Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 49742 del 15/10/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 49742 Anno 2013
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: ROMIS VINCENZO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
LO GIUDICE GIUSEPPE N. IL 02/08/1982
avverso la sentenza n. 504/2011 CORTE APPELLO di
CALTANISSETTA, del 26/06/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 15/10/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. VINCENZO ROMIS
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
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che ha concluso per ‘ A

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Udito, p a parte
Ui idifensofAvv.

ile, l’Avv

Data Udienza: 15/10/2013

RITENUTO IN FATTO

1. Il GUP del Tribunale di Enna, all’esito di giudizio celebrato con il rito abbreviato,
condannava alle rispettive pene ritenute di giustizia Lo Giudice Giuseppe e Patti Angelo per
violazione della legge sugli stupefacenti, ritenuta sussistente l’ipotesi della lieve entità del fatto
prevista dal quinto comma dell’art. 73 del d.P.R. n. 309/90.
Secondo l’ipotesi accusatoria, fatta propria dal giudicante con la decisione di cui sopra, il fatto

in transito sull’autostrada Palermo-Catania erano stati superati, in località Cinque Archi,
dall’automobile Fiat Panda condotta da Lo Giudice Giuseppe, seguita a breve distanza
dall’autocarro Piaggio Porter condotto da Perri Salvatore che aveva come passeggero Patti
Angelo; i due mezzi, lasciata l’autostrada, avevano impegnato la SP che conduce a
Barrafranca (EN); durante tale tragitto i due mezzi si erano alternati nella marcia a mo’ di
staffetta; giunti in località Bubbutello, territorio di Barrafranca, gli Agenti avevano fermato i
due mezzi procedendo quindi alla perquisizione di essi; nel corso di tale operazione, il Perri
aveva rivolto al Patti l’invito a non parlare perchè nulla gli sarebbe successo; a sua volta, il Lo
Giudice, sceso dalla sua autovettura, aveva dichiarato, senza che gli fosse stata rivolta alcuna
domanda, di non conoscere le due persone che viaggiavano sull’autocarro Porter; la
perquisizione aveva avuto esito parzialmente positivo perché sotto il tappetino anteriore della
Fiat Panda era stata rinvenuta una busta di plastica contenente foglie, rametti, e semi
risultati poi essere frammenti di piante di marijuana, il tutto per il peso complessivo di
gr.123, pari a 125 dosi ricavabili; negativo era stato, invece, l’esito delle perquisizioni
condotte nelle abitazioni di tutte e tre le persone.

2. Avverso tale decisione proponevano appello i condannati, i quali, tramite i loro difensori,
chiedevano l’assoluzione con formula piena perché il fatto non sussiste e, in subordine, la
concessione delle circostanze attenuanti generiche ed un trattamento sanzionatorio più
favorevole; il Patti sollecitava inoltre la concessione del beneficio della sospensione
condizionale della pena.

3. La Corte d’Appello di Caltanissetta, concedeva il beneficio della sospensione condizionale
della pena al Patti, e, disattendendo tutte le altre questioni poste dagli appellanti, confermava
nel resto l’impugnata decisione.

4. Ricorre per cassazione il Lo Giudice, reiterando le tesi difensive già sottoposte al giudice
dell’appello, e sottolineando in particolare, quanto all’affermazione di colpevolezza, che la
Corte territoriale avrebbe errato nel non tenere nella dovuta considerazione lo stato di
tossicodipendenza del Lo Giudice il quale avrebbe dunque detenuto la droga non per

AP°

si era svolto secondo la seguente dinamica: il 12.1.2007 Agenti della Squadra Mobile di Enna

destinarla ad attività di spaccio bensì quale scorta per farne uso personale; il ricorrente
denuncia poi vizio di motivazione in ordine al trattamento sanzionatorio, con riferimento al
diniego delle attenuanti generiche, all’entità della pena ed alla mancata concessione del
beneficio della sospensione condizionale della pena.

CONSIDERATO IN DIRITTO

5.1. La Corte territoriale, quanto alla ritenuta colpevolezza del Lo Giudice, ha valorizzato le
circostanze fattuali emerse nella fase delle indagini, con particolare riferimento al quantitativo
della droga, ai dati logistici ed a quanto percepito dai verbalizzanti per diretta osservazione: il
Lo Giudice era stato trovato in possesso di marijuana in quantità pari a 123 grammi da cui
sarebbe stato possibile ricavare 125 dosi, dato ponderale da considerare già di per sé
incompatibile con la destinazione dello stupefacente ad esclusivo uso personale e tale da
rendere invece del tutto fondata la prospettazione accusatoria del fine di spaccio; il Lo
Giudice svolgeva un lavoro saltuario di manovale, ed anche tale circostanza rendeva poco
credibile l’ipotesi di un approvvigionamento che avrebbe richiesto la disponibilità di una
somma di denaro certamente non modesta; non risultava che il Lo Giudice fosse un abituale
consumatore di stupefacenti.
Orbene, le censure dedotte dal ricorrente – come si rileva agevolmente dal tenore della loro
formulazione – risultano ripetitive delle tesi già proposte in appello, e/o concernenti
apprezzamenti di merito non deducibili in questa sede avendo la Corte di merito dato
adeguatamente conto del proprio convincimento con le argomentazioni sopra ricordate che
risultano prive di qualsiasi connotazione di illogicità. Giova sottolineare che, secondo il
consolidato indirizzo interpretativo di questa Corte, “è inammissibile il ricorso per cassazione
fondato su motivi che ripropongono le stesse ragioni già discusse e ritenute infondate dal
giudice del gravame, dovendosi gli stessi considerare non specifici. La mancanza di specificità
del motivo, invero, dev’essere apprezzata non solo per la sua genericità, come
indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla
decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, questa non potendo
ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità
conducente, a mente dell’art. 591 comma 1 lett. c), all’inammissibilità” (in termini, Sez. 4, n.
5191 del 29/03/2000 Ud. – dep. 03/05/2000 – Rv. 216473; conf.

