Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 49734 del 26/11/2013


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 49734 Anno 2013
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: ZAMPETTI UMBERTO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA
nei confronti di:
AUDINO DOMENICO N. IL 29/07/1976
avverso il decreto n. 1528/2013 GIUD. SORVEGLIANZA di
NOVARA, del 04/04/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. UMBERTO ZAMPETTI;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott.
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a c/ttl’e,t” CU< Gt geall4 e- Ft2 1 Uditi difensor Avv.; zi2. (1.-; - Data Udienza: 26/11/2013 Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza in data 04.04.2013 il Magistrato di Sorveglianza di Novara accoglieva il reclamo proposta da Domenico Audino, detenuto sottoposto al regime previsto dall'art. 41 bis Ord. Pen., avente ad oggetto la possibilità di fruire di un colloquio con i familiari prolungato fino a due ore, risiedendo gli stessi fuori comune, alle condizioni di cui all'art. 37 DPR 230/2000.Rilevava invero detto magistrato, dapprima -premessi i principi in materia quali Corte europea- che il reclamo era ammissibile, involgendo posizioni soggettive tutelabili; osservava poi, nel merito, come il reclamo fosse fondato, così respingendo anzitutto le osservazioni della Direzione della Casa Circondariale secondo cui si trattava di materia di competenza ministeriale; poiché nell'art. 41 bis Ord. Pen. non è dato rinvenire una regolamentazione specifica per i detenuti soggetti a tale regime, si doveva applicare anche a costoro la possibilità di colloqui prolungati ai sensi ed alle condizioni di cui al cit. art. 37.2. Avverso tale ordinanza proponeva ricorso per cassazione il Ministero della Giustizia, Amministrazione Penitenziaria, che, con atto dell'Avvocato Distrettuale dello Stato, deduceva violazione di legge argomentando -in sintesi- nei seguenti termini : il provvedimento impugnato faceva erronea applicazione degli art. 41 bis Ord. Pen. e 37 del relativo regolamento, posto che con la novella di cui alla L. 94/2009 la materia dei colloqui e delle sue restrizioni era rimessa, per i detenuti sottoposti a tale regime, a determinazione ministeriale; non residuava pertanto né discrezionalità per il Direttore dell'Istituto, né potere di dare disposizioni contrarie in capo al Magistrato di Sorveglianza.3. Il Procuratore Generale presso questa Corte, nella sua requisitoria scritta, ha chiesto l'annullamento senza rinvio dell'ordinanza impugnata.Al riguardo si fa rilevare, infatti, che correttamente il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria denuncia l'illegittimità dell'ordinanza impugnata, fondata su l'erronea applicazione dell'art. 41 bis Ord. Pen. e dell'art. 37, comma 10, del D.P.R. n. 230/2000, evidenziando al riguardo, con diffuse argomentazioni, che la decisione impugnata si sostanzia in un "ribaltamento del rapporto tra regola ed eccezione".In particolare da parte del requirente si sostiene che la disposizione in tema di colloqui contenuta nell'art. 41 bis, comma 2 quater Ord. Pen. nasce già come disciplina di natura eccezionale e derogatoria a quanto previsto dall'art. 37 del D.P.R. 230/2000, nel senso che già la semplice regola, in base alla quale i colloqui 1 elaborati dalla giurisprudenza di rango costituzionale e di legittimità, nonché della resi possibili per i detenuti in regime di sospensione delle normali regole di trattamento sono determinati nel numero di uno al mese da svolgersi a intervalli di tempo regolari, si pone in termini d'incompatibilità logica con la condizione che, nell'art. 37, co. 10, Ord. Pen., rende possibile la deroga sulla durata, ossia che nella settimana precedente non vi siano stati altri colloqui.Tale, infatti, è la situazione normale per il detenuto soggetto al regime di cui all'art. 41 bis, il quale può fruire soltanto di un colloquio al mese a cadenze regolari. Invertirebbe, poi, il senso del rapporto tra regola ed eccezione il così detto "fattore eccezionale (ossia la detenzione in istituti lontani dalla residenza familiare) per i detenuti soggetti al regime di cui all'art. 41 bis è prevista come ipotesi normale; cosicché, se tale situazione dovesse ritenersi sufficiente a giustificare una durata più prolungata del colloquio, si determinerebbe come effetto l'autorizzazione, in termini di ipotesi normale, di colloqui della durata di due ore.Né potrebbe giustificare il ricorso al colloquio di durata superiore l'esigenza compensativa, costituita dalla mancanza di fruizione del colloquio nella settimana precedente; anche tale condizione si verifica stabilmente