Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 49748 del 07/11/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 49748 Anno 2013
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: ROMIS VINCENZO

Data Udienza: 07/11/2013

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
COPPOLA CLAUDIO N. IL 27/10/1978
DE MATTEO VINCENZO N. IL 18/04/1976
FORMISANO ANTONELLA N. IL 10/08/1984
FORTUNATO CIRO PAOLO N. IL 28/11/1964
MAIELLO ANTONIO N. IL 15/04/1950
MANDATO GERARDO N. IL 03/01/1961
NIZZA SALVATORE N. IL 14/01/1980
PASTORE BENIAMINO N. IL 16/12/1981
PISCOPO ARPINO N. IL 20/04/1970
SORICE EMANUELE N. IL 16/08/1985
VOLPICELLI ELENA N. IL 08/01/1982
CIOTTI PAOLO N. IL 11/10/1981
avverso la sentenza n. 1538/2010 CORTE APPELLO di NAPOLI, del
08/02/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 17/10/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. VINCENZO ROMIS
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Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per t/i/ARA”,(kem i,3

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RITENUTO IN FATTO
1. Il Tribunale di Benevento, con sentenza emessa in data 31 luglio 2009, nell’ambito di un complesso
procedimento a carico di numerosi imputati in ordine a reati concernenti la violazione della legge sugli
stupefacenti, all’esito di giudizio celebrato con il rito ordinario, condannava, tra gli altri, Coppola Claudio,
De Matteo Vincenzo, Formisano Antonella, Fortunato Ciro Paolo, Maiello Antonio, Mandato Gerardo, Nizza
Salvatore, Pastore Beniamino, Piscopo Arpino, Sorice Emanuele, Volpicelli Elena e Ciotti Paolo alle
rispettive pene ritenute di giustizia in ordine ai seguenti reati: Piscopo Arpino, Volpicelli Elena, De Matteo
Vincenzo, Ciotti Paolo, Sorice Emanuele, Nizza Salvatore, Mandato Gerardo, Fortunato Ciro Paolo, per il

Coppola Claudio, Pastore Beniamino e Maiello Antonio, per violazione dell’art. 73 del d.P.R. citato.

2.

A seguito di rituale gravame proposto dagli imputati suddetti, la Corte d’Appello di Napoli, per la

parte che in questa sede rileva con riferimento agli imputati sopra indicati nell’incipit, confermava
l’affermazione di colpevolezza pronunciata dal primo giudice nei confronti di detti imputati in ordine ai
reati loro ascritti – richiamando esplicitamente quanto già evidenziato dal primo giudice in rito e nel
merito – e riduceva la pena a favore di Fortunato Ciro Paolo, Formisano Antonella, Piscopo Arpino e
Volpicelli Elena; la Corte distrettuale, disattendeva tutte le eccezioni di inutilizzabilità dell’esito delle
intercettazioni, sollevate da taluni appellanti, e riteneva insussistenti i presupposti per il riconoscimento
dell’attenuante di cui al sesto comma dell’art. 74 del d.P.R. n. 309/90, quanto al reato associativo,
nonché dell’attenuante prevista dal quinto comma dell’art. 73 stesso d.P.R. per le violazioni di tale
articolo.

3.

Avverso detta sentenza hanno proposto ricorso per Cassazione i predetti imputati

prospettando profili di violazione di legge e di vizio motivazionale in cui sarebbe incorsa la
Corte di merito nel dar conto delle proprie statuizioni.
I motivi di ricorso possono sinteticamente riassumersi come segue:
3.1. VOLPICELLI ELENA, MANDATO GERARDO, FORMISANO ANTONELLA, DE MATTEO
VINCENZO

con un unico atto di impugnazione, i ricorrenti deducono: a) la inutilizzabilità

delle intercettazioni delle conversazioni ambientali sull’auto in uso agli imputati, perchè
asseritamente disposte sulla base di fonte confidenziale, apparendo di scarso rilievo indiziario
gli esiti dell’attività di osservazione svolta dagli investigatori di cui alle informative di reato;
b) la inattendibilità – quanto alla valenza probatoria – delle dichiarazioni accusatorie rese da
Fortunato Ciro Paolo, nella parte in cui non hanno ricevuto riscontro nell’esito delle
intercettazioni: la inutilizzabilità di queste ultime renderebbe poi prive di valore probatorio le
dichiarazioni pur riscontrate; c) vizio motivazionale e violazione di legge in ordine alla ritenuta
configurabilità del reato associativo – quanto a Volpicelli, Mandato e De Matteo (essendo stata
la Formisano assolta da detta imputazione già con la sentenza di primo gado) – per la
mancanza degli elementi costitutivi di tale figura delittuosa, in particolare il vincolo associativo;
d) vizio di motivazionale – limitatamente alle posizioni di Volpicelli, Mandato e De Matteo – in
ordine al mancato riconoscimento dell’attenuante di cui al sesto comma dell’art. 74 del d.P.R.
n. 309/90, avuto riguardo alla asserita configurabilità dell’attenuante di cui al quinto comma

reato associativo di cui all’art. 74 del d.P.R. n. 309/90; gli stessi imputati, nonché Formisano Antonella,

dell’art. 73 del citato d.P.R. in relazione ai singoli episodi di spaccio che avrebbero avuto ad
oggetto modesti quantitativi di stupefacente; e) vizio di motivazione per l’affermazione di
colpevolezza del Mandato per i reati sub A) e B), non avendo i giudici di merito tenuto conto
che il Tribunale della libertà aveva annullato la relativa ordinanza cautelare per la riscontrata
carenza della gravità indiziaria.
3.2. NIZZA SALVATORE

a) il Nizza solleva l’eccezione di inutilizzabilità dell’esito delle

intercettazioni, sotto plurimi profili: 1) l’attività di captazione sarebbe stata autorizzata sulla

3) sarebbe stato fatto un mero riferimento per relationem alla richiesta del P.M.; 4) i decreti di
proroga delle intercettazioni non sarebbero stati adeguatamente motivati; 5) difetto di
motivazione circa l’uso di impianti diversi da quelli esistenti in Procura, anche per quel che
riguarda le ragioni di urgenza; b) nel merito: 1) le conversazioni poste a base della condanna
del Nizza non riguarderebbero quest’ultimo né direttamente né indirettamente; 2) non
sarebbero ravvisabili gli elementi costitutivi del reato associativo, non essendo stata tra l’altro
dimostrata l’attendibilità delle dichiarazioni accusatorie rilasciate dal Fortunato Ciro Paolo;
3) infine, vizio motivazionale sulla determinazione della pena;
3.3. MAIELLO ANTONIO

denuncia: a) in rito, violazione dell’art. 521 c.p.p., sotto il profilo

della violazione del principio di correlazione tra contestazione e sentenza, rilevabile, a suo
avviso, dal raffronto tra la formulazione del capo E) di imputazione, e la motivazione di cui a
pag. 31 della sentenza impugnata; b) nel merito: 1) la Corte territoriale avrebbe motivato la
conferma dell’affermazione di colpevolezza con un mero richiamo per relationem alla sentenza
del primo giudice, omettendo di esaminare e confutare quanto specificamente dedotto
dall’appellante; 2) vizio di motivazione in ordine alle valutazioni probatorie, nonché
relativamente al trattamento sanzionatorio sotto il duplice profilo dell’entità della pena e del
bilanciamento tra le circostanze;
3.4. PASTORE BENIAMINO