Sez.

5, n.11933 del

27/01/2005, dep. 25/03/2005, Rv. 231708).
Rileva il Collegio che nella concreta fattispecie legittimamente la Corte distrettuale ha ritenuto
versarsi in ipotesi di detenzione illecita di sostanza stupefacente, punibile ai sensi dell’art. 73
del d.P.R. n. 309/90.
Mette conto sottolineare che le innovazioni di cui alla legge n. 49 del 2006 non hanno

3

P/t/01/u-

5. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile per le ragioni di seguito indicate.

modificato il quadro normativo precedente, quanto alla configurazione della detenzione per
uso di terzi come elemento costitutivo del reato; ed invero, l’art. 73, comma 1 bis, del d.P.R.
n. 309/90 – introdotto con la citata legge – si limita ad indicare alcuni elementi sintomatici dai
quali può trarsi la conclusione che la sostanza non era destinata ad uso esclusivamente
personale: tra questi elementi sintomatici vengono in considerazione anche le circostanze
dell’azione e le modalità della custodia della sostanza. Insomma, la nuova disposizione, sia
pure con una formulazione atipica (perché ha inserito in una norma sostanziale criteri di

giurisprudenza si avvaleva per individuare i criteri sintomatici della destinazione allo spaccio
delle sostanze stupefacenti.
Dunque, in relazione alle situazioni nelle quali l’uso della sostanza stupefacente non è ancora
avvenuto è richiesto al giudice di determinare quale fosse la finalità della detenzione. Si tratta
di un’indagine concernente quello che sarebbe stato l’uso futuro dello stupefacente detenuto,
e cioè il progetto presente nella mente dell’agente. Essendo quindi in questione un
atteggiamento interiore non ancora manifestatosi con dati oggettivi, la sua ricostruzione non
può che avvenire in chiave prevalentemente indiziaria, e, quindi, mediante la valutazione di
tutte le contingenze del caso concreto.
I giudici di merito si son posti il problema della destinazione della droga detenuta
dall’imputato e, pur a fronte delle allegazioni difensive circa l’asserito stato di
tossicodipendenza dell’imputato, sono pervenuti alla conclusione che la droga detenuta era,
quanto meno in parte, destinata ad attività di spaccio. Orbene, si tratta di valutazione di
merito che – in quanto ancorata ad un percorso argomentativo privo di qualsiasi
connotazione di illogicità, in sintonia con i consolidati princìpi di diritto enunciati nella
giurisprudenza di legittimità, nonchè fondata su significative emergenze probatorie – si
sottrae alle dedotte censure la cui connotazione di manifesta infondatezza risulta pertanto
palese.
5.2. Per quel che riguarda il trattamento sanzionatorio, i giudici di seconda istanza hanno
dato conto del proprio convincimento in proposito con argomentazioni che possono così
sintetizzarsi: il Lo Giudice non appariva meritevole delle attenuanti generiche avuto riguardo
alla gravità del fatto desumibile dalle circostanze fattuali rivelatrici di una adeguata
conoscenza del mondo dei fornitori di droga e di una condotta illecita svolta con abitualità;
anche la pena inflitta dal primo giudice doveva ritenersi congrua ed adeguata tenuto conto
dei criteri indicati nell’art. 133 c.p. in relazione all’entità del fatto ed alla personalità del Lo
Giudice gravato da una recente condanna; non erano ravvisabili elementi per un giudizio
prognostico favorevole, ai fini della concessione della sospensione condizionale della pena,
risultando incompatibili con tale beneficio il precedente a carico dell’imputato e le modalità
del fatto. Appare all’evidenza che si tratta di un percorso motivazionale privo di qualsiasi
profilo di illogicità e rigorosamente ancorato alle risultanze processuali, con riferimento alle

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/m)UAS)

valutazione della prova), ha in buona sostanza ripetuto i criteri di cui già in precedenza la

circostanze oggettive ed alla personalità dell’imputato: percorso motivazionale che non risulta
minimamente scalfito dalle deduzioni del ricorrente, peraltro del tutto generiche ed assertive.

6. Alla declaratoria di inammissibilità segue, per legge, la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali, nonchè (trattandosi di causa di inammissibilità
riconducibile alla volontà, e quindi a colpa, della ricorrente: cfr. Corte Costituzionale, sent. N.
186 del 7-13 giugno 2000) al versamento a favore della cassa delle ammende di una somma

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali
e della somma di euro 1000,00 in favore della cassa delle ammende.
Roma, 15 ottobre 2013

Il Presidente

Il Co igliere estensore
(Vi enzo Romis)

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lA
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
IV Sezione Penale

che si ritiene equo e congruo determinare in euro 1000,00 (mille).

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