per i detenuti in regime di 41 bis, i quali, infatti, possono fruire solo di un colloquio al mese e a cadenze regolari, cosicché è impossibile che nella settimana precedente al colloquio ne abbiano effettuato un altro.Un'esigenza compensativa, si sostiene da parte del PG, potrebbe, invece, riguardare l'ipotesi in cui nel mese precedente il detenuto soggetto a regime speciale non abbia fruito del colloquio, ma non è quanto risulta espressamente disposto nella norma di cui all'art. 37 del D.P.R n. 230/2000, sulla quale il legislatore non ritenne di operare alcun intervento correttivo per adeguare o comunque completare una disciplina derogatoria a quanto previsto nell'art. 41 bis; cosicché si tratterebbe di operare un'interpretazione creativa più che adeguatrice.Residua, dunque, ad avviso del requirente, un interrogativo di fondo: qualora il detenuto non abbia fruito del colloquio mensile può ottenere nel colloquio successivo una disponibilità di tempo doppia a quella normalmente consentita (ossia un colloquio di due ore piuttosto che di un'ora)? Tale risposta, si sostiene, non sembra potersi rinvenire nel comma 10 dell'art. 37 del D.P.R n. 230/2000, che, per la sua formulazione (esclusivamente tarata sui detenuti in regime ordinario) non può attagliarsi alla detenzione ex art. 41 bis ord. pen.Esclude altresì il Procuratore requirente che nella mancanza di norme idonee a muoversi nel solco della compensazione tra colloqui non fruiti e colloqui fruibili con previsione di durata maggiore di quella statuita in via ordinaria possa ravvisarsi una 2 geografico", giacché ciò che per i detenuti ordinari è previsto come ipotesi lesione irragionevole (e, dunque, suscettibile di verifica per il tramite del criterio di cui all'art. 3 della Costituzione) dei diritti fondamentali del condannato.Le limitazioni imposte, si osserva, si radicano nelle esigenze di ordine e di sicurezza, anche con riguardo alla materia dei colloqui.Come già affermato da questa Corte (Sez. 1, n. 49274 del 12/11/2004 - dep. 22/12/2004, P.G. in proc. Paviglianiti, Rv. 230702), i collegamenti di alcuni detenuti ad alto indice di pericolosità con gli ambienti criminali esterni di appartenenza possono realizzarsi in vari modi proprio attraverso i colloqui visivi e telefonici con i frequenza muove dall'obbiettivo di prevenire (o quanto meno ridurre al minimo) le possibilità di collegamenti con l'ambiente esterno.Considerato in diritto 1. Il ricorso proposto dal Ministero della Giustizia - Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria è infondato e non può, quindi, trovare accoglimento.1.1 Nessun effettivo profilo di illegittimità è infatti ravvisabile, ad avviso del collegio, nell'ordinanza impugnata, la quale, in accoglimento del reclamo proposto ex art. 35 Ord. Pen. da un detenuto nei cui confronti risultavano sospese le normali regole di trattamento dei detenuti ed internati, ha fondatamente dichiarato inefficace, nei confronti dello stesso, la disposizione interna con la quale la direzione della Casa di reclusione di Novara riteneva, a ragione della sola adozione del decreto di sospensione delle normali regole di trattamento, di dover escludere, in modo assoluto, la possibilità, per tale categoria di detenuti, di fruire - in alternativa al colloquio mensile di un'ora coi familiari - di un colloquio prolungato sino a due ore, ex art. 37 comma 10, D.P.R. n. 230 del 2000, qualora i familiari siano residenti in un comune diverso da quello in cui ha sede l'istituto.1.2 Al riguardo va anzitutto precisato che sulla specifica questione oggetto del presente giudizio, questa Corte, di recente, ha già avuto occasione di pronunciarsi, riconoscendo l'applicabilità del disposto normativo di cui all'art. 37 comma 10 D.P.R. 30 giugno 2000 n. 230, anche ai detenuti sottoposti al regime differenziato di cui all'art. 41 bis Ord. Pen. (in tal senso, Sez. 1, 24 giugno 2013, Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Reggio Emilia in proc. Mandalà).Orbene da tale decisione questo Collegio, condividendola pienamente, ritiene di non doversi discostare.1.3 Ed invero il principale -se non esclusivo- argomento prospettato dall'Amministrazione a fondamento della richiesta di annullamento dell'ordinanza impugnata si fonda sull'assunto che la definizione dei contenuti dello speciale regime 3 familiari e con i conviventi, cosicché, si fa rilevare, una loro diversa modulazione e carcerario ex art. 41 bis Ord. Pen. risulterebbe "demandata in toto alla competenza ministeriale da una regolamentazione di rango primario", che si sovrapporrebbe a quella ordinaria vigente in materia di colloqui, derogandovi espressamente, con la conseguenza che il