denuncia: a) in rito, l’inutilizzabilità dell’esito delle

intercettazioni perché sarebbero state disposte allorquando non sussistevano a suo carico gravi
indizi di reato; b) nel merito: 1) vizio motivazionale in ordine alla ritenuta colpevolezza con
specifico riferimento alla sua individuazione attraverso il soprannome “beccariello”; 2) ancora
vizio di motivazione quanto alla sussistenza degli elementi costitutivi del reato di cui all’art. 73
del d.P.R. n. 309/90 ed al diniego dell’attenuante di cui all’art. 114 c.p.;
3.5. PISCOPO ARPINO

denuncia, nel merito: a) non sarebbero ravvisabili gli elementi

costitutivi del reato associativo, non essendo stato acquisito un concreto compendio probatorio
al riguardo; b) vizio di motivazione in ordine alla ritenuta insussistenza dell’attenuante di cui al
sesto comma dell’art. 74 del d.P.R. n. 309/90, dovendo considerarsi irrilevanti a tal proposito
la continuità dell’attività di spaccio e la pluralità delle sostanze oggetto di detta attività peraltro
svolta nell’ambito territoriale della sola Benevento; c) omessa motivazione in ordine alla
richiesta di esclusione sia dell’aggravante del numero di persone superiore a dieci, sia della
recidiva avuto riguardo alla natura facoltativa della stessa;

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base di fonte confidenziale; 2) il GIP si sarebbe limitato a richiamare l’informativa di reato;

3.6. SORICE EMANUELE

non sarebbero ravvisabili gli elementi costitutivi del reato

associativo, non essendo stato acquisito un concreto compendio probatorio al riguardo, e la
Corte di merito sarebbe incorsa in violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al diniego
dell’attenuante di cui al sesto comma dell’art. 74 del d.P.R. n. 309/90: il ricorrente richiama
taluni precedenti di giurisprudenza relativamente alle due questioni;
3.7. CIOTTI PAOLO

denuncia: in rito, l’inutilizzabilità dell’esito delle intercettazioni perché

sarebbero state disposte allorquando non sussistevano a suo carico gravi indizi di reato; nel

stato acquisito un concreto compendio probatorio al riguardo, e la Corte di merito sarebbe
incorsa in violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al diniego dell’attenuante di cui al
sesto comma dell’art. 74 del d.P.R. n. 309/90; b) vizio di motivazione in ordine alla sua
identificazione quale soggetto indicato con il soprannome “marpione”: a tale riguardo, il
ricorrente sostiene che tale abbinamento sarebbe stato fondato su un verbale di
riconoscimento redatto dall’Ispettore di Polizia Salomone, e dal Ciotti stesso sottoscritto,
verbale peraltro nemmeno acquisito agli atti e comunque inutilizzabile perché redatto senza
che il Ciotti nella circostanza fosse assistito da difensore;
3.8. COPPOLA CLAUDIO

denuncia, nel merito, vizio di motivazione in ordine

all’affermazione di colpevolezza relativamente al reato di cui all’art. 73 del d.P.R. n. 309/90
ascrittogli – sull’asserito rilievo che non sarebbero stati acquisiti concreti elementi probatori in
proposito – nonché relativamente al diniego dell’attenuante dell’ipotesi della lieve entità del
fatto prevista dal quinto comma del citato art. 73 ed all’entità della pena;
3.9. FORTUNATO CIRO PAOLO

denuncia nel merito vizio di motivazione relativamente

all’entità della pena asseritamente eccessiva.
Sono stati depositati motivi nuovi nell’interesse di Piscopo Arpino, in particolare con
argomentazioni finalizzate a sostenere la tesi della natura giuridica della ipotesi di cui al sesto
comma dell’art. 74 del d.P.R. n., 309/90 quale figura autonoma di reato.
Ha poi depositato note difensive ancora la difesa del Piscopo, con ulteriori argomentazioni a
sostegno dei motivi proposti con il ricorso ed allegando la copia delle conversazioni intercettate
già richiamate nel ricorso stesso e dal ricorrente ritenute significative in relazione alle tesi
difensive prospettate.
All’udienza del 17 ottobre 2013 è stata rigettate l’istanza di rinvio presentata dall’avv.
Vittorio Fucci – difensore di Nizza Salvatore – avendo il Collegio ritenuto insussistenti i
presupposti per la configurabilità dell’assoluto impedimento a comparire prospettato per motivi
di salute concernenti il difensore stesso, come da ordinanza di cui al verbale di udienza.
All’esito dell’udienza stessa, la deliberazione della sentenza, avuto riguardo alla molteplicità
delle questioni da decidere, è stata differita, ai sensi dell’art. 615, primo comma, cod. proc.
pen., al 7 novembre 2013.
CONSIDERATO IN DIRITTO
4. Tutti i ricorsi devono essere rigettati.

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merito: a) non sarebbero ravvisabili gli elementi costitutivi del reato associativo, non essendo

5. Per ragioni di ordine sistematico, appare opportuno procedere preliminarmente al vaglio
delle doglianze concernenti la denunciata inutilizzabilità dell’esito delle intercettazioni, dedotte,
sotto plurimi aspetti, da Volpicelli Elena, Mandato Gerardo, Formisano Antonella, De Matteo
Vincenzo (costoro con un unico atto di impugnazione), Nizza Salvatore, Ciotti Paolo e Pastore
Ben la mi no.
Trattasi di censure prive di fondamento.

compendio intercettativo, con argomentazioni che possono riassumersi come segue: a) le
intercettazioni erano state autorizzate in presenza di un quadro di indiscutibile gravità
indiziaria desumibile dalle investigazioni degli inquirenti espletate tra l’altro con servizi di
pedinamento ed osservazione (in occasione dei quali gli investigatori avevano anche potuto
percepire dialoghi, tra i soggetti sotto osservazione, aventi ad oggetto la progettazione di
azioni delittuose (pagg. 18-19 della sentenza), di tal che risultava destituita di fondamento
l’eccezione difensiva secondo cui l’attività di captazione sarebbe stata basata sostanzialmente
su fonte confidenziale; b) tutti i decreti autorizzativi risultavano adeguatamente motivati,
anche relativamente all’utilizzo di impianti diversi da quelli esistenti in Procura, e, a tale ultimo
riguardo, con specifico riferimento alla indisponibilità di tali impianti ed all’urgenza
dell’intercettazione (pag. 19 della sentenza).
Orbene, risulta dunque innanzi tutto smentita la deduzione difensiva secondo cui le
intercettazioni sarebbero state disposte unicamente sulla base di indicazioni fornite da fonte
confidenziale. I giudici di merito, in prima e seconda istanza, come appena ricordato, hanno
invero evocato – quanto al quadro indiziario, posto a base dell’autorizzata attività di captazione
(e messo in discussione dai ricorrenti) – l’esito dei continui servizi di pedinamento e diretta
osservazione svolti dagli investigatori, di cui alle informative di reato. Si è dunque in presenza,
nel caso in esame, di una situazione del tutto diversa rispetto a quella che si delinea
nell’ipotesi in cui l’informazione fornita alla Polizia dal confidente anonimo sia l’unico elemento
valutato ai fini degli indizi di reità: ed invero, ciò renderebbe il decreto autorizzativo illegittimo,
oltre che privo di motivazione, con conseguente inutilizzabilità, ex art. 271 c.p.p., comma 1,
delle intercettazioni così disposte. In definitiva, la regola che scaturisce dal combinato disposto
di cui agli artt. 203 e 267, comma 1 bis, c.p.p., è quella dell’inidoneità dell’informazione
assunta da confidente anonimo a essere “valutata” quale “unico” motivo per autorizzare
l’intercettazione; ne deriva che tale dato ben può essere “acquisito” dagli organi di polizia per
avviare l’attività investigativa o estenderne l’ambito per poi riferirne l’esito all’autorità
giudiziaria: e su tali ulteriori acquisizioni – e non sulla informazione del confidente che resta un
dato a sé stante – l’autorità giudiziaria fonda poi le proprie valutazioni finalizzate a disporre
mezzi di ricerca della prova, ivi comprese le intercettazioni telefoniche e/o ambientali. Mette
conto evidenziare che questa Corte, al riguardo, ha precisato quanto segue: «(…) l’art. 203
c.p.p impedisce, nel suo comma 1, “acquisizione” e “utilizzazione” dell’informazione anonima

