
Russo; l’assoluzione del Campanella era stata pronunciata ai sensi del secondo
comma dell’art. 530 c.p.p.; conclusivamente, la valutazione operata “ex ante”,
propria del giudizio dell’equa riparazione, induceva a ravvisare in capo al
Campanella una condizione di colpa grave, posto che la sua condotta – nella fase
cruciale della collaborazione e della successiva ritrattazione del congiunto – aveva
certamente contribuito ad ingenerare negli inquirenti il convincimento di un suo
2

2. Con domanda presentata alla Corte di Appello di Messina il Campanella chiedeva

possibile ruolo attivo nell’associazione malavitosa nella quale il Russo era inserito.

3. Avverso detto provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione l’interessato
con atto di impugnazione sottoscritto dal difensore (cassazionista), deducendo vizio
motivazionale in ordine alla ritenuta sussistenza della colpa grave, sostenendo che
la Corte territoriale sarebbe incorsa in errore di impostazione e prospettiva nel
valutare le risultanze processuali ai fini che in questa sede interessano, in

4. Il Procuratore Generale presso questa Corte, con la sua requisitoria scritta, ha
chiesto l’annullamento dell’impugnata ordinanza, con rinvio, ritenendo ravvisabile il
vizio di motivazione.

CONSIDERATO IN DIRITTO
5. Le considerazioni svolte dal Procuratore Generale con la sua requisitoria non
appaiono condivisibili, ed il ricorso deve essere rigettato per l’infondatezza delle
censure dedotte.

6. Secondo i princìpi elaborati ed affermati nell’ambito della giurisprudenza di
questa Suprema Corte, nei procedimenti per la riparazione per l’ingiusta detenzione,
in forza della norma di cui all’art. 646, secondo capoverso, c.p.p. – da ritenersi
applicabile per il richiamo

contenuto nel terzo

comma

dell’art. 315 c.p.p. –

la cognizione della Corte di Cassazione deve intendersi limitata alla sola legittimità
del provvedimento impugnato, ovviamente anche sotto l’aspetto della congruità e
logicità della motivazione, e non al merito. E, per quel che concerne la verifica dei
presupposti e delle condizioni richieste perchè sussista in concreto il diritto all’equa
riparazione – in particolare, l’assenza del dolo o della colpa grave dell’interessato
nella produzione dell’evento restrittivo della libertà personale – le Sezioni Unite della
Corte di Cassazione, con la sentenza N. 43 del 13/12/1995-9/2/1996, hanno
enunciato il principio di diritto secondo cui la Corte territoriale deve procedere ad
autonoma valutazione delle risultanze processuali rispetto al giudice penale.
Nella fattispecie in esame, la Corte d’Appello di Messina, per quanto si evince
dall’impugnata ordinanza, ha motivato il proprio convincimento attraverso un
adeguato percorso argomentativo con le considerazioni sopra sinteticamente
ricordate, da intendersi qui integralmente richiamate onde evitare superflue
ripetizioni; orbene appare all’evidenza che trattasi di un “iter” motivazionale
assolutamente incensurabile in quanto caratterizzato da argomentazioni pienamente
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PIA

particolare attribuendo rilievo ad “intercettazioni illegali”.

rispondenti a criteri di logicità ed adeguatezza, nonchè in sintonia con i princìpi
enunciati da questa Corte in tema di dolo e colpa grave quali condizioni ostative al
diritto all’equa riparazione: si ha colpa grave allorquando il soggetto sia venuto
meno all’osservanza di un dovere obiettivo di diligenza, con possibilità di prevedere
che, non rispettando una regola precauzionale, venendo meno all’osservanza del
dovere di diligenza, si sarebbe verificato l’evento “detenzione” (cfr., fra le tante:
Sez. 4, n. 3912/96 – cc. 29/11/95 – RV. 204286; Sez. 4, n. 596/96, RV. 204624);

“sia il momento genetico che quello del permanere della misura restrittiva”

(

così,

“ex plurimis”, Sez. 4, n. 963/92, RV. 191834). Giova evidenziare, ancora, che le
Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza n. 43 del 1995 già sopra ricordata,
hanno sottolineato che: a) “deve intendersi dolosa non solo la condotta volta
alla realizzazione di un evento voluto e rappresentato nei suoi termini fattuali, sia
esso confliggente o meno con una prescrizione di legge, ma anche la condotta
consapevole e volontaria i cui esiti, valutati dal giudice del procedimento riparatorio
con il parametro dell’ «id quod plerumque accidit» secondo le regole di
esperienza comunemente accettate, siano tali da creare una situazione di allarme
sociale e di doveroso intervento dell’autorità giudiziaria a tutela della comunità,
ragionevolmente ritenuta in pericolo”; b) “poichè inoltre, anche ai fini che qui
interessano, la nozione di colpa è data dall’art. 43 cod. pen., deve ritenersi ostativa
al riconoscimento del diritto alla riparazione quella condotta che, pur tesa ad
altri risultati, ponga in essere, per evidente, macroscopica negligenza, imprudenza,
trascuratezza, inosservanza di leggi, regolamenti o norme disciplinari, una
situazione tale da costituire una non voluta, ma prevedibile, ragione di intervento
dell’autorità giudiziaria che si sostanzi nell’adozione di un provvedimento restrittivo
della libertà personale o nella mancata revoca di uno già emesso”.
6.1. A quanto sopra evidenziato, aggiungasi che il ricorrente ha svolto
considerazioni connotate anche da genericità avendo prospettato la “illegalità” delle
intercettazioni con enunciazioni assertive e senza indicare le ragioni di tale asserita
illegalità che non emerge dall’ordinanza impugnata; il ricorrente sembra aver voluto
piuttosto ricondurre una tale “illegalità” all’assoluzione del Campanella: ma una
siffatta impostazione non potrebbe cogliere nel segno posto che, è bene ricordarlo,
l’assoluzione è il presupposto indispensabile per avviare il giudizio di equa
riparazione.

4

la sinergia, sulla custodia cautelare, del comportamento dell’istante può riguardare

7. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese
del procedimento.
P. Q. M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Roma, 17 ottobre 2013

Il Presidente

Il Con igliere estensore

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CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
IV Sezione Penale

(Vi cenzo Romis)

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