prolungamento a due ore della durata del colloquio, previsto dall'art. 37 comma 10, D.P.R. 30 giugno 2000 n. 230 sarebbe inapplicabile ai detenuti sottoposti al regime differenziato di cui all'art. 41 bis Ord. Pen.1.4 Tale tesi, però, non può trovare accoglimento, basandosi su delle argomentazioni astratte che non trovano effettiva giustificazione nell'esegesi del 1.4.1 Al riguardo va infatti osservato, in primo luogo, che se è pur vero che l'art. 41 bis Ord. Pen. attribuisce al Ministro della Giustizia il potere di sospendere - si badi "in tutto o in parte" - l'applicazione delle normali regole di trattamento dei detenuti ed internati, in correlazione con una "pericolosità qualificata" degli stessi, sta di fatto, però, che tale norma - che già la Corte Costituzionale, nella sentenza 28 luglio 1993 n. 349, ebbe a definire di "non felice formulazione" - non risulta affatto "demandare in toto alla competenza ministeriale" i contenuti del trattamento applicabile ai detenuti portatori di una "pericolosità qualificata", né ha dettato una regolamentazione "speciale" dell'istituto, che si sovrapponga totalmente a quella ordinaria.1.4.2 Al contrario, come correttamente osservato in dottrina, "la novella legislativa sull'art. 41 bis Ord. Pen. reca il merito di avere posto chiarezza in ordine alla stabilità nel sistema di un istituto considerato figlio dell'emergenza, ma sempre più diffuso nell'applicazione", provvedendo, nel contempo, "a dare certezza regolando i contenuti del regime, la cui definizione, per troppo tempo, era stata rimessa interamente, ed "in bianco", all'autorità amministrativa".1.4.3 II contenuto del "regime detentivo speciale", pertanto, come a ragione osservato in dottrina, risulta regolato dalla legge con previsioni operanti su un doppio livello.Un primo livello, per così dire "generale", è caratterizzato dalla regola della proporzionalità, in virtù della quale sono ammesse solo restrizioni al regime ordinario che siano necessarie agli scopi di prevenzione cui la misura è finalizzata. Il secondo livello di regole, invece, indica i contenuti del regime, e per quanto attiene la materia dei colloqui, che in questa sede specificamente interessa: ne stabilisce il numero (uno al mese); le modalità, da svolgersi ad intervalli di tempo regolari ed in locali attrezzati, in modo da impedire il passaggio di oggetti, vietando, nel contempo, i colloqui con persone diverse dai familiari e conviventi, salvo casi eccezionali determinati volta per volta dal direttore dell'istituto ovvero, per gli imputati fino alla pronuncia della sentenza di primo grado, dall'autorità giudiziaria competente.- 4 novellato art. 41 bis Ord. Pen.- La norma, prevede altresì, che i colloqui vengono sottoposti a controllo auditivo ed a registrazione, previa motivata autorizzazione dell'autorità giudiziaria competente; solo per coloro che non effettuano colloqui può essere autorizzato, con provvedimento motivato del direttore dell'istituto ovvero, per gli imputati fino alla pronuncia della sentenza di primo grado, dall'autorità giudiziaria competente, e solo dopo i primi sei mesi di applicazione, un colloquio telefonico mensile con i familiari e conviventi della durata massima di dieci minuti sottoposto, comunque, a registrazione. I colloqui sono comunque videoregistrati. Queste limitazioni, peraltro, specifiche limitazioni, ritenute invero costituzionalmente illegittime dalla Consulta con sentenza 20 giugno 2013 n° 143.1.5 Ciò posto, evidenziato che l'art. 41 bis Ord. Pen., nulla stabilisce sulla durata massima del colloquio - che nel ricorso, senza alcuna specifica produzione documentale, si afferma fissata dal decreto ministeriale in un'ora, limite temporale significativamente coincidente con quello fissato dall'art. 37 comma 10, del D.P.R. n. 230/2000 - e che il parametro di riferimento della norma è comunque rappresentato dalle "normali regole di trattamento dei detenuti", deve allora senz'altro condividersi il principio di diritto che è a base della precedente decisione di questa Corte in argomento, secondo cui l'ampiezza della previsione normativa in materia di colloqui è tale da indurre a ritenere «che ulteriori limitazioni, al di là di quelle previste, non siano possibili, salvo che derivino da un'assoluta incompatibilità della norma ordinamentale - di volta in volta considerata - con i contenuti normativi tipici del regime differenziato».Meglio definendo tale principio, questo Collegio ritiene allora possa affermarsi, in buona sostanza, che in assenza di specifiche previsioni contenute nel decreto ministeriale - insussistenti in riferimento al tema dei colloqui "compensativi", nulla precisando sul punto