5-

La Corte territoriale ha dato conto del proprio convincimento, circa la ritenuta utilizzabilità del

nel giudizio. Il comma 1 bis, stesso art. 203 c.p.p. poi non ne prevede – e ciò appare ovvio – il
divieto di “acquisizione” nella fase delle indagini, bensì vieta che l’intercettazione possa essere
disposta “soltanto” in base a informazioni confidenziali acquisite da organi di polizia» (in
termini, Sez. 6, n. 10051 del 03/12/2007 Ud. – dep. 05/03/2008; cfr. anche Sez. 4, n. 108 del
16/11/2007 Cc., dep. 04/01/2008).
Per quel che riguarda poi la ritualità dei decreti autorizzativi e di proroga, valgono le
considerazioni che seguono.

Corte territoriale ha ritenuto adeguata la motivazione dei relativi decreti autorizzativi, laddove
era stata evidenziata l’indisponibilità degli impianti stessi, e ravvisata l’urgenza nella necessità
di controllare l’attività delittuosa in corso e garantire il tempestivo intervento delle Forze
dell’Ordine. Ciò posto, sotto il primo aspetto, giova richiamare il consolidato indirizzo
interpretativo affermatosi nella giurisprudenza di questa Corte, ed avallato dalle Sezioni Unite,
secondo cui la motivazione del decreto autorizzativo dell’uso di impianti diversi da quelli in
dotazione agli uffici della Procura della Repubblica deve specificare la ragione della insufficienza
o della inidoneità di detti impianti, ed a tal fine deve ritenersi legittima anche una indicazione
sintetica, purché questa non si traduca nella mera riproduzione del testo di legge
(“insufficienza o inidoneità”), ma dia conto del fatto storico (quale appunto ben può essere la
“indisponibilità”) ricadente nell’ambito dei poteri di cognizione del P.M., che ha dato causa ad
essa (Sez. Un., N. 919/2004, Gatto, RV. 226487). Per quel che riguarda l’urgenza, anche sul
punto la Corte d’Appello si è posta in sintonia con la consolidata giurisprudenza di legittimità
essendo stato condivisibilmente affermato, e più volte ribadito, il seguente principio: “In tema
di intercettazioni, nel provvedimento del P.M. con il quale si dispone ad un tempo
l’intercettazione e la sua esecuzione mediante impianti in dotazione della polizia giudiziaria, la
motivazione circa la sussistenza della ‘urgenza’ ex art. 267 comma secondo cod. proc. pen.
può assorbire quella circa la sussistenza delle ‘eccezionali ragioni di urgenza’ ex art. 268,
comma terzo cod. proc. pen., ove le ragioni addotte ai fini dell’esigenza di attivare
immediatamente le operazioni di intercettazione appaiano incompatibili sia con la normale
procedura stabilita per l’autorizzazione dall’art. 267 cod. proc. pen., sia con l’attesa del
realizzarsi di una situazione di sufficienza ed idoneità degli impianti installati presso la Procura
della Repubblica” (in termini,

ex plurimis,

Sez. 6,

n.

2563

del

17/11/2004 Cc. –

dep. 27/01/2005 – Rv. 230882; conf. Sez. 6, n. 775 del 21/11/2006 Ud. – dep. 16/01/2007 Rv. 235803). Ed è stato altresì precisato che “in materia di intercettazione di conversazioni o
comunicazioni telefoniche, l’eventuale difetto di motivazione del decreto emesso in via
d’urgenza dal P.M. è sanato con l’emissione del decreto di convalida da parte del G.i.p., che
assorbe integralmente il provvedimento originario e rende utilizzabili i risultati delle operazioni
di intercettazione, precludendo ogni discussione sulla sussistenza del requisito dell’urgenza”
Sez. 6, n. 35930 del 16/07/2009 Ud. – dep. 16/09/2009 – Rv. 244872).
Infine, anche per quel che riguarda i decreti di proroga dell’attività di captazione, oggetto di

Quanto all’uso di impianti diversi da quelli esistenti negli uffici della Procura della Repubblica, la

doglianza perché caratterizzati da motivazione per relationem, le censure dei ricorrenti si
appalesano infondate alla luce dell’orientamento interpretativo delineatosi nella giurisprudenza
di questa Corte, efficacemente compendiato nel principio così massimato: «in tema di
intercettazioni, l’onere di motivazione dei decreti, sia di convalida di quelli emessi in via di
urgenza dal P.M., sia di proroga, è assolto anche “per relationem”, mediante il richiamo al
provvedimento del pubblico ministero e alle note di polizia, con implicito giudizio di adesione
ad essi, essendo preclusa al giudice l’integrazione di una motivazione mancante – intesa questa

ma non quella di una motivazione incompleta, insufficiente o inadeguata, emendabile dal
giudice al quale la doglianza venga prospettata, sia esso quello di merito, che deve utilizzare
gli esiti delle intercettazioni, o quello dell’impugnazione, nella fase di merito o in quella di
legittimità>> (Sez. 1, n. 9764 del 10/02/2010 Cc. – dep. 11/03/2010 – Rv. 246518).

6. Altra eccezione in rito è quella sollevata da Maiello Antonio il quale ha denunciato
inosservanza dell’art. 521 c.p.p., sotto il profilo della violazione del principio di correlazione
tra contestazione e sentenza, rilevabile, a suo avviso, dal raffronto tra la formulazione del
capo E) di imputazione, e la motivazione di cui a pag. 31 della sentenza impugnata, essendo
stata affermata la penale responsabilità del Maiello stesso con riferimento “all’operazione che
condusse al reperimento dei 50 pezzi di cocaina presso il sig. Crisci” (pag. 2 del ricorso),
mentre il rinvio a giudizio era stato disposto “per essersi ricevuto dal De Matteo Vincenzo
circa 50 pezzi di cocaina”, da immettere sul mercato, droga che non sarebbe stata mai
reperita dalla Polizia Giudiziaria (ancora pag. 2 del ricorso).
La deduzione difensiva è priva di fondamento posto che la formulazione del capo E) di
imputazione consentiva di individuare agevolmente il fatto contestato e di esercitare, di
conseguenza, il diritto di difesa in proposito, essendo stati imputati Crisci Antonio
(separatamente giudicato), De Matteo Vincenzo e Maiello Antonio di detenzione al fine di
vendita, in concorso tra loro nonché con condotte indipendenti, di cocaina in quantità
imprecisata ed approssimativamente indicata in “50 pezzi”: a pag. 32 della sentenza
impugnata la Corte distrettuale ha specificamente indicato il compendio probatorio acquisito a
carico del Maiello (e degli altri due coimputati) – in ordine all’illecito accordo stipulato richiamando esplicitamente il tenore delle conversazioni intercettate e l’esito del servizio di
appostamento predisposto dagli inquirenti. Nella giurisprudenza di legittimità è stato
condivisibilmente affermato che “il precetto dell’art. 521 primo comma, c.p.p., che enuncia il
principio della correlazione tra accusa e sentenza va inteso non in senso «meccanicistico
formale>>, ma in funzione della finalità cui è ispirato, quella cioè della tutela del diritto di
difesa; ne consegue che la verifica dell’osservanza di detto principio non può esaurirsi in un
mero confronto letterale tra imputazione e sentenza, occorrendo che ogni indagine in
proposito venga condotta attraverso l’accertamento della possibilità per l’imputato di
difendersi in relazione a tutte le circostanze del fatto” (in termini,

ex plurimis, Sez. 6, n.

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anche come motivazione solo apparente perché meramente riproduttiva del dato normativo –

618/96 – ud 8/11/95 – RV. 20337); ed è stato altresì precisato che “la mancata correlazione
tra contestazione e fatto ritenuto in sentenza si verifica solo quando si manifesti radicale
difformità tra i due dati, in modo che possa derivarne assoluta incertezza sull’oggetto della
imputazione, con conseguente pregiudizio dei diritti della difesa. Pertanto, l’indagine volta ad
accertare la eventuale sussistenza di tale violazione non può esaurirsi in un’analisi
comparativa, meramente letterale, tra imputazione e sentenza, dal momento che il contrasto
non sarebbe ravvisabile se l’imputato, attraverso l’iter del processo, fosse comunque venuto

termini, Sez. 5, n. 7583 del 11/06/1999 – Ud. 06/05/1999 n.01019 – Rv. 213645, imp. Grossi
L ed altri).

7. Esaurito l’esame delle eccezioni in rito, può ora procedersi al vaglio dei motivi concernenti
le statuizioni di merito di cui alla sentenza impugnata.

7.1. Volpicelli Elena, Mandato Gerardo, De Matteo Vincenzo, Piscopo Arpino, Nizza Salvatore,
Ciotti Emanuele e Sorice Paolo hanno censurato la ritenuta sussistenza del reato associativo e
l’affermazione di colpevolezza pronunciata nei loro confronti per essere stati ritenuti
responsabili dei reati loro ascritti; è stato altresì censurato il diniego della configurabilità
dell’ipotesi attenuata prevista dal sesto comma dell’art. 74 del d.P.R. n. 309/90; Coppola
Claudio, Pastore Beniamino e Maiello Antonio parimenti hanno formulato doglianze in ordine
alle valutazioni probatorie concernenti la ritenuta colpevolezza per i reati loro rispettivamente
ascritti; quanto a Formisano Antonella – ricorrente insieme alla Volpicelli, al Mandato ed al De
Matteo, con unico atto di impugnazione, come detto – non risultano dedotte specifiche
censure per la sua singola posizione, e possono quindi ritenersi riferibili alla stessa,
implicitamente e globalmente, le doglianze, sul piano dei criteri adottati dai giudici di merito
per le valutazioni probatorie, svolte (come per le deduzioni in rito relative alla eccepita
inutilizzabilità delle intercettazioni) per gli altri tre ricorrenti con il medesimo atto di
impugnazione.
Le doglianze non colgono nel segno.
La Corte distrettuale, a sostegno delle proprie statuizioni di merito, ha svolto argomentazioni
che possono così sintetizzarsi: a) l’acquisito compendio probatorio, costituito dal contenuto delle
conversazioni intercettate – nonchè dall’esito di operazioni investigative (diretta osservazione,
pedinamento, sequestro di droga) e dalle dichiarazioni accusatorie rese da Fortunato Ciro Paolo,
del tutto credibili all’esito del vaglio di attendibilità – consentiva di ritenere provata la
colpevolezza degli appellanti in ordine ai reati per i quali vi era stata condanna in primo grado;
b) risultavano pienamente sussistenti tutti i presupposti per la configurabilità del contestato
reato associativo, alla luce dei princìpi enunciati nella giurisprudenza di legittimità in materia,
ed in base alle circostanze fattuali risultate accertate ed al compendio probatorio acquisito;
c) non poteva ritenersi sussistente l’ipotesi attenuata di cui al comma sesto dell’art. 74 del
d.P.R. n. 309/90, ostandovi le modalità organizzative del sodalizio – spaccio attuato su una

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in concreto a trovarsi in condizione di difendersi in ordine all’oggetto della contestazione” (in

vasta area territoriale e ad un cospicuo numero di consumatori – nonché le diverse qualità di
droga oggetto del traffico (cocaina ed hashish) e la relativa quantità non modica come emerso
da alcune conversazioni intercettate (pag. 35 della sentenza); d) non poteva riconoscersi
l’attenuante della lieve entità del fatto di cui al quinto comma dell’art. 73 del d.P.R. n.309/90,
tenuto conto delle diverse qualità di droga trattata, del loro quantitativo e del contesto in cui
erano state perpetrate le condotte criminose, e nemmeno appariva configurabile l’attenuante
di cui all’art. 114 c.p., sollecitata dalla difesa del Pastore, “evidenziando le conversazioni

criminose” (così testualmente a pag. 35 della sentenza della Corte d’Appello); e) a parte le
parziali riforme in punto di pena in ordine alle posizioni degli imputati Fortunato Ciro Paolo,
Formisano Antonella, Piscopo Arpino e Volpicelli Elena, il trattamento sanzionatorio riservato
agli imputati dal primo giudice appariva del tutto condivisibile in relazione alle circostanze
oggettive e soggettive con riferimento ai parametri di cui all’art. 133 c.p.

7.2. Come si rileva dalla sentenza impugnata – la cui motivazione, sopra sinteticamente
richiamata, si integra con quella, ancor più articolata, di primo grado, formando un corpo
motivazionale unico per le parti in relazione alle quali si registra una “doppia conforme” – i
giudici di merito, sulla scorta del materiale probatorio acquisito, e non mancando di evocare i
princìpi enunciati in materia nella giurisprudenza di legittimità, hanno innanzi tutto ritenuto
pienamente sussistenti tutti i presupposti per la configurabilità del contestato reato
associativo essendo stata accertata in punto di fatto – attraverso l’attività di intercettazione
ed in base alle dichiarazioni auto ed etero-accusatorie rilasciate dal collaboratore Fortunato
Ciro Paolo – l’esistenza di una organizzazione tra più persone strutturata ed articolata con
suddivisione di compiti, finalizzata alla consumazione di reati di spaccio di stupefacenti di
diversa natura, caratterizzata dalla piena consapevolezza di ciascuno del proprio contributo
fornito all’organizzazione, all’interno della quale il Piscopo Arpino ricopriva il ruolo apicale,
basata su un rapporto stabile tra il De Matteo, il Fortunato Ciro Paolo ed il Piscopo, e tra
questi e la Volpicelli, il Ciotti, il Sorice, il Mandato ed il Nizza, nonché i minori Zarro Marco e
Miraglia Gianluca (giudicati separatamente).
La Corte d’Appello, richiamando a fini integrativi, come detto, la diffusa motivazione della
sentenza di primo grado, ha motivato in modo argomentato il giudizio di responsabilità degli
imputati in ordine al reato associativo (cfr. pagg. 25-28) anche con puntuali richiami ai princìpi
ormai consolidati nella giurisprudenza della Suprema Corte (sugli elementi sufficienti per la
configurazione dell’ associazione ex art 74 del d.P.R. n. 309/90, ovvero sulla sua integrazione
pure nel caso in cui al suo interno vi siano differenti interessi ovvero addirittura contrasti tra i
partecipi) ai quali si è poi attenuta per verificare nel caso di specie la sussistenza del reato. Giova,
in questa sede, ribadire in particolare, in diritto, tenuto anche conto dei motivi di gravame dei
ricorrenti, che ai fini della configurabilità dell’associazione finalizzata al traffico illecito di
sostanze stupefacenti ex art. 74 cit. non è richiesto un patto espresso fra gli associati, ben
potendosi desumere la prova del vincolo dalle modalità esecutive dei reati-fine, dalla loro

9

intercettate una paritaria condotta del prevenuto, essenziale alla realizzazione delle condotte

ripetizione ovvero dai rapporti tra gli autori, dalla ripartizione dei ruoli fra i vari soggetti in vista
del raggiungimento di un comune obiettivo (compravendita degli stupefacenti) e dall’esistenza
di una pur minima struttura organizzativa, indicativa della continuità temporale del vincolo
criminale. Pertanto, ciò che rileva non è un accordo consacrato in atti di costituzione o altre
manifestazioni di formale adesione, e neppure una “cassa comune” ma l’esistenza, di fatto, di una
struttura, anche non complessa in cui si innesta il contributo apportato dal singolo nella
prospettiva del perseguimento dello scopo comune.

persone accomunate dall’identico interesse di realizzazione del profitto societario, mediante il
commercio di droga, nonché nell’ipotesi di un vincolo che accomuna, in maniera durevole, il
fornitore di droga agli acquirenti che, in via continuativa, la ricevono per immetterla al
consumo. La diversità di scopo personale infatti – ha ripetuto la Corte di legittimità – non è per
nulla ostativa alla realizzazione del fine comune, che è quello di sviluppare il commercio degli
stupefacenti per conseguire sempre maggiori profitti. Nè l’associazione criminosa può essere
impedita dalla diversità dell’utile che i singoli partecipi si propongono di ricavare, oppure da un
contrasto degli interessi economici di essi, posto che nè l’una, nè l’altro sono di ostacolo alla
costituzione ed alla persistenza del vincolo associativo (in tali termini, ex plurimis, anche la
recente Sez. 6, n. 3509 del 10/1/2012; conforme Sez. 5, n. 1291 del 17/03/1997
Cc. – dep. 05/07/1997 – Rv. 208231, secondo cui “l’associazione per delinquere, finalizzata
al traffico di sostanze stupefacenti, è realizzata sia dalla unione di più persone che operano,
anche in via soltanto parallela, per la realizzazione di profitti con lo spaccio della droga, sia
dal vincolo che lega, anche oggettivamente, l’importatore-acquirente, che si adopera per
rifornire il mercato, in via continuativa, con la rete di piccoli spacciatori, purché tutti i soggetti
abbiano la consapevolezza di agire nell’ambito di una organizzazione, nella quale le attività
dei singoli si integrano strumentalmente per la finalità perseguita e purché l’acquirenterivenditore sia stabilmente disponibile, inoltre, a ricevere le sostanze stupefacenti con tale
continuità da proiettare il singolo atto negoziale oltre la sfera individuale, come elemento
della complessiva ed articolata struttura organizzativa”).

7.3. Parimenti infondato è il motivo relativo alla esclusione dell’ipotesi attenuata prevista
dall’art. 74, sesto comma, del d.P.R. n. 309/90, dedotto dai ricorrenti condannati per il reato
associativo. Tale norma stabilisce che l’ipotesi in argomento è configurabile allorquando
“l’associazione è costituita per commettere i fatti descritti dal comma 5 dell’art. 73 (….)”.
La riconducibilità dei fatti all’ipotesi attenuata prevista dall’art. 74, comma 6 cit. D.P.R.,
proposta dalla difesa nei motivi di appello, è stata espressamente esaminata dalla Corte
territoriale (pag. 35 della sentenza) che, dopo aver ricordato i princìpi enunciati al riguardo
nella giurisprudenza di legittimità, ha escluso la configurabilità dell’ipotesi in argomento in
base alle seguenti testuali considerazioni: “(

) nel caso di specie, se solo si volesse tener

conto delle modalità e circostanze dell’azione (spaccio continuato di sostanza stupefacente o
comunque organizzato ed attuato su una vasta area territoriale ad un cospicuo numero di

zro

(iCii

L’associazione de qua si configura, è stato altresì statuito, anche nel caso di condotte parallele, di

consumatori) certamente le stesse sarebbero preclusive dell’operatività dell’attenuante di cui
trattasi. Ma nella fattispecie ad escludere la

possibilità di concedere detta attenuante

concorrono anche la qualità di droga oggetto del traffico, cocaina e hashish e la quantità
certamente non modica trafficata dai prevenuti per come emerso da alcune conversazioni
intercettate”.
Orbene, si è in presenza di un percorso motivazionale che – avuto riguardo al dato ponderale,
all’elevato numero degli episodi di spaccio, all’attivismo degli associati, al rilevante numero dei

non mostra alcun vizio logico ed è conforme alla giurisprudenza di questa Corte. E’ infatti