l'amministrazione ricorrente - anche per il detenuto sottoposto al regime di cui all'art. 41 bis Ord. Pen., possono trovare applicazione le norme dell'ordinamento penitenziario non oggetto di sospensione.1.6 II provvedimento impugnato, peraltro, va confermato non tanto perché per la direzione degli istituti penitenziari sussista, nella stesura delle disposizioni interne, «un dovere di adeguamento alle fonti normative più elevate in grado», così come affermato dal Magistrato di sorveglianza, occorrendo considerare, al riguardo, per un verso, che nel caso di specie, la disposizione reclamata non risulta aver negato il diritto soggettivo del detenuto al colloquio, ma soltanto escluso la possibilità di una "eventuale" proroga della sua durata massima; e che la lett. a) del nuovo comma 2 quater, prevede comunque la possibilità, sia pure alquanto generica (non potendo tale disposizione, conformemente a quanto sostenuto in dottrina, interpretarsi, anche in base ai lavori preparatori, come una delega "in bianco" al potere 5 non si applicano ai colloqui con i difensori, per i quali la norma prevedeva invece ministeriale di determinazione dei contenuti del regime speciale), di adottare "misure di elevata sicurezza interna ed esterna" al fine di impedire collegamenti, contrasti o interazioni con singoli o con realtà criminali organizzate o con altri detenuti, quanto, piuttosto, per la decisiva considerazione che la disposizione reclamata, per quanto si ricava dalla difese dell'amministrazione, non risulta sia stata adottata per contingenti ragioni di sicurezza interna ed esterna, ma, in via generale ed astratta, sul presupposto di una pretesa incompatibilità tra le disposizioni dell'ordinamento penitenziario che prevedono, in determinati casi, una possibilità di proroga della Ord. Pen., in tema di colloqui.1.7 Sul punto, premesso che l'art. 37 comma 10 D.P.R. 30 giugno 2000 n.230 prevede - in via generale e per tutti i detenuti - due ipotesi di «ampliamento» della durata del colloquio, la prima correlata a «eccezionali circostanze» da valutarsi, dunque, caso per caso, la seconda correlata a due condizioni obiettive rappresentate dalla extraterritorialità del luogo di detenzione rispetto a quello di residenza dei congiunti, unita alla circostanza della mancata fruizione del colloquio nella «settimana precedente» e sempre che le esigenze e l'organizzazione dell'istituto lo consentano, va infatti qui ribadita la validità di quanto affermato da questa Corte nella sua precedente decisione in argomento, nel senso che, «è evidente che mentre la prima previsione (circostanze eccezionali) non può dirsi in alcun modo in contrasto con le previsioni normative caratterizzanti il regime differenziato (e risulta dunque sempre applicabile, ferma restando la valutazione della eccezionalità del caso), la seconda previsione va «adattata» alle caratteristiche ontologiche della detenzione «conformata» ai sensi dell'art. 41 bis ord. pen.- In particolare, ricorrendo tendenzialmente in modo stabile il presupposto della extraterritorialità (data l'allocazione dei detenuti sottoposti al regime del 41 bis), è evidente che l'interpretazione dei secondo presupposto (mancanza di colloquio nella settimana precedente) non può essere riferita a tale particolare «categoria» di detenuti, essendo per definizione assente il colloquio settimanale, sostituito da quello mensile. Detta parte della norma potrà dunque - secondo un criterio interpretativo logicosistematico - trovare applicazione solo ove il detenuto sottoposto al regime differenziato di cui all'art. 41 bis ord. pen. non abbia effettuato il previsto colloquio nel «mese» antecedente.- 2. In conclusione, esclusa l'esistenza di un divieto assoluto, per i detenuti nei cui confronti sia stata disposta che la sospensione delle normali regole di trattamento, di fruire in alternativa al colloquio mensile di un'ora coi familiari, spetterà di volta in volta alla direzione del carcere, ove sussistano ben inteso le condizioni previste dall'art. 37 comma 10, del D.P.R. n. 230/2000 e le esigenze e l'organizzazione lo 6 durata massima del colloquio con le disposizioni "speciali" previste dall'art. 41 bis consentano, valutare l'accoglibilità delle varie richieste di proroga della durata del colloquio.Al rigetto del ricorso deve seguire la condanna al pagamento delle spese processuali, ex art. 616 Cod. proc. pen.- P.Q.M. La Corte, a scioglimento della riserva adottata in data 15/11/2013, rigetta il ricorso e Così deciso in Roma, il 26 novembre 2013 II Consigliere est. Il Presidente condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.-

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