ius

receptum che per valutare la configurabilità dell’attenuante stessa è necessario apprezzare il
contesto della complessiva attività e non già i singoli, distinti episodi di spaccio (Sez. 5, n.
31244 del 29 marzo 2001, Cerreoni ed altri): non è sufficiente, dunque, tener conto delle
quantità effettivamente scambiate, ma occorre far riferimento anche a quelle acquisite e
trattate dai partecipanti all’associazione (Sez. 6, n. 37983 del 16/03/2004 Ud.,
dep. 27/09/2004). Il legislatore ha delineato la fattispecie di cui al sesto comma dell’art. 74 del
d.P.R. n. 309/90 con l’esplicito riferimento al momento genetico dell’associazione, richiedendo
che essa sia “costituita” per commettere i reati descritti dal comma 5 dell’art. 73; ne deriva
che: a) è necessario che la “lieve entità” dello spaccio sia un elemento caratterizzante della
struttura associativa sin dalla sua nascita, sì da investire in primo luogo il momento
dell’approvvigionamento (che costituisce la fase iniziale ed imprescindibile) e,
conseguentemente, quello dello spaccio; b) poiché quello di cui all’art. 74 del d.P.R. n. 309/90
è, come tutte le fattispecie associative, un reato di pericolo è di tutta evidenza che il maggiore
o minore grado di pericolosità dell’associazione non possa essere legato solo ai singoli episodi
di cessione accertati in concreto, ma deve tener conto della potenzialità dell’organizzazione di
procurarsi quantitativi rilevanti. In tal senso ha avuto modo di esprimersi questa Corte anche
in epoca recente: “l’ipotesi associativa prevista dal comma sesto dell’art. 74 d.P.R. n. 309 del
1990 richiede, quale imprescindibile condizione, che tutte le singole condotte commesse in
attuazione del programma criminoso siano sussumibili nella fattispecie dei fatti di lieve entità e
di minima offensività previsti dall’art. 73, comma quinto, del medesimo d.P.R. n. 309. (In
applicazione del principio, la Corte ha escluso detta ipotesi in un caso in cui le sole condotte di
spaccio potevano essere considerato di lieve entità, ma non altrettanto quelle di acquisto ai fini
dell’approvvigionamento dello stupefacente a beneficio degli associati)” [in termini, Sez. 1
n. 4875 del 19/12/2012 Ud. – dep. 31/01/2013 – Rv. 254194; nello stesso senso, Sez. 6,
n. 37983 del 16/03/2004 Ud. – dep. 27/09/2004 – Rv. 230372, già sopra citata].
Mette conto sottolineare infine che nella sentenza di primo grado – che, come detto, integra
quella di appello in ordine alle questioni sulle quali è stata registrata una doppia conforme risultano evocati specifici episodi che, per la loro oggettività, risultano all’evidenza ostativi alla
configurabilità della fattispecie (la cui autonomia è stata sottolineata nei motivi nuovi depositati
nell’interesse del Piscopo) contemplata nell’art. 74, sesto comma, del d.P.R. n., 309/90: alle

4

-(

AAA(wn

tossicodipendenti riforniti, alla diversa tipologia delle sostanze trattate (hashish e cocaina) –

ore 20:50:07 del 6 dicembre 2003 (pag. 30 della sentenza di primo grado), il Piscopo rifornisce
la Volpicelli consegnandole cinque “pezzi” di quello “buono” per il prezzo di euro 350,00
(somma che, ex se, non consente certo di riconoscere connotazioni di “lievità” all’episodio);
alle ore 12:01 del 16 dicembre 2003 (pag. 52 della sentenza) la Volpicelli raccoglie tra i ragazzi
la somma di euro 425,00 che deve consegnare al fornitore; il riferimento alla vendita di
“partite” di droga (hashish e cocaina) assegnate alla Volpicelli per lo spaccio su strada (pag. 60
della sentenza); l’accenno da parte di Elena (la Volpicelli) ad un ipotizzato guadagno di 800,00

7.4. Né è dato cogliere connotazioni di illogicità e/o contraddittorietà nel percorso seguito
dalla Corte distrettuale relativamente alle valutazioni probatorie. L’esito delle intercettazioni
è stato esaminato accuratamente, anche con riferimento al significato da attribuire al tenore
delle conversazioni captate, ed è stato altresì vagliato richiamando esplicitamente plurime
conversazioni singolarmente indicate, sottolineando che trattavasi di “pregnante elemento
autonomo di prova, oltre che di riscontro dell’attendibilità del collaboratore”.
Solo formalmente i ricorrenti sopra indicati hanno dedotto, come motivi delle loro
impugnazioni, il vizio di manifesta illogicità della motivazione della decisione gravata; essi
non hanno prospettato alcuna reale contraddizione logica, intesa come implausibilità delle
premesse dell’argomentazione, irrazionalità delle regole di inferenza, ovvero manifesto ed
insanabile contrasto tra quelle premesse e le conclusioni. Nè è stata lamentata una
incompleta descrizione degli elementi di prova rilevanti per la decisione, intesa come
incompletezza dei dati informativi desumibili dall’incarto processuale. I ricorrenti, invero, si
sono limitati a criticare il significato che la Corte di appello di Napoli aveva dato al contenuto
delle emergenze acquisite durante l’istruttoria dibattimentale di primo grado e, in specie, al
tenore delle conversazioni intercettate durante la fase delle indagini. E mette conto
sottolineare che i ricorrenti, lungi dal proporre un “travisamento delle prove”, vale a dire una
incompatibilità tra l’apparato motivazionale del provvedimento impugnato ed il contenuto
degli atti del procedimento – tale da disarticolare la coerenza logica dell’intera motivazione hanno in realtà prospettato un’ipotesi di “travisamento dei fatti”, sollecitando
un’inammissibile rivalutazione dell’intero materiale d’indagine, rispetto al quale è stata
proposta una spiegazione alternativa rispetto a quella privilegiata dalla Corte territoriale
nell’ambito di un sistema motivazionale logicamente completo ed esauriente.
Di tal che, non vi è motivo di discostarsi dal consolidato indirizzo interpretativo secondo il
quale, a seguito delle modifiche dell’art. 606 cod. proc. pen., comma 1, lett. e), ad opera
della L. 20 febbraio 2006, n. 46, art. 8, mentre è consentito dedurre con il ricorso per
cassazione il vizio di “travisamento della prova”, che ricorre nel caso in cui il giudice di merito
abbia fondato il proprio convincimento su una prova che non esiste o su un risultato di prova
obiettivamente ed incontestabilmente diverso da quello reale, non è affatto permesso dedurre
il vizio del “travisamento del fatto”, essendo preclusa al giudice di legittimità la possibilità di
sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei

euro (pag. 70 della sentenza).

precedenti gradi di merito: ed invero, in tal caso, si richiederebbe alla Cassazione
un’inammissibile reinterpretazione degli elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini
della decisione (così, tra le tante, Sez. 3, n. 39729 del 18/06/2009, Belluccia, Rv. 244623;
Sez. 5, n. 39048 del 25/09/2007, Casavola, Rv. 238215). Il che si verifica, a maggior
ragione, allorquando con l’impugnazione venga prospettato un mero problema di
interpretazione delle frasi e del linguaggio usato dai soggetti interessati alle conversazioni
intercettate, trattandosi di questione di fatto, rimessa all’apprezzamento del giudice di

valutazione risulta logica in rapporto alle massime di esperienza utilizzate (così, ex plurimis,
Sez. 6, n. 17619 del 08/01/2008, Gionta, Rv. 239724). La motivazione contenuta nella
sentenza impugnata possiede, dunque, una stringente e completa capacità persuasiva, nella
quale non sono riconoscibili vizi di illogicità, avendo la Corte partenopea analiticamente e
convincentemente spiegato le ragioni per le quali le conversazioni captate dagli inquirenti
dovessero ritenersi idonee a provare la sussistenza degli elementi costitutivi della fattispecie
criminosa ipotizzata, ed il coinvolgimento degli imputati nelle vicende delittuose loro
rispettivamente ascritte; ed avendo altresì sottolineato come i colloqui captati dagli inquirenti
avessero permesso di lumeggiare le figure ed i ruoli degli associati (le cui posizioni sono state
singolarmente esaminate dalla Corte territoriale, con l’indicazione degli elementi probatori
riferibili a ciascuno dei ricorrenti) ed individuare – anche per gli imputati condannati non per il
reato associativo ma per violazione dell’art. 73 del d.P.R. n. 309/90 (Formisano, Maiello,
Pastore, Coppola) – l’oggetto delle conversazioni ravvisabile nelle illecite attività concernenti
gli stupefacenti (le singole posizioni risultano analiticamente esaminate da pag. 27 a pag. 36
della sentenza impugnata).
La Corte distrettuale nemmeno si è sottratta al vaglio di attendibilità delle dichiarazioni
accusatorie rese da Fortunato Ciro Paolo, laddove (pag. 24 della sentenza impugnata) ha
evidenziato la spontaneità di tali propalazioni, la coerenza interna ed esterna mostrata
nell’esposizione degli episodi e delle circostanze che avevano visto coinvolto il Fortunato ricche di dettagli e riferimenti a fatti obiettivamente accertabili nel loro sviluppo logico e
cronologico – ed ha sottolineato come tali dichiarazioni avessero trovato pieno riscontro nelle
conversazioni ambientali intercettate nonché nei servizi di appostamento ed accertamento
effettuati dalla P.G. il cui esito era stato riferito in dibattimento dai verbalizzanti.

7.5. Il Pastore ed il Ciotti hanno inoltre dedotto vizio di motivazione con specifico riferimento
alla loro individuazione. Orbene, anche al riguardo si tratta di doglianze prive di fondamento,
avendo la Corte territoriale dato esauriente e convincente risposta – ancorata rigorosamente
alle risultanze probatorie – alla questione sollevate in proposito dai due imputati.
Quanto al Ciotti, lo stesso risultava indicato come Paolo nelle varie conversazioni intercettate
“che fotografavano la cessione in atto delle sostanze stupefacenti”, e contestualmente
indicato anche come “marpione”: soprannome noto alle Forze dell’Ordine, e riportato anche
nel verbale di identificazione sottoscritto dall’imputato (pag. 30 della sentenza); peraltro, la

1

1/A2 Ut-In

merito, che si sottrae al giudizio di legittimità se – come nella fattispecie è accaduto – la

deposizione dell’Ispettore Carbone – il quale, a riscontro della conversazione del 28 dicembre
2003 svoltasi all’interno dell’auto della Volpicelli tra Emanuele Zarro e “marpione”, aveva
constatato la presenza di Zarro, Sorice e Ciotti – non lasciava nessun margine di dubbio sul
punto (cfr. pag. 30 della sentenza d’appello).
Per quel che riguarda l’individuazione del Pastore, soprannominato “beccheriello”, la Corte
distrettuale ha sottolineato che trattavasi di nomignolo noto agli inquirenti ed ha
espressamente richiamato significative conversazioni intercettate che “fotografavano” in

109 che fotografa analoga attività avente ad oggetto hashish, svolta da Adamo e Pastore che
peraltro riceve una panella di 250 gr. per lo spaccio al minuto e le istruzioni per tagliarla in
“lingue”» (così testualmente a pag. 35 della sentenza impugnata).
8. Parimenti prive di fondamento risultano le residue doglianze formulate in ordine al

trattamento sanzionatorio.
8.1. Quanto al Nizza, questi non aveva formulato doglianze in ordine all’entità della pena con i

motivi di appello (come si rileva dal loro esame): di tal che, la censura svolta al riguardo con il
ricorso è inammissibile perché concernente questione nuova, sollevata in questa sede per la
prima volta; giova peraltro evidenziare, ad abundantiam, che il primo giudice, nel determinare
la pena per i singoli imputati, aveva esplicitamente richiamato i parametri di cui all’art. 133
c.p., e la Corte d’Appello, per gli imputati per i quali ha confermato la pena inflitta in primo
grado, ha ritenuto la pena stessa equa e proporzionata.
8.2. Pastore Beniamino ha denunciato vizio di motivazione circa il diniego dell’attenuante

dell’ipotesi lieve prevista dall’art. 73, comma quinto, del d.P.R. n. 309/90 nonché di quella
della minima partecipazione al fatto ex art. 114 c.p. Le censure sono infondate. Ed invero, la
Corte d’Appello ha reso adeguata motivazione in ordine ad entrambe le questioni:
1) insussistenza delle condizioni per la configurabilità dell’ipotesi lieve, avuto riguardo alle
diverse qualità di sostanza stupefacente trattata (cocaina ed hashish), al dato ponderale (in
particolare una “panella” di hashish di 250 grammi), al contesto in cui erano state perpetrate
le condotte criminose: motivazione che si pone del tutto in sintonia con i princìpi enunciati in
materia da questa Corte secondo cui “la circostanza attenuante speciale del fatto di lieve entità
di cui all’art. 73, comma quinto, D.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309 (testo unico delle leggi in
materia di disciplina degli stupefacenti), può essere riconosciuta solo in ipotesi di minima
offensività penale della condotta, deducibile sia dal dato qualitativo e quantitativo, sia dagli
altri parametri richiamati dalla disposizione (mezzi, modalità, circostanze dell’azione), con la
conseguenza che, ove venga meno anche uno soltanto degli indici previsti dalla legge, diviene
irrilevante l’eventuale presenza degli altri. (Fattispecie nella quale è stato ritenuto sufficiente
ad escludere l’attenuante in questione il dato quantitativo della sostanza stupefacente
detenuta)” [in termini, Sez. Un., n. 17 del 21/06/2000 Ud. – dep. 21/09/2000 – Primavera,
Rv. 216668; conf., Sez. Un. 35737 del 24/06/2010 Ud., dep. 05/10/2010]; 2) diniego
dell’invocata attenuante di cui all’att. 114 c.p., avendo le conversazioni intercettate evidenziato

/(

A

diretta l’attività illecita svolta dal Pastore: in particolare «la conversazione del 27.2.2004 n.

i

una paritaria condotta del Pastore, essenziale alla realizzazione delle condotte criminose.
8.3. Coppola Claudio ha denunciato vizio di motivazione quanto al diniego dell’ipotesi lieve di
cui al quinto comma dell’art. 73 del d.P:R. n. 309/90 e relativamente all’entità della pena.
Orbene, quanto all’attenuante dell’ipotesi lieve, non rileva che la Corte territoriale non abbia
svolto specifiche argomentazioni al riguardo, valendo all’evidenza, anche per il Coppola, le
considerazioni svolte dalla Corte stessa per il Pastore, trattandosi di posizioni identiche in
relazione alla stessa imputazione (reato D): ai due, il primo giudice aveva riservato il

che la doglianza del Coppola in proposito risulta infondata anche alla luce delle circostanze
fattuali accertate, oggettivamente incompatibili con le connotazioni di lievità richieste ai fini
della configurabilità dell’attenuante “de qua”; il Tribunale, invero, aveva dato atto (pag. 166
della sentenza) dell’accertata colpevolezza del Coppola in relazione ad almeno due episodi (20
febbraio 2004: cocaina, episodio richiamato come descritto alla relativa sezione al punto 1.3, a
pagina 144; 1° marzo 2004: hashish, episodio richiamato come descritto alla relativa sezione
al punto 7, alle pagine 148-149, concernente il ritiro delle 4 “panelle”).
8.3.1. Per quel che riguarda l’entità della pena, mette conto sottolineare che già il Tribunale,
applicando la più favorevole disciplina sopravvenuta con la legge n. 49 del 2006, aveva
individuato per il Coppola (così come per il Pastore) la pena base detentiva nel minimo edittale
di anni sei di reclusione e quella base pecuniaria in euro 27.000,00 di multa (dunque, di poco
superiore al minimo di 26.000,00 euro), diminuendola ad anni quattro e mesi due di reclusione
ed euro 18.000,00 di multa per effetto delle concesse attenuanti generiche, ed apportando
infine un contenuto aumento per la continuazione così pervenendo a quella finale inflitta di
anni quattro e mesi sei di reclusione ed euro 20.000,00 di multa. Donde la infondatezza anche
della doglianza concernente la dosimetria della pena, essendo state concesse al Coppola le
attenuanti generiche e determinata la pena base nel minimo edittale, quanto a quella
detentiva, ed in misura di poco superiore al minimo, quanto a quella pecuniaria.
8.4. Maiello Antonio ha censurato il trattamento sanzionatorio sotto il duplice profilo dell’entità
della pena e del bilanciamento tra le circostanze. Si tratta di doglianze che non hanno pregio,
avendo la Corte territoriale richiamato e condiviso le considerazioni svolte sul punto dal
Tribunale il quale aveva motivatamente negato al Maiello le attenuanti
generiche – evidenziando la “preoccupante personalità sociale” dell’imputato “attestata dalla
lettura del certificato penale” – determinando la pena in anni otto di reclusione ed euro
30.000,00, così senza discostarsi di molto dal minimo edittale con riferimento alla più
favorevole forbice sanzionatoria introdotta con la legge n. 49 del 2006.
8.5. Fortunato Ciro Paolo ha anch’egli dedotto doglianze circa l’entità della pena: orbene, il
ricorrente ha svolto al riguardo argomentazioni alquanto generiche, ai limiti della
inammissibilità, a fronte della statuizione della Corte territoriale che, in accoglimento di uno
specifico motivo di appello, ha riconosciuto al Fortunato anche l’attenuante prevista dall’art.
74, settimo comma, del d.P.R. n. 309/90 – per l’apporto collaborativo fornito dall’imputato agli

/U902M9

medesimo trattamento sanzionatorio poi confermato dalla Corte d’Appello. A ciò aggiungasi

:

inquirenti – così diminuendo sensibilmente la pena inflitta dal primo giudice, in virtù del
giudizio di prevalenza dell’attenuante stessa e delle attenuati generiche (già riconosciute con la
sentenza di primo grado) sulle aggravanti contestate.
Mette conto sottolineare, a conclusione del vaglio delle doglianze relative all’entità della pena,
che, secondo il consolidato indirizzo interpretativo di questa Corte, non sono censurabili in
sede di legittimità gli apprezzamenti e le valutazioni del giudice del merito concernenti il
trattamento sanzionatorio, se il convincimento espresso al riguardo risulta sorretto da

aveva valutato le circostanze e le modalità del fatto, nonché la personalità degli imputati,
esplicitamente evocando i parametri indicati nell’art. 133 del codice penale, e la Corte di merito
ha richiamato espressamente tale motivazione (pag. 35 della sentenza d’appello).
8.6. Piscopo Arpino, infine, con i motivi subordinati ha contestato la ritenuta aggravante del
numero di persone superiore a dieci, nonché l’applicazione in concreto della recidiva
evidenziandone la natura facoltativa.
Deve sottolinearsi in proposito che si tratta di questioni non dedotte con i motivi di appello
presentati dall’avv. Andrea De Longis (come è stato possibile rilevare prendendo visione degli
stessi nonché di una memoria difensiva del medesimo legale pure depositata per il giudizio di
appello) – e sollevate quindi per la prima volta in questa sede con il ricorso: ne deriva
l’inammissibilità di tali motivi, involgendo essi aspetti valutativi di merito e non rientrando
quindi nel novero delle questioni indicate nell’art. 609, comma 2, cod. proc. pen., che questa
Corte avrebbe potuto esaminare di ufficio; è stato condivisibilmente enunciato nella
giurisprudenza di legittimità il seguente principio: «In tema di ricorso per Cassazione, è
consentito superare i limiti del “devolutum” e dell’ordinata progressione dell’impugnazione
soltanto per le violazioni di legge che non sarebbe stato possibile dedurre in grado di appello,
come nell’ipotesi di “ius superveniens”, e per le questioni di puro diritto, sganciate da ogni
accertamento del fatto, rilevabili di ufficio in ogni stato e grado del giudizio. Non sono
proponibili per la prima volta in cassazione, invece, le questioni giuridiche che presuppongono
un’indagine di merito che, incompatibile con il sindacato di legittimità, deve essere richiesta o
almeno prospettata nella sua sede naturale. La mancata devoluzione di siffatta questione in
sede propria preclude ogni successiva doglianza e rende intangibile la decisione formatasi sul
punto o capo, poi investito dal ricorso» (in termini, Sez. 5, n. 9360 del 24/04/1998 Ud. dep. 13/08/1998 – Rv. 211441;cfr. al riguardo, anche Sez. 4, n. 4853 del 03/12/2003 Ud. dep. 06/02/2004 – Rv. 229373, con la quale è stato tra l’altro precisato che le questioni di
diritto sostanziale possono essere sollevate per la prima volta davanti alla Corte di
cassazione – così venendo meno la preclusione per le violazioni di legge non dedotte con i
motivi di appello – sempre che si tratti di deduzioni di pura legittimità o di questioni di puro
diritto insorte dopo il giudizio di secondo grado in forza di “ius superveniens” o di modificazione
della disposizione normativa di riferimento conseguente all’intervento demolitorio o additivo
della Corte costituzionale). Giova peraltro evidenziare, “ad abundantiam”, che l’eccezione

/fg-

i4A-19it/(A.

adeguato percorso argomentativo; orbene, nella concreta fattispecie, il giudice di prima istanza

relativa all’aggravante del numero di persone risulta anche priva di fondamento posto che nel
capo di imputazione sub A) figurano indicati 11 imputati dovendo tra questi annoverarsi anche
i tre imputati giudicati separatamente, vale a dire il Crisci e due minori (per i minori si veda
pag. 26 della sentenza di secondo grado), senza tener conto della Formisano in quanto poi
assolta.

9. Segue, per legge, la condanna di tutti i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Roma, 7 novembre 2013

Il Presidente

Il Co sigliere estensore
(V ncenzo Romis
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(Carlo

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CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
IV Sezione Penale

seje Brusco)

P. Q